Scopello: continua la petizione popolare.

Di seguito viene pubblicato un comunicato stampa a firma del circolo metropolis e del comitato dei cittadini.

"La revoca del nulla osta per l’antenna di telefonia mobile di Scopello, annunciata dal sovrintendente Dott. Gini è una vittoria della mobilitazione dei cittadini e delle nostre associazioni. Essa scongiura un ulteriore sfregio al paesaggio attorno a Scopello, già minacciato da altri interventi edilizi dissennati, e pone fine a una farsa grottesca. Infatti resta incredibile che il progetto per l’antenna presentato dall’Ericsson, in cui nella relazione paesaggistica erano contenute delle evidenti falsità (Scopello diveniva una località sciistica alpina con vista panoramica sulla Valsesia e sul Monte Rosa!), sia passato inosservato dal nostro Comune e sia stato approvato a tempo di record dalla Soprintendenza di Trapani e dagli altri organi preposti (ARPA, Ispettorato Forestale, Genio Civile), di solito molto più attenti in altri casi meno significativi. Oltre che incredibile, la vicenda appare poco chiara e meritevole di ulteriori approfondimenti. Per questo esortiamo tutti gli organi competenti a contribuire a una maggiore chiarezza e a vigilare per la tutela del territorio e della salute dei cittadini.Noi per parte nostra continueremo la raccolta di firme contro l’antenna e la campagna di e-mail di protesta presso la Soprintendenza da tempo in atto, come segno della nostra continua vigilanza e della nostra volontà di non consentire che si possa ritornare indietro".

Castellammare del Golfo 1/12/2008


Il Partito della Rifondazione Comunista invita i cittadini a firmare la petizione e comunica che è possibile controfirmare il documento anche presso la nostra segreteria.

Per un riforma radicale della didattica: L’attuale offerta didattica è inadeguata. Lo schema del 3+2 e dei crediti non funziona e va dunque superato. Vanno poi corrette alcune pratiche. In primo luogo ci sembra che non sia più adatto l’attuale assetto basato sulla semplice lezione frontale. Se questo poteva avere un senso sessanta anni fa è oggi del tutto improponibile. Un simile sistema passivizza gli studenti e priva anche i docenti di un efficace feedback funzionale all’insegnamento e alla ricerca. Bisognerebbe dunque affiancare al modello della lezione frontale modalità didattiche di tipo seminariale. Questo presuppone classi di laboratorio di 30 o al massimo 50 studenti per docente e, considerando che ogni classe possa avere una media di 4-5 insegnanti, significa 1 docente per ogni 7-12 studenti in ciascuna classe. Per far questo servono naturalmente molti più docenti rispetto all’assetto attuale. Questo significa anche abbandonare l’attuale sistema disciplinare parcellizzato e ultraspecialistico. Se a livello di ricerca è concepibile che un docente si specializzi, a livello didattico servono soprattutto insegnamenti nelle discipline di base.Questa patologica proliferazione di discipline specialistiche è il prodotto di una antica norma che identifica la disciplina concorsuale con quella insegnata. Questo ci spinge a valutare la necessità di tornare a un modello di insegnamento che privilegi la parte generale e metodologica su quella speciale che oggi rappresenta la sezione più qualificante dell’insegnamento. Al centro dell’attività di formazione deve esserci in primo luogo lo studio metodologico di ciascuna disciplina; in secondo luogo, una panoramica generale dello stato della materia e solo in ultima analisi lo studio di aspetti specialistici. Questo significa ridurre le discipline di insegnamento dalle attuali migliaia, a poche centinaia, mediamente una quindicina per corso di laurea (salvo casi particolari). Le Università dovrebbero anche essere il luogo di formazione di consapevolezza critica e per far questo si dovrebbero creare le condizioni per la creazione di spazi di confronto e autoformazione che coinvolgano studenti e docenti, cominciando con lasciare maggiore libertà a studenti e studentesse nella definizione del proprio piano di studio senza ingabbiare il loro percorso formativo dentro schemi rigidamente precostituiti. Il dottorando come anello di congiunzione tra formazione e lavoro Il dottorato di ricerca costituisce il terzo livello della formazione universitaria, nel quale si dovrebbero fondere formazione e ricerca, i due elementi costitutivi del concetto europeo di università. Il dottorato dovrebbe quindi proporsi, a differenza di altri segmenti della formazione post-laurea, come un momento di formazione in cui si integrino la didattica tradizionale e la formazione attraverso l’attività di ricerca; e dovrebbe essere pensato in funzione non solo dell’accesso all’insegnamento universitario, ma più in generale al mondo del lavoro. A dispetto di un’impressionante crescita numerica, il percorso di dottorato è spesso poco qualificante, per nulla riconosciuto al di fuori dell’accademia e vittima di quel processo di “precarizzazione” ormai comune a tutto il mondo della ricerca. La condizione di precarietà è dovuta non solo alle caratteristiche dei corsi di dottorato che hanno spesso obiettivi formativi e finalità incerti, si caratterizzano per frammentazione e gestione personalistica da parte dei docenti, prevedono scarse o nulle attività scientifiche e formative e risultano scarsamente attrattivi a livello internazionale, ma anche dall’ambiguità nella definizione della condizione stessa del dottorando. Occorre una riforma organica del dottorato che riorganizzi i corsi sulla base di scuole di dottorato dotate di autonomia all’interno di regole nazionali e costituite intorno a un progetto chiaro di formazione alla ricerca che abbracci ambiti scientifici e disciplinari sufficientemente ampi. Le scuole dovrebbero essere sottoposte a processi di autovalutazione/valutazione e di rendicontazione dei risultati ottenuti, in modo da garantirne il valore formativo. Deve essere superata la figura del dottorando senza borsa. Oltre a determinare una condizione di lampante ingiustizia, la mancanza di autonomia economica indebolisce i percorsi formativi, non permettendo allo studioso di dedicarsi a tempo pieno alle proprie ricerche. Per questo la borsa di studio rappresenta la garanzia del valore del percorso di studio intrapreso oltre ad essere un riconoscimento sociale del lavoro di ricerca svolto. La lunga battaglia dei dottorandi per ottenere l’aumento dell’importo minimo delle borse di dottorato mostra la necessità di individuare meccanismi negoziali o automatici di revisione periodica delle borse, che tengano conto dell’inflazione e garantiscano condizioni di vita e di studio dignitose. Devono poi essere applicate a livello nazionale le raccomandazioni della “Carta europea dei ricercatori”: in particolare una Carta dei Diritti dei Dottorandi dovrebbe riconoscere: il diritto a una formazione di alto livello e a un rapporto trasparente e costante con il proprio supervisore sul lavoro di ricerca; il diritto a un trattamento economico che garantisca l’indipendenza economica e una vita culturalmente attiva; il diritto a un trattamento previdenziale equo; il diritto alla salute e alla maternità; il diritto alla partecipazione alla vita democratica delle università e ai suoi processi di valutazione, oggi largamente negato; l’accesso ai servizi di diritto allo studio; il diritto a un percorso realmente internazionale che consenta periodi di studio e soggiorno all’estero ; il diritto a chiedere una proroga per l’esame finale di dottorato qualora sia necessario un approfondimento della tematica di ricerca; il diritto a una informazione trasparente sulle opportunità di lavoro che il titolo di dottore di ricerca può aprire e il diritto ad essere informati sulle possibilità e sui finanziamenti alla ricerca, sia pubblica che privata, a cui il dottorando può accedere durante e dopo il conseguimento del titolo. Ricerca, precarietà, lavoro La didattica è strettamente legata alla ricerca. Se si ritiene il sistema della conoscenza un luogo strategico per lo sviluppo del paese, le politiche relative a questo settore devono essere trasformate e la produttività deve essere valutata partendo dall’impatto su tutti gli altri settori della vita sociale, come l’elevazione del tasso culturale, la diffusione delle nuove tecnologie, la socializzazione dei saperi. Pertanto non è possibile legare l’assunzione di nuovi ricercatori ai pensionamenti, bloccando di fatto ogni possibilità di incremento del settore dell’università. Per esempio, il rapporto tra studenti e docenti, deficiente se si considera il solo personale strutturato, ritorna corretto se si includono i docenti a contratto. Si deve affermare con chiarezza che il personale necessario affinché l’università svol ga con efficacia i propri compiti può essere quantificato a tutt’oggi intorno alle 120.000 unità, che si spera possano moltiplicare i bisogni di sapere alto e diffuso. Non si deve consentire che uno stesso individuo possa essere titolare di contratti precari per lunghi periodi. Un limite ottimale potrebbe essere di 4 anni, con meccanismi di programmazione che evitino intervalli fra un contratto e l’altro. Tenuto conto dei 3 di dottorato di ricerca, una norma che vieti di stipulare nuovi contratti dopo il quarto anno, porterebbe a una età massima di circa 31-32 anni per una trasformazione del rapporto da temporaneo a tempo indeterminato. La norma dovrebbe anche prevedere una correlazione fra l’erogazione di contratti a tempo e le previsioni sul fabbisogno del personale e i futuri accessi, in modo che trascorsi i 4 anni, l’università o l’ente di ricerca possano immettere in ruolo una parte dei ricercatori e, attraverso la creazione di appositi uffici, agevolare l’inserimento degli altri nel mercato del lavoro. I contratti a tempo in università ed enti di ricerca devono rispettare i più elementari diritti del lavoro (maternità, ferie, orari, tutela della salute e della sicurezza, tredicesima mensilità, protezione in caso di vacanza contrattuale, contributi previdenziali adeguati, copertura anti-infortunistica). Attualmente questi diritti sono riconosciuti solo ai ricercatori con contratto a tempo determinato, per cui si propone di mantenere solo una forma di contratto a tempo. Nella fase di transizione sarà chiaramente necessario riconoscere immediatamente i diritti del lavoro fondamentali a tutte le forme contrattuali precarie in tutte le pubbliche amministrazioni. Diversamente da quanto accade nel resto d’Europa e nei bandi dello European Research Council in Italia le possibilità di accesso ai finanziamenti da parte del personale non strutturato sono pressoché inesistenti. Occorre rimuovere al più presto questa anomalia che limita lo sviluppo di nuove idee e l’acquisizione di maturità scientifica da parte dei ricercatori più giovani, favorendo un sistema nel quale molte carriere si svolgono sempre all’ombra dello stesso docente più anziano. Un ricercatore, sia esso strutturato o meno, deve poter essere il responsabile primo di fondi di ricerca, in modo da sperimentare sin da subito la reale assunzione delle responsabilità. Il ruolo del professore universitario deve essere unico. Nessuna differenza funzionale è oggi riscontrabile tra professori ordinari, professori associati e ricercatori; l’unica ragione dell’esistenza si limita oggi solo a una sorta di ricattabilità continua per la concessione di passaggi di fascia. Deve essere quindi superata la necessità di fare concorsi nei passaggi a fasce superiori. Occorre evitare che durante il percorso lavorativo il docente ricominci daccapo per tre volte, con periodi di straordinariato che, allo stato attuale, hanno per un verso l’effetto di penalizzare l’interessato/a dal punto di vista dei contributi pensionistici, per un altro il mantenimento di una spada di Damocle sul suo capo. La carriera unica potrà inoltre consentire coerentemente di costruire una scala retributiva unica, suddivisa in scatti legati sia all’anzianità che alla valutazione dell’operato del docente su didattica, ricerca e organizzazione. Il problema delle retribuzioni dei docenti andrà affrontato e risolto riportando i valori al livello delle retribuzioni europee, diminuendo la forbice tra i docenti all’inizio di carriera e coloro che sono al termine della stessa. In coerenza con la proposta di unicità della carriera docente, assieme all’eliminazione dello straordinariato è necessario confermare l’abolizione del fuori ruolo, dando un chiaro segnale di rinnovamento in direzione del ringiovanimento dei docenti universitari che sarebbe peraltro utile dal punto di vista del risparmio della spesa. Nelle more di una riorganizzazione virtuosa e legittima dal punto di vista scientifico e organizzativo, va comunque affrontata immediatamente la questione del riconoscimento del ruolo di professore agli attuali ricercatori e della gestione temporanea dei ruoli della docenza. L’introduzione della terza fascia docente è anche necessaria per poter mantenere l’attuale livello di offerta didattica, cercando nel contempo di razionalizzare e ridurre il numero di corsi di laurea, definendo i requisiti minimi più stringenti. A tale riguardo rimane attuale il nesso tra l’introduzione della terza fascia e la distinzione tra reclutamento e avanzamento di carriera. A tale proposito, i concorsi dovrebbero essere banditi solo per il reclutamento dei docenti, prevalentemente nella terza fascia, senza escludere la possibilità di ingressi per concorso direttamente a fasce pi&u grave; alte in caso di personale proveniente dall’estero o da altra amministrazione. I passaggi da una fascia all’altra andranno gestiti con criteri di valutazione rigidi, con obiettivi trasparenti e prefissati e con chiare modalità di attuazione che riducano al minimo la discrezionalità, fungendo così da stimolo alla crescita professionale dei docenti e dei ricercatori non strutturati. Tali criteri dovranno essere diversi a seconda delle discipline interessate e commisurati agli standard internazionali, ridiscutendo a questo riguardo una logica di valutazione basata solo su rigidi schemi quantitativi.

Lo strano caso di Scopello....

La vicenda dell'antenna di Scopello sembra avviarsi ad una conclusione positiva, stando alle parole del soprintendente Giuseppe Gini, il quale ha assicurato che l'autorizzazione concessa alla Ericsson Telecomunicazioni verrà revocata da subito, vista la vicinanza con la torre Bennistri.
Al di là delle polemiche e discussioni suscitate dalla clamorosa svista della soprintendenza che non aveva posto attenzione alle note decrittive della relazione paesaggistica a corredo del progetto presentato dalla Ericsson Telecomunicazioni in cui Scopello veniva descritta come una località delle Alpi a 659 metri sul livello del mare, ci preme sottolineare come il risultato raggiunto sia da attribuirsi al circolo Metropolis, che per primo ha denunciato i risvolti del caso.

Questa precisazione si inquadra nel contesto di totale assenza dell'amministrazione comunale, che solo in un secondo momento e colpevolmente si è accorto dello strano caso e tardivamente ha preso posizione contro lo scellerato progetto della Ericsson Telecomunicazioni.

Perchè la politica è anche tempestività.......

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