GIU’ LE MANI DAL DIRITTO DI SCIOPERO

Il diritto di sciopero è un diritto fondamentale previsto dalla Costituzione, basata, non a caso sul lavoro. Lo sciopero è uno strumento che serve a tutelarsi da chi ha il potere: i padroni ed il governo stesso. I lavoratori non vi ricorrono allegramente come vuol far crede il governo: ci rimettono i già magri salari. Contro il diritto di sciopero sono intervenute varie leggi: non per regolamentarlo ma per renderlo inefficace ed inutile. A tal fine ha operato anche la cosiddetta Commissione di Garanzia. Confindustria e Governo hanno sempre voluto allontanare la possibilità di scioperare dal momento in cui nasceva il bisogno da licenziamenti, riorganizzazioni aziendali, privatizzazioni, cattivo andamento delle trattative aziendali. Ciò al fine di vanificarne l'efficacia e l'utilità e scoraggiare i lavoratori. I dati mettono in evidenza che gran parte degli scioperi sono indetti per crisi e ristrutturazioni aziendali, per il non rispetto di accordi stipulati, per contratti non rinnovati da tempo. La colpa è dunque delle controparti private e pubbliche. Motivo per cui tendono a restringere il diritto. ORA Il GOVERNO INTERVIENE ANCHE PER TUTELARE I SINDACATI COMPLICI: CISL,UIL, UGL con cui hanno siglato il nuovo modello contrattuale che prevede la riduzione di salari e stipendi, la deroga in peggio al contratto nazionale, la sospensione dei conflitto proprio durante le trattative, l'arbitrato e la conciliazione obbligatoria. A questo serve il referendum preventivo: ci vogliono mesi per poter dichiarare lo sciopero e lo sciopero virtuale. Ciò avviene per altro mentre le aziende sono sempre più aggressive e autoritarie, soprattutto quelle pubbliche e dei servizi privatizzati ed esternalizzati. ORA TOCCA ALLE LAVORATRICI E AI LAVORATORI PUBBLICI DOMANI TOCCHERA’ A TUTTI! DIFENDERE IL DIRITTO DI SCIOPERO PER DIFENDEREOCCUPAZIONE, SALARI, PENSIONI.

PARTITO della RIFONDAZIONE COMUNISTA

Partendo dal principio che il diritto alla salute è uguale per tutti a prescindere dal reddito, come Partito della Rifondazione Comunista contrastiamo il progetto del Governo Berlusconi che vuole smatellare il servizio sanitario pubblico al fine di costruire un sistema basato su assicurazioni private, congeniale ai ricchi, a chi si può permettere di farsi una assicurazione, e penalizzante per i più poveri che potrebbero affidarsi ad un servizio publico depotenziato e di bassa qualità. Nel contempo, il federalismo fiscale tanto voluto dalla razzista lega e caldeggiato dal PD frantumerà il servizio sanitario pubblico con la conseguente diversificazione dei servizi sanitari erogati. Sarà cancellato ogni universalismo dei diritti: il diritto ad essere curati. Il nostro no alla privatizzazione della sanità si accompagna a quello al federalismo fiscale che lede il principio di solidarietà tra le regioni.
Per questo chiediamo con forza di estendere i livelli essenziali dell prestazioni dei servizi sanitari che devono essere resi in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, di abbattere i tempi d'attesa attraverso l'assunzione del personale tecnico e specializzato, medico e infermieristico necessario per fare funzionare le strutture almeno 12 ore al giorno, di adeguare la quantità dei farmaci utilizzati, in particolare di quelli generici, alle effettive esigenze terapeutiche, ai medici di scegliere tra il pubblico e la libera professione, di internalizzare i servizi sanitari collaterali e alcune prestazioni mediche mettendo fine ai processi di privatizzazione, di riequilibrare il rapporto tra territorio e ospedale.

Per tutti questi motivi sabato 28 febbraio davanti l'ospedale di Alcamo, un ospedale che serve almeno tre comuni, Alcamo, Calatafimi-Segesta e Castellammare, abbiamo dato luogo ad un volantinaggio per fare conoscere il perchè della nostra iniziativa e le ragioni che ci spingono ad alimentare questa lotta per la preservazione di un diritto: diritto alla salute uguale per tutti.
Circolo PRC
Castellammare del Golfo

Ricomporre la diaspora comunista.

di Gianni Fresu *
su la Rinascita della Sinistra del 27/02/2009


La ricomposizione della diaspora del ’98, per ricostruire insieme un’alternativa comunista forte e credibile in Italia, penso sarebbe la migliore risposta possibile ad una depressione economica mondiale che non è solo crisi del cosiddetto neo liberismo. La contraddizione è del capitalismo in quanto tale – delle sue regole di produzione, sfruttamento e appropriazione delle ricchezze – di ciò dobbiamo tenere conto, sapendo bene che la natura ciclica di queste crisi è fisiologica alle stesse modalità di espansione del capitalismo. Le ragioni della frattura sono state ampiamente superate su tutti i versanti e contro l’ipotesi del riavvicinamento non vale l’argomento sulle presunte diversità politiche e culturali che ancora sussistono. Già ora all’interno di PRC e PdCI sono presenti orientamenti diversi e ciò non è di certo un ostacolo, inoltre vale la pena ricordare che veniamo tutti dalla stessa scommessa: la rifondazione di una teoria e una prassi comunista in Italia come risposta alla svolta della Bolognina. È chiaro, pensare di fare una semplice fusione di gruppi dirigenti sarebbe un errore destinato a non produrre nulla di buono, la riunificazione deve partire dalla presentazione di liste unitarie per le europee per poi divenire processo organico di integrazione e riconoscimento reciproco, attraverso la diffusione orizzontale e collegiale degli strumenti di elaborazione e direzione politica.Il percorso di riunificazione deve essere necessariamente processuale ma non indefinito nel tempo, la difficile situazione interna ed internazionale non ce lo consentirebbe. La storia ci insegna che le recessioni hanno sempre dato luogo non solo al netto peggioramento delle condizioni di vita e lavoro delle masse popolari, ma a fasi tragiche di imbarbarimento delle relazioni sociali, di involuzione politica e culturale. Ci troviamo nel pieno di una fase di «crisi organica del capitalismo», ed è esattamente in simili contesti che hanno, in genere, luogo i peggiori processi di “modernizzazione” dei rapporti economici e sociali, attuati sempre attraverso la passivizzazione coatta delle grandi masse popolari, ciò che Gramsci definiva «rivoluzioni passive». A fronte di una situazione tanto complessa il cannibalismo del PD, che ha speso tutte le sue energie per mettere fuori causa la sinistra di classe, anziché impegnarsi in un’opposizione reale alla destra, si è ritorto contro chi l’ha praticato. L’illusione del PD – un “moderno” partito interclassista, che avrebbe dovuto congiungere gli interessi del capitale e del lavoro – si è schiantata sugli scogli di una realtà ben più complessa dei sogni veltroniani. Il PD si è rivelato, in tutta la sua fragilità, un immenso comitato elettorale strutturato per camarille, un agglomerato composto da consorterie condensate attorno a singole personalità che controllano partito, istituzioni e collegi senza alcun disegno complessivo. Già a fine Ottocento la dissoluzione del liberalismo italiano portò al tentativo di assemblaggio dei due raggruppamenti tradizionali della Destra storica e della Sinistra liberale per formare un unico «blocco costituzionale» presentato come baluardo contro le due ali estreme della reazione e della rivoluzione. Oggi come allora più che di “trasformazione del sistema politico” si deve parlare molto più prosaicamente di «trasformismo» e il divampare in tutta la sua virulenza della questione morale ne è una conferma. L’attuale inservibilità politica del PD dimostra ulteriormente quanto fosse avventata l’idea della “costituente della sinistra”, che puntava tutte le chanche di un rilancio della sinistra sul rapporto organico con il partito di Veltroni. Ricomporre la diaspora non significa e non deve significare però chiudersi in un recinto identitario, ma al contrario fare un investimento per l’unità della sinistra, mantenendo anche un interlocuzione dialettica, non subalterna, con le altre forze democratiche. Il PRC è nato sulla base del binomio autonomia e unità, quella deve tornare ad essere la nostra bussola di orientamento per rifuggire ogni tentazione di settarismo minoritario e insieme di opportunismo. Oggi più che mai si sente il bisogno di un partito comunista capace di porre, attraverso il conflitto, al centro dell’agenda politica le questioni del lavoro, di plasmarsi organicamente sulle esigenze delle masse popolari, da qui possiamo ripartire.


* Comitato politico nazionale PRC

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