Dopo un lungo viaggio da Roma in pullman in circa 45 persone si sono recate al parlamento europeo per promuovere un incontro con i parlamentari: la particolarità è che più della metà sono utenti dei servizi di Salute mentale e anche familiari, che come si sa, hanno assunto ruoli “politici” nel senso di un protagonismo nella società civile per le questioni intorno alla salute mentale.
Già nel maggio 2005, organizzata da Psichiatria Democratica Lazio, anche allora “44 matti”, utenti, familiari, operatori e giornalisti si recarono a Strasburgo per sensibilizzare il Parlamento europeo affinché gli Stati membri adottassero misure di legge in linea con la nostra 180 del 1978, meglio conosciuta come “Legge Basaglia”.
In seguito, nel settembre 2006 il Parlamento europeo ha adottato una Risoluzione sul “miglioramento della salute mentale della popolazione – verso una strategia sulla salute mentale per l'Unione europea”.
Ancora, nel giugno 2008 a Bruxelles, l'Unione europea ha approvato il Patto europeo per la salute mentale. Più recentemente il Parlamento europeo, con una Proposta di Risoluzione ha sottolineato la necessità di un “Piano di azione europeo per la salute mentale e il benessere dei cittadini”.
In linea con queste iniziative e in netto contrasto con le proposte di legge che attualmente giacciono nel Parlamento italiano - tese ad una radicale riforma della legge 180 – il viaggio a Bruxell e l'incontro con i parlamentari della sinistra europea con utenti e familiari ha come scopo il sostegno del Piano di azione europeo e per difendere la 180 dagli attacchi attuali. La diffusione dei principi di democrazia, civiltà e pace, contenuti nella legge 180, così come la de-stigmatizzazione dei malati mentali - anche attraverso i mass media - incidono direttamente sulla salute dei cittadini italiani ed europei. L'iniziativa è degna di nota, soprattutto perché i protagonisti sono gli stessi utenti che non soltanto un tempo sarebbero stati “accantonati” in manicomio, ma anche perché insieme ai familiari sono diventati veri e propri soggetti “politici”, e in quanto tali, in grado di fare proposte di solidarietà nei confronti dei “colleghi” europei ancora rinchiusi nei loro manicomi. La spinta del primo viaggio a Strasburgo venne proprio dagli utenti che, venuto a sapere della sopravvivenza dei manicomi in Europa, vollero incontrare lo stesso Borrel allora Presidente e lasciargli un quadro con Franco Basaglia e Marco Cavallo di cartapesta costruito dai pazienti e simbolo della liberazione dal giogo manicomiale, chiedendogli di fare qualcosa di significativo per la loro sorte..
L’istituzione manicomiale vede negli anni ’50 oltre 100mila cittadini internati. I manicomi svolgono una funzione prevalente di contenitore sociale di una serie di problemi diversificati, la popolazione è costituita non soltanto da persone con disturbi mentali, ma anche da disabili gravi e gravissimi, disadattati sociali, emarginati, alcoolisti. C’è perfino chi nasce in manicomio e vi trascorre tutta la vita. Il ricovero, quasi sempre deciso da altri, è obbligatorio e spesso dura fino alla morte, in quanto non esistono stimoli o soluzioni alternative. Il criterio per l’internamento non è la malattia mentale ma la pericolosità o il "pubblico scandalo" ed è quindi evidente che la funzione del manicomio è solo in minima parte di "cura”.A partire dalla seconda metà degli anni ’50 le attività di assistenza psichiatrica in tutto l’Occidente sono attraversate dal movimento di de-istituzionalizzazione, che pone in discussione il manicomio e apre il dibattito rispetto a nuove modalità di presa in carico dei pazienti psichiatrici. In Italia il movimento anti-istituzionale nasce soprattutto a Gorizia e Trieste, grazie all’iniziativa di Franco Basaglia. Ciò che egli teorizza ed attua negli anni 60/70 diventa patrimonio della psichiatria internazionale La nuova cultura antimanicomiale introduce concetti quali il decentramento, la territorialità, la continuità terapeutica tra ospedale psichiatrico e territorio, il lavoro in équipe, la formazione per la creazione di nuove competenze professionali che mettano in grado gli operatori di lavorare sia nella struttura ospedaliera, che in ambulatorio, che al domicilio e nelle strutture di accoglienza intermedia fra l’ospedale e la famiglia. Si fa strada anche l’idea della prevenzione, con il lavoro nella comunità, nell’ambiente di vita e di lavoro dei cittadini, un lavoro rivolto non soltanto ai malati mentali ma anche alle cause che minacciano al salute mentale di tutti.
Emerge un’altra linea fondamentale, quella di partire dall’organizzazione sanitaria di base, e non dall’Ospedale Psichiatrico, fornendo alternative al ricovero in ospedale e collegando la lotta contro il manicomio con quella per il servizio sanitario nazionale e la riforma dell’organizzazione sanitaria. I protagonisti dell’esperienza italiana furono principalmente gli psichiatri; l’associazionismo dei familiari in Italia, contrariamente a quanto avviene in altri Paesi, nasce parecchi anni più tardi, al varo della 180. Nel 1968 la Casa Editrice Einaudi pubblica "L’Istituzione negata", vero e proprio manifesto del movimento antiistituzionale italiano.

« La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d'essere » (Franco Basaglia).

La legge 180
La legge 180, Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori, del 13 maggio 1978, meglio nota come legge Basaglia (dal suo promotore in ambito psichiatrico, Franco Basaglia) è una nota e importante legge quadro che impose la chiusura dei manicomi e regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio, istituendo i servizi di igiene mentale pubblici. Successivamente la legge confluì nella legge 833/78 del 23 dicembre 1978, che istituì il Servizio Sanitario Nazionale.
La legge fu una vera e propria rivoluzione culturale e medica, basata sulle nuove (e più "umane") concezioni psichiatriche, promosse e sperimentate in Italia da Franco Basaglia.
Prima di allora i manicomi erano poco più che luoghi di contenimento fisico, dove si applicava ogni metodo di contenzione e pesanti terapie farmacologiche e invasive, o la terapia elettroconvulsivante (che per alcuni casi viene tuttora utilizzata).
Le intenzioni della legge 180 erano quelle di ridurre le terapie farmacologiche ed il contenimento fisico, instaurando rapporti umani rinnovati con il personale e la società, riconoscendo appieno i diritti e la necessità di una vita di qualità dei pazienti, seguiti e curati da ambulatori territoriali.
La legge 180 demandò l'attuazione alle Regioni, le quali legiferarono in maniera eterogenea, producendo risultati diversificati nel territorio. Nel 1978 solo nel 55% delle province italiane vi era un ospedale psichiatrico pubblico, mentre nel resto del paese ci si avvaleva di strutture private (18%) o delle strutture di altre province (27%).
Di fatto solo dopo il 1994, con il Progetto Obiettivo e la razionalizzazione delle strutture di assistenza psichiatrica da attivare a livello nazionale, si completò la chiusura effettiva dei manicomi in Italia.
Nonostante critiche e proposte di revisione, la legge 180 è ancora la legge quadro che regola l'assistenza psichiatrica in Italia.

Sabato 21 febbraio ha avuto luogo un'assemblea del circolo PRC di Castellammare del Golfo. Molta la carne al fuoco. In particolare tre temi sono stati affrontati con passione: immigrazione, sanità siciliana e lavoro. Due di questi temi saranno oggetto di discussione, così come deciso dal circolo, durante un'assemblea pubblica che dovrebbe avere luogo tra due settimane: la questione della sanità siciliana e il problema dell'immigrazione. Contestualmente all'iniziativa pubblica sarà inaugurat la campagna tesseramentoal Partito della Rifondazione Comunista.

Segue un invito di Haidi Giuliani a tesserarsi per il PRC.

Non si risale una montagna da soli
di Haidi Gaggio Giuliani
su Liberazione del 22/02/2009

"Oggi sento la necessità di un partito organizzato e di farne parte"

Scorro in internet la rassegna stampa: la Palestina non si trova più nelle prime pagine dei grandi giornali, tra le notizie importanti. Nessuna sorpresa: altre popolazioni martoriate non ci sono addirittura mai arrivate. Quasi per caso nella vecchia posta ritrovo alcune foto scattate a Tulkarem, tre anni fa, quando sono andata ad assistere alle elezioni con ragazzi e ragazze dei Giovani Comunisti; siamo in gruppo e sorridenti, qualcuno tiene il braccio sollevato, la mano stretta a pugno: un gesto identitario? Sono successe molte cose in questi tre anni; i social forum, che erano la nostra speranza, nati dallo spirito di Genova 2001, si sono per lo più disciolti come neve al sole; alcuni di quei ragazzi sono andati "oltre", dove non mi è chiaro e, quel che è peggio, temo non sia chiaro neppure a loro stessi. Siamo di fronte a una gravissima crisi economica frutto di venti anni di politiche liberiste che hanno precarizzato il lavoro, tagliato i salari e accresciuta la ricchezza di ladri ed evasori. Le fabbriche chiudono; i lavoratori continuano a morire. Non c'è sicurezza per loro. Rischia di scomparire il Contratto nazionale di lavoro, scompaiono cioè le garanzie collettive sui salari e sui diritti, conquistate in tanti anni di lotte. In cambio ricompaiono i manganelli contro gli operai, a Pomigliano, contro i lavoratori dell'Innse a Milano. Non c'è sicurezza per chi difende il proprio territorio, la vita dei propri figli: linea dura delle forze dell'ordine contro i No dal Molin a Vicenza, città d'arte con coprifuoco militare. Come in Valsusa, si pretende di gestire con la forza la pacifica contestazione degli abitanti. Ma la "grande informazione" non ne parla. Non c'è sicurezza neanche per le donne nelle vie delle nostre città e, soprattutto tra le pareti domestiche, perché non saranno certamente leggi più repressive, a difenderle, bensì una cultura più diffusa, una maggiore attenzione ai problemi delle persone, maggiore partecipazione alla vita nelle città. «Ser culto es el único modo de ser libre» , ricordava José Martí nell'ottocento, ma qui la cultura viene umiliata ogni giorno, la scuola pubblica impoverita: è meglio non allevare giovani cittadini capaci di pensare con la propria testa perché potrebbero un giorno diventare uomini e donne davvero liberi. Non c'è più neppure la speranza di poter morire in pace. In cambio ritornano le leggi razziali. Assistiamo quotidianamente a colpi di mano contro la giustizia e la civiltà: medici trasformati in spioni contro gli ammalati più poveri, tanto poveri da non possedere nemmeno un documento; legalizzate le ronde; proibito indagare negli affari di lorsignori. Vengono votate in Parlamento leggi ordinarie che svuotano di significato la Carta costituzionale. In questo panorama l'opposizione a volte cinguetta con la maggioranza, a volte balbetta; quello che un tempo era il blocco sociale della sinistra si va sbriciolando.E allora io ho sentito, sento la necessità di un partito organizzato, e di farne parte. Un partito con le idee chiare. Che conosca le proprie radici e sappia anche riconoscere i propri errori; determinato a stare sempre dalla parte delle persone più deboli, sfruttate, derubate dei propri diritti, violentate nel corpo e nella vita. Voglio stare in un'organizzazione capace di discutere con forza al proprio interno e poi dichiarare apertamente quello che pensa e lavorare per raggiungere gli obiettivi individuati; capace di intervenire dove si apre un conflitto; e che quando decide di stare al fianco di grandi movimenti spontanei, come di piccole realtà, poi non li abbandona; capace altresì di denunciare le contraddizioni e di dare vita a nuovi conflitti. Voglio un partito determinato a risvegliare coscienze, disposto sempre a confrontarsi e a collaborare con altre organizzazioni, tutte le volte che è possibile; senza preconcetti ma senza nessun cedimento: un partito con le idee chiare, appunto. E voglio che il mio partito si faccia maestro e sappia fare scuola: deve sapere prima di tutto ascoltare i ragazzi e le ragazze, senza promettere facili carriere politiche ma insegnando con rigore sia la teoria come la pratica quotidiana. Perché è vero che moltissimi giovani sono nauseati dalla politica e pensano che non valga la pena di agire in una società come la nostra ma noi dobbiamo riuscire a dimostrare, come dicono le Madri argentine, che l'unica battaglia persa è quella che si abbandona. Ci riusciremo se sapremo essere onesti; se sapremo mettere da parte personalismi, leaderismi… Non si risale una montagna, non si conquista una cima da soli: si vince tutte e tutti insieme; ognuno con il proprio zaino, con il proprio carico di ricchezze e di errori, ma insieme. Ecco, così penso alla mia Rifondazione. Ma se voglio davvero che sia sempre più così, e sempre più grande, ci devo stare dentro. E lavorare.

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