ACQUA IN BOCCA: VI ABBIAMO VENDUTO L'ACQUA

di Rosaria Ruffini


Mentre nel paese imperversano discussioni sul grembiulino a scuola, sul guinzaglio al cane e sul flagello dei graffiti, il governo Berlusconi senza dire niente a nessuno ha dato il via alla privatizzazione dell'acqua pubblica.
Il Parlamento ha votato l'articolo 23bis del decreto legge 112 del ministro Tremonti, che afferma che la gestione dei servizi idrici deve essere sottomessa alle regole dell'economia capitalistica. In particolare, L'articolo 23bis disciplina i "servizi pubblici locali di rilevanza economica", che sono molti; non solo l'acqua, anche se quest'ultima è fondamentale.
Sancisce che la gestione va conferita a "imprenditori o società" mediante "procedure competitive ad evidenza pubblica". Va data in appalto, insomma, "ferma restando la proprietà pubblica delle reti".
Eccezioni possibili solo per situazioni particolari che "non permettano un efficace e utile ricorso al mercato", come se il mercato stesso medesimo fosse la soluzione per qualsiasi cosa.
L'acqua non è più un bene pubblico, ma una merce. Solo che l'acqua è indispensabile per vivere. Così il governo Berlusconi ha sancito che in Italia l'acqua non sarà più un bene pubblico ma una merce, e quindi sarà gestita da multinazionali (le stesse che possiedono l'acqua minerale).
Già a Latina la Veolia (multinazionale che gestisce l'acqua locale) ha deciso di aumentare le bollette del 300%. Ai consumatori che protestano, Veolia manda le sue squadre di vigilantes armati e carabinieri per staccare i contatori.
La privatizzazione dell'acqua che sta avvenendo a livello mondiale provocherà, nei prossimi anni, milioni di morti per sete nei paesi più poveri.
L'acqua è sacra in ogni paese cultura e fede del mondo. L'uomo è fatto per il 65% di acqua, ed è questo che il governo italiano sta mettendo in vendita.
L'acqua che sgorga dalla terra non è una merce, è un diritto fondamentale umano e nessuno può appropriarsene per trarne illecito profitto. L'acqua è l'oro bianco per cui si combatteranno le prossime guerre.
Guerre che saranno dirette dalle multinazionali alle quali oggi il governo, preoccupato per i grembiulini, sta vendendo il 65% del nostro corpo. Acqua in bocca.
le tariffe più basse possibili.

Il diritto allo studio è un diritto soggettivo principalmente tutelato dagli artt. 33 e 34 della Costituzione italiana che sanciscono il diritto di un accesso universale ai livelli dell'istruzione di base, ed un accesso meritocratico ai livelli più alti dell'istruzione superiore e universitaria, prevedendo esplicitamente un sistema di borse di studio per i meno abbienti. Da quanto detto sopra si evince che uno dei fondamenti della nostra costituzione è il diritto allo studio. Un diritto esteso a tutti i cittadini, teso ad eliminare le disuguaglianze e a dare a tutti le stesse opportunità per affermarsi nella vita. Non sempre però questo diritto è stato garantito in quanto negli anni si è puntato in molte facoltà sul numero chiuso, che di fatto lede il diritto allo studio. Per questo è fondamentale farsi carico di proporre delle linee guida che possano garantire un reale diritto allo studio non solo scritto ma applicato.


Le proposte del PRC:

Compito di una Università pubblica e di massa è quello di garantire a chiunque il diritto alla conoscenza che non può essere ristretto ad alcune fasce sociali. È arrivato il momento di prendere posizione sul numero chiuso e affermare con forza che una università pubblica e democratica non può e non deve limitare il diritto alla conoscenza attraverso una selezione che invece di realizzarsi durante il percorso di studio, si verifica all’ingresso. Chiediamo la soppressione del numero chiuso e la logica di competizione ad esso sottesa che limita il libero accesso ai saperi ledendo il principio basilare dell’uguaglianza. Vogliamo una università di massa e di qualità che selezioni in base alle capacità e non alla classe sociale. Per questa ragione l’accesso delle masse studentesche all’università deve essere sostenuta da una politica rigorosa che garantisca alloggi, aule e tutte le strutture necessarie a tenere alti gli standard di qualità sul piano della didattica e della ricerca. Servono risorse economiche per finanziare le borse di studio. Ancora oggi sono troppi gli studenti idonei che vengono esclusi dal sostegno finanziario per carenza di fondi. Occorre quindi prevedere formule in grado di garantire l’usufrutto gratuito o a prezzo ridotto di tutti quei servizi a carattere collettivo necessari per l’esercizio del diritto alla conoscenza (trasporti, alloggi, mense, visite a musei, cinema, teatri, accesso a materiali formativi, ecc.). Questo ci porta a riconsiderare la politica dei costi sin qui seguita. In primo luogo le tasse universitarie oggi troppo elevate. L’attuale situazione livella troppo, con il risultato di imporre lo stesso tributo a studenti provenienti da famiglie con livelli di reddito molto distanti fra loro. Si rende necessaria una tassazione fortemente progressiva in base al reddito consentendo l’accesso gratuito agli studenti provenienti da famiglie a reddito medio-basso. Devono essere limitati i costi del corso, in particolare per l’acquisto dei libri, attivando un sistema efficiente di comodato d’uso per i testi d’esame. Va affermata inoltre la necessità di dispense gratuite, sollecitando una moralizzazione delle pratiche interne alle università che portano spesso i docenti ad adottare i propri testi, imponendone l’acquisto, anche quando questi non sarebbero attinenti ai temi del corso. Occorre sostenere la possibilità di sviluppare l’esperienza delle case editrici di ateneo, che pratichino prezzi politici. Inoltre, l’esistenza di librerie universitarie che acquistino i libri direttamente dalle case editrici, saltando il circuito commerciale, potrebbe portare a prezzi di vendita più bassi del 35-40% rispetto ai circuiti di mercato. va inoltre portata avanti una battaglia politica per la riduzione del l’IVA dal 20% al 4% per tutti i prodotti culturali (libri, CD, DVD, ecc.). Occorre investire sugli spazi, ancora insufficienti a gestire l’accesso di massa all’università. In questa direzione si dovrebbe predisporre un piano per l’edilizia concordato con studenti, dottorandi e ricercatori precari, garantendo loro, tra l’altro, la totale gratuità dei mezzi di trasporto pubblico, oggi troppo cari, soprattutto nelle grandi realtà metropolitane. Le università dovrebbero essere aperte fino a tarda sera consentendo almeno fino alla mezzanotte l’accesso alle biblioteche e una duplicazione dei corsi per gli studenti-lavoratori, impossibilitati a seguire nelle ore lavorative. Bisognerebbe arrivare anche a una riduzione drastica dei corsi con obbligo di frequenza, specie nelle facoltà umanistiche, che, oltre a penalizzare fortemente gli studenti-lavoratori, rappresentano uno strumento di controllo sui tempi di studio e di vita. Occorre infine impedire che il governo porti a termine il suo progetto di abolizione del valore legale del titolo di studio che rafforzerebbe ulteriormente la natura elitaria e di classe dell’alta formazione in Italia, configurando la costruzione di poli di pseudo eccellenza per i figli dell’alta borghesia e università povere che erogano titoli privi di valore per tutti gli altri. Non devono esistere poli di eccellenza contrapposti al resto delle Università.

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