Il Governo ha varato la Carta Acquisti, più conosciuta come Social Card, una sorta di “redistribuzione delle briciole” per i più poveri. Infatti, ai sensi del Decreto Legge 112/08, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008 n. 113, per i cittadini che ne fanno domanda è disponibile una Carta Acquisti utilizzabile per il sostegno della spesa alimentare (solo nei pochi negozi convenzionati) e dell'onere per le bollette della luce e del gas. La Social Card ha un valore di 40 euro al mese, circa un 1 euro e 30 centesimi al giorno. Per le richieste antecedenti al 31 dicembre 2008, la Carta sarà inizialmente caricata dal Ministero dell'Economia e delle Finanze con 120 euro, relativi ai mesi di ottobre, novembre e dicembre 2008; successivamente, nel corso del 2009, la Carta sarà caricata ogni due mesi con 80 euro sulla base degli stanziamenti via via disponibili. La Social Card è diretta agli anziani di età superiore o uguale ai 65 anni e alle famiglie con figli piccoli (fino a 3 anni) che abbiamo un reddito Isee (indicatore della situazione economica equivalente) fino a 6.000 euro, non più di una casa, non più di un'auto.Per chi ha più di 70 anni, la soglia di reddito Isee, che dà accesso alla carta acquisti, è fino a 8000 euro. Nel caso di più figli sotto i 3 anni, gli accrediti si sommano. E’ del tutto evidente, quindi, che ci troviamo di fronte ad una vera e propria elemosina, oltretutto offensiva, umiliante e, chiaramente, del tutto inadeguata ad arginare le disastrose condizioni economiche in cui versano interi settori popolari. Una sorta di “tessera del pane” del ventennio fascista. Invece, il Governo la considera come una “innovativa” misura anti crisi per i più poveri, con funzione di supporto per i meno abbienti: in realtà, si tratta di briciole che non possono, in alcun modo, parare gli effetti di questo epocale disastro economico, finanziario e sociale. Però, quando si tratta di salvare i mercati finanziari e le banche, i soldi saltano fuori come un coniglio dal cappello. Quando si tratta, invece, di prendere vere misure di welfare, garantire continuità di reddito ai precari, migliorare i servizi pubblici, rilanciare la previdenza pubblica, rinnovare i contratti a milioni di lavoratori, evitare privatizzazioni, improvvisamente i soldi spariscono. Insomma, una chiara e violenta logica di classe. Ma, oltre al danno, si consuma anche la beffa dell’esclusione, da questa elemosina, dei migranti e dei cittadini comunitari. La "Social Card" sarà, infatti, destinata solamente ai cittadini italiani residenti con l’esclusione, quindi, dei “non cittadini” contribuenti. Si escludono, pertanto, anche chi contribuisce pienamente dal punto di vista fiscale, contributivo e previdenziale. Insomma, anche nella spartizione delle briciole, si utilizza una forma di welfare perfettamente in continuità con il passato, basata sulla cittadinanza e non sulla redistribuzione della ricchezza tra tutti i soggetti che contribuiscono a produrla. Ma, oltre ad essere una elemosina, quanto costa, in realtà, questa misura “anti crisi” ?Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha sostenuto che allo Stato la “tessera del pane” costerà, a regime, 450 milioni di euro e che la platea dei beneficiari e di 1,3 milioni di italiani. Quindi, poiché entro dicembre daranno la prima tranche di 120 euro, i conti sono presto fatti: il costo, entro dicembre 2008, è di 156 milioni di euro. In pratica, entro dicembre 2009 il Governo stima di spendere 606 milioni di euro per lasocial card. Ma il costo della social card non è solo relativo a quello che finisce nelle tasche dei poveri che rientrano tra i meritevoli di aiuto; infatti, ci sono i costi relativi allo strumento stesso. Parliamo dei costi di produzione della tessera, di circuito, di pagamento e di ricarica. Alcune associazioni dei consumatori hanno stimato che la produzione fisica della tessera costa circa 50 centesimi a pezzo (costo fornito dagli emittenti), quindi già 650 mila euro sono stati utilizzati. Il circuito di pagamento chiede una percentuale all'esercente, che in media è circa del 2% del pagamento stesso. Quindi, ad essere ottimisti, ci sono altri 6 milioni di spesa statale. Per quanto riguarda, poi, la ricarica, le commissioni normalmente applicate dalle Poste ammontano ad 1 euro a ricarica. Quindi, per ogni carta, sono 6 euro annui che lo Stato dovrebbe pagare: in ogni caso, anche applicando un costo di 10 centesimi a ricarica, lo Stato, comunque, dovrà versare a Poste Italiane, circa 800 mila euro in un anno. Tirando le somme, senza considerare i costi delle lettere inviate ai poveri (ancora una volte le Poste ringraziano), circa 7,5 milioni di euro si perdono lungo il tragitto che porta i 40 euro al mese nelle tasche delle famiglie bisognose. Ma se, per i meno abbienti, si è rispolverata la “tessera del pane”, di “mancetta” si deve parlare anche a proposito dell’indennità di vacanza contrattuale, per l’anno 2008, che sarà attribuita, in base all’art. 33 del D.L. 185 del 29 novembre 2008, a tutto il personale contrattualizzato e a quello in regime di diritto pubblico interessato da procedure negoziali, con la mensilità di dicembre 2008.L’importo di tale assegno corrisponde per i primi tre mesi, dal 1 aprile 2008 al 30 giugno 2008, al 30% del tasso di inflazione programmata per l’anno 2008 pari all’1,7% e, dal 1 luglio 2008, al 50% del tasso di inflazione programmata. La vacanza contrattuale, quindi, non riguarderà tutte e tredici le mensilità del 2008 ma, secondo quanto voluto da CGIL, CISL e UIL con gli accordi di luglio ’93, decorrerà da aprile 2008. Quindi, fatti i conti, sono circa 10 euro lordi al mese, cioè meno dei 40 euro che i “miserabili” potranno ricevere facendo la fila agli sportelli degli uffici postali per ricevere la cosiddetta social card. Per di più, nemmeno ricaricabile! In conclusione, ci sono diverse social card, secondo la classe di appartenenza: quella per i poveri e quella per i fannulloni. Poi, però, ci sono anche quelle per le banche, per le imprese e per i padroni. L’ultima trovata del welfare caritatevole è la carta elettronica pre-pagata per i pensionati poveri. L’idea è stata lanciata, con il solito stile da colpo teatrale, dal ministro dell’economia Giulio Tremonti, che vuole combattere il “mercatismo” con la beneficenza. L’Auser, con Michele Mangano, è stata una delle prime associazioni a bollare la trovata come inutile e persino offensiva. Ma oltre alle reazioni negative dei sindacati e delle associazioni, sono stati gli interventi degli esperti a definire il quadro di questa misura ad effetto del ministro Robin Hood. “I dati ufficiali europei ci dicono che l'Italia è fra i paesi con i più elevati tassi di povertà, e in particolare di povertà minorile, e che investe in politiche e interventi di contrasto alla povertà poco e male”, ha ricordato per esempio il professor Emanuele Ranci Ortigosa, direttore scientifico dell’Istituto per la Ricerca Sociale, Irs. “Il voucher per gli anziani poveri – spiega Ortigosa - si allinea alle vecchie provvidenze, e con un contenuto che richiama la beneficenza spicciola, più che una politica sociale. Certo, a parte la sua macchinosità, chi ne beneficerà riserverà gratitudine al donatore, e tanta opinione pubblica si sentirà rassicurata dal fatto di offrire il pane agli anziani poveri, senza che nulla cambi sostanzialmente”. Si continuano insomma a mettere toppe a un abito (quello delle politiche sociali) che appare ormai logoro e superato
Dubbi e critiche anche da Paolo Pezzana, presidente della Fiopsd, la Federazione delle persone senza fissa dimora. “La prima considerazione da fare – spiega Pezzana – riguarda la platea che è stata scelta: si tratta solo di una fascia di persone anziane bisognose, mentre non si prevede nulla per le famiglie povere, per i minori e per tutte le altre fasce di popolazione in stato di bisogno”. Da un punto di vista più tecnico, la card alimentare (strumento che viene utilizzato negli Usa) può funzionare solo in un determinato contesto. Ma il punto veramente decisivo riguarda i costi. Secondo Pezzana, per essere efficace la card deve essere strutturale, e non un provvedimento una tantum. Ma se divenisse strutturale, i costi salirebbero enormemente.
Il sociologo Marco Revelli, presidente della Commissione povertà (istituita dal governo Prodi e in carica per cinque anni), parla di una presa d’atto della gravità della situazione da parte del governo Berlusconi. Pensare a una card per la spesa alimentare dei pensionati poveri, per Revelli, non è altro che una ammissione del livello di emergenza a cui siamo arrivati. E’ l’ammissione che un limite è stato ormai valicato. Ma nello stesso tempo il governo non pensa a politiche di reale contrasto della povertà – che rimangano totalmente inesistenti in Italia. Non si pensa cioè di andare alla radice del male, ma si tenta di curare gli effetti sociali dell’esclusione economica. Posizioni critiche anche quelle di Cristiano Gori, esperto in politiche della povertà. E nessuno ha parlato ancora della convenzione per le Poste. C’era voluto tanto perché tornasse in gestione ai Comuni il rilascio dei permessi di soggiorno agli immigrati, così mal gestiti dalle Poste fino all’anno scorso. Ora Tremonti torna alle Poste per i poveri.
Il Partito della Rifondazione Comunista vi invita a riflettere. Non saremo tornati alla tessera per il pane del ventennio fascista? e se vale il principo di equivalenza non saremo tornati ad un periodo dove bisognava attestare la condizione di povertà?

Un diffuso bisogno di conoscenza ci spinge a proporre e offrire ai lettori del nostro blog una breve panoramica sul pensiero politico italiano. Non faremo una disamina storica ordinata degli eventi e delle culture politiche che hanno influenzato la vita politica italiana, ma cercheremo di analizzare le migliori culture politiche proposte da pensatori che hanno pagato spesso con l'isolamento, il carcere o la morte la loro voglia di raggiungere la libertà e la democrazia.


Antonio Gramsci (1891-1937), nato ad Ales in Sardegna, è il pensatore politico più originale della fine della prima metà del novecento. Grande analista della politica, fu a capo del Partito Comunista che concorse a fondare al congresso di Livorno (1921). Si ricorda soprattutto per la battaglia che condusse sia contro il massimalismo bordighiano sia contro il totalitarismo stalinista che si affermava in quegli anni in URSS. Al di là delle tormentate vicende umane che lo videro sconfitto e incarcerato con l'avvento del fascismo in Italia, preme sottolineare come Gramsci, riesaminando anche la sua stessa vicenda personale, consegnò due delle più grandi opere della cultura politica italiana moderna: lettere dal carcere e i quaderni del carcere.

Gramsci ripensava la vita politica italiana in un quadro storico generale e complesso. Egli riflettendo sulla vittoria del fascismo come conclusione di una particolare evoluzione della storia nazionale, analizzava le cause della profonda divaricazione verificatasi in Italia fra politica e cultura, fra popolo e intellettuali. In questa mancata fusione politica della nazione italiana stanno per Gramsci le ragioni della debolezza del risorgimento e dello Stato italiano. In realtà lo Stato italiano resta dominato secondo Gramsci da due sovversivismi: il sovversivismo dall'alto delle classi dirigenti, incolte, conservatrici e autoritarie, il sovversivismo dal basso delle classi subalterne ridotte all'ignoranza e alla non-partecipazione. In Italia, dunque, secondo Gramsci, sia i laici che i cattolici sono stati incapaci di costruire una cultura politica aperta alle nuove masse popolari e per questo hanno fallito.

Agli intellettuali dell'èlite liberale laica Gramsci imputa il disprezzo delle masse, delle quali non intendono i bisogni e l'irresponsabilità politica nella costruzione dello stato. Alla chiesa imputa, invece, il non volersi compromettere nella vita pratica economica e il mancato impegno per attuare i princìpi sociali che afferma e che non sono attuati. A parere di Gramsci, la Chiesa era disposta a lottare solo per difendere le sue particolari libertà corporative cioè i privilegi che proclama legati alla sua presunta essenza divina. Ma Gramsci critica anche i limiti di corporativismo della masse rinchiuse in interessi economici immediati e in un torpido folklore, scarsamente acculturate, prive di dirigenti dotati di attendibili e responsabili strategie. Per questo motivo Gramsci ritiene essenziale la creazione di collegamenti culturali rigorosi fra intellettuali, dirigenti e masse popolari per scavalcare ogni settarismo e ogni chiusura corporativa ed elitaria e propone la creazione di un partito capace di educare, oltrechè govenare.

Sempre nella logica d condivisione con gli altri di quanto discusso all'interno del PRC, viene di seguito pubblicato il documento politico a firma di Giuseppe Ortisi, consigliere provinciale del Partito dell Rifondazione Comunista.
"La conclusione del congresso regionale di Pergusa pone le basi per un rilancio del ruolo del partito della rifondazione comunista in Sicilia, la cui funzione è quanto mai necessaria per la difesa dei ceti più deboli alla luce del “pensiero unico” che domina nel nostro Paese dopo l’infausto esito delle ultime elezioni politiche .Il congresso, pur confermando la linea sancita a Chianciano sulla centralità del PRC , ha scelto di rifiutare i due modelli, entrambi fallimentari,di una riproposizione di cartelli elettorali calati dall’alto ,da una parte, o di autosufficienze proclamate rifugiandosi in certezze identitarie, indicando il percorso di una ricostruzione dal basso della sinistra , nel Paese ed in particolare in Sicilia ove più debole è storicamente la presenza dei movimenti di opposizione.Di fronte al tentativo, ormai scoperto , di cancellare definitivamente ogni opposizione sociale e politica al sistema dominante, perseguito tenacemente con l’approvazione di tutti i deputati dell’ARS , a partite da quelli del PD, della legge che stabilisce lo sbarramento al 5% anche nell elezioni amministrative, occorre mobilitarsi urgentemente per contrastare la possibilità, terribilmente concreta, della scomparsa di ogni voce libera dalle assemblee elettive.Il comitato politico provinciale del PRC di Trapani impegna pertanto le proprie strutture territoriali ad attivarsi, da subito, per realizzare forme di coordinamento permanente di tutte le soggettività politiche e dell’associazionismo democratico realmente alternative ai partiti del centrodestra al fine di costruire in ogni realtà iniziative e movimenti che contrastino la deriva antidemocratica causata dall’azione dei governi nazionale e regionale sul tema del diritto all’istruzione, sulla sicurezza, sulla politica economica, sui migranti, sulla sanità, sui diritti civili, sulla disabilità, sulle differenze sessuali, sulla difesa delle condizioni di vita dei lavoratori, sulla precarietà.Su questi temi, e su tanti altri, si può e si deve costruire nel Paese, a partire da Trapani, uscendo dalle secche di una pratica consociativa diventata la strada maestra per il PD,un vasto movimento che proponga classi dirigenti e programmi alternativi a quelli attualmente dominanti".

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