I lavoratori e le lavoratrici dimostrano che l'unità è possibile, soprattutto contro i contratti separati e i sindacati che li approvano.
Di seguito riporto alcuni articoli che danno un quadro generale sulla giornata di sciopero di ieri 13 febbraio e che analizzano gli scenari e le preoccupazioni conseguenziali alle politiche del governo Berlusconi che attentano all'unità sindacale eche metteno in risalto come l'unià dei lavoratori con le forze politiche radicali sia la base per iniziare una lotta efficace.


Una giornata particolare
di Loris Campetti
su Il Manifesto del 14/02/2009

Un operaio metalmeccanico che decide di scioperare, in piena crisi, paga un prezzo esorbitante. Non perde soltanto una giornata di salario: se l'azienda in cui lavora è in cassa integrazione - il beneamato ammortizzatore sociale che si mangia il 40% dello stipendio - consegna alla lotta anche un pezzo di tredicesima e di ferie. Un impiegato pubblico che sciopera, dopo un contratto separato siglato da Cisl e Uil e il taglio dello stipendio deciso dall'immarcescibile ministro Brunetta, fa una scelta quasi eroica. E se la tuta blu e il colletto bianco partono uno dal Sulcis in pullman, poi in nave e ancora in treno e l'altro viaggia per ore e ore da Aosta per venire a manifestare a Roma, vuol dire che non pensano solo al loro salario. Non pensano esclusivamente ai diritti di chi vive di sola busta paga con cui paga le tasse anche di chi vive del suo lavoro, o agli accordi separati e al contratto nazionale. Pensano all'intera collettività, a un paese che un governo autoritario e quasi golpista sta impoverendo e rendendo più ingiusto, un paese aggredito nella sua costituzione materiale e in quella formale. Pensano ai loro ex compagni di lavoro, giovani precari e migranti rimandati a casa per primi perché non hanno diritti. Pensano all'edile romeno, arruolato al nero da un caporale, che è precipitato da un'impalcatura ma non può andare in ospedale a farsi curare perché rischierebbe di essere denunciato ed espulso con il marchio di clandestino. Pensano persino a Beppino Englaro e alle migliaia di uomini e donne, corpi e cervelli sequestrati dai padroni di uno stato che si pretende onnipotente («volete far vivere i morti e far morire i vivi»). Una volta, con un po' di retorica, si parlava dei lavoratori come classe generale, quelli che liberando se stessi dall'oppressione del capitale avrebbero liberato tutti. Ripartiamo da dov'eramo rimasti: lo sciopero e la manifestazione di ieri, organizzati con coraggio dagli operai metalmeccanici della Fiom e dalla Funzione pubblica Cgil, sono gesti di grande generosità e, al tempo stesso, sono il primo atto d'opposizione di massa al peggior governo d'Europa, un governo che prima nasconde la crisi, poi la sottovaluta, quindi la usa per ridisegnare i rapporti di potere e redistribuire la ricchezza, taglieggiando i salari per ingrassare i profitti e le rendite. Ieri a Roma erano diverse centinaia dimigliaia le tute blu e i colletti bianchi che hanno compiuto questo gesto di generosità per difendere i diritti sociali, civili, di cittadinanza di tutti noi. Una speranza, una scommessa, un atto d'orgoglio hanno messo le gambe alla parte migliore del paese che ha attraversato Roma lungo tre direttrici, dalla Tiburtina, dall'Ostiense e dall'Esedra per convergere su piazza San Giovanni. Molte più persone di quante la piazza storica delle manifestazioni nazionali potesse accoglierne. C'erano tutte le facce del lavoro a Roma, uomini e donne con cittadinanza italiana, con visti di soggiorno osenza niente, con contratti di ogni tipo, colore e tutela, o senza alcun contratto. C'erano i sik di Reggio Emilia con il turbante il testa e la bandiera della Fiom in mano, qualche cordone più in là ecco i vigili di Bari e i dipendenti delle Finanze di Pistoia, le vittime e i parenti delle vittime e il popolo inquinato dalla diossina e dall'amianto dell'Italsider di Taranto o dei cantieri navali di Monfalcone. C'erano tanti cassintegrati delle famiglie bene del capitalismo italiano: Agnelli (dagli stabilimenti Fiat di tutta la penisola e della Sicilia), Marcegaglia (nelle cui fabbriche si continua amorire di lavoro), Merloni (i vari fratelli elettrodomestici uniti nei licenziamenti), Montezemolo (leggi Ferrari oppure Maserati, dove si espellonoi precari e si licenziano i delegati e i militanti Fiom che sostengono la lotta dei loro compagni meno «garantiti). C'erano le tante persone che si occupano di garantirci i beni comuni e quelli il cui lavoro è finalizzato alla cura di tutti noi, c'era anche chi ci fa lemulte e chi ci fa le lastre all'ospedale. Uguali e diversi, direbbe Moretti. I piemontesi, quelli che lavorano alla linea di montaggio gomito a gomito con quelli che prestano servizio nella corsia di un ospedale, scendono dalla stazione Ostiense verso la Piramide Cestia dietro uno striscione unitario con i simboli dei due sindacati promotori. Lo striscione dice ai romani che c'è chi cerca di dividere - i padroni e il governo - e chi unisce - la Fiom e la Funzione pubblica. E dire che una volta l'operaio alla linea dimontaggio e quello al pronto soccorso, o al catasto, si guardavano quasi in cagnesco. E' avvenuto un quasi miracolo. «Fannullone sarà lei», scrivono a Brunetta. Fanno tenerezza e danno speranza i due operai della Bonfiglioli di Bologna che alzano con rabbia e orgoglio le bandiere della Fim- Cisl. A chi si congratula con loro per il coraggio con cui hanno rotto una disciplina talmente ferrea da far pensare al sindacato bulgaro nel 1960 più che al sindacato cattolico italiano del 2009, rispondono «è un dovere e una scelta essere qui». All'esagitato che grida «buttate quella bandiera», invece, fanno notare: «siamo qui a lottare con voi, che vai cercando?». Per tutti suona la banda Bassamusica di Bari Carbonara. Uffici e officine, operai e impiegati: sono loro stessi un bene comune. Producono ricchezza per tutti, crisi permettendo, e pagano per tutti. Producono servizi e cioè maggiore ricchezza. Sono i lavoratori, quelli che per decreto di Bonanni e Angeletti non possono neanche dire la loro con un voto su un accordo separato che distrugge il sistema contrattuale italiano. Quelli che quando protestano vengono manganellati e denunciati dalla polizia, com'è capitato agli operai dell'Alfa di Pomigliano che rischiano il lavoro «in una regione in cui il lavoro è merce rara», o a quelli di Innse di Milano. Riescono persino a occuparsi dell'ambiente i dipendenti della Fiat: vorrebbero fondi per la ricerca per liberare l'automobile dal petrolio, non regalie a pioggia con la rottamazione. Non si accontentano di sopravvivere alla crisi, vogliono tentare di costruire un mondo post-crisi un po' più vivibile per tutti, meno puzzolente, meno disoccupato, meno ingiusto. Gli ospedalieri, dal canto loro, vorrebbero fare gli infermieri e i medici per curare i migranti malati, certo non i delatori per farli espellere da un governo razzista, «come dice Famiglia cristiana». Sono tutti molto, ma molto incazzati, non sono rassegnati né minoritari, anche se Cisl e Uil li hanno abbandonati per salire sul carro del vincitore, anche se la sinistra non c'è più, intendendo per sinistra una forza politica parlamentare solidale con il mondo del lavoro, dunque di parte, senza «ma anche». Ci sono frammenti di sinistra, qua e là si incontrano in corteo o sul palco, ma hanno altro a cui pensare: le elezioni europee. A un importante dirigente del Pd che guarda dal palco una piazza san Giovanni stracolma, rossa ed esperta, chiedo in amicizia e non da cronista: «Cosa pensa di tutto questo il tuo partito?». La risposta, in amicizia, è agghiacciante: «Dipende da come andranno le elezioni sarde. I sondaggi sono incoraggianti. Soru ha rimontato 10 punti». Nonostante lui e nonostante tutti gli assenti, ieri i lavoratori pubblici e i metalmeccanici scesi in campo per difendere salari e diritti, democrazia e Costituzione. Hanno battuto un colpo. Speriamo che non siano diventati tutti sordi.

Democrazia al lavoro
di Dino Greco
su Liberazione del 14/02/2009

Quello che speravamo e che era sommamente necessario per scuotere l'inquietante atmosfera in cui imputridisce la politica italiana è infine accaduto. Il lavoro, non nella sua astratta espressione sociologica, ma con i volti di donne e uomini "in carne ed ossa" ha fatto sentire la propria voce. Talmente forte e chiara da rendere risibile l'ennesima, stucchevole querelle sul numero dei partecipanti. Il fatto incontrovertibile è che per le vie di Roma è scorso un fiume in piena: lavoratrici e lavoratori sono scesi in sciopero nel bel mezzo di una crisi devastante che mette in gioco i loro posti di lavoro, la loro vita, il loro futuro, disposti a farsi carico di un'ulteriore decurtazione salariale per render chiaro a tutto il Paese, ad un governo imbelle e protervo, ad una tracotante Confindustria, che non sarà facile scaricare sui più deboli i costi del disastro economico. E che quanti hanno stipulato l'accordo separato che li deruba di salario, diritti, democrazia troveranno pane per i loro denti. Merito di Fiom e Fp quello di avere compreso la natura e la profondità di questo attacco. Rivolto, sì, in primo luogo, contro le persone che lavorano, ma luciferinamente organizzato anche per colpire quella parte del sindacato che non intende rinunziare ad un'autonoma rappresentanza del lavoro, che non si piega ad un ruolo servile nei confronti dell'impresa. La storia patria, da quella più antica a quella più recente, come quella continentale e d'oltre oceano, ci rende avvertiti che ogniqualvolta il sindacato è stato sconfitto (i controllori di volo nell'America di Ronald Reagan, i minatori di Arthur Scargill nell'Inghilterra di Margaret Thatcher) è l'insieme dei rapporti sociali che ne è uscito sconquassato, generando povertà, solitudine, disuguaglianza. E una drammatica implosione della democrazia. Oggi, siamo noi a vivere su questo crinale. Reso ancor più ripido dal più organico tentativo mai messo in atto, da sessant'anni a questa parte, di archiviare la Costituzione Repubblicana. Siamo cioè di fronte ad una riedizione di quella che lo storico Giovanni De Luna ha definito come «la latente tentazione antidemocratica della borghesia italiana», che oggi si sposa al sovversivismo clerico-fascista di una classe politica dirigente ignorante, corrotta e aggressiva. Credo che tutto questo abbiano capito - con quell'immediato istinto politico di cui tante volte hanno dato prova - le proletarie, i proletari che ieri sono così in tanti convenuti a Roma. Essi hanno avvertito il pericolo mortale, il bisogno di reagire direttamente, subito, in proprio, senza deleghe. Viene da lì un messaggio che è politico e morale insieme: provare ad ostruire una strada e ad indicarne un'altra, con una intelligenza dei fatti ed una determinazione che altrove latitano. Allora servono due cose: la continuità della lotta sociale, battendo colpo dopo colpo, ancora e poi ancora, finché il ferro è caldo. Ed un ruolo politico della sinistra, a partire dal Prc, sempre più necessario di fronte allo sconfortante cerchiobottismo del Pd.

Non ci fermiamo qui
di Antonio Sciotto
su Il Manifesto del 14/02/2009

Un fiume di persone, per la prima volta pubblici e metalmeccanici insieme. Un bel colpo d'occhio, soprattutto perché ieri non si manifestava solo per il salario e il contratto, contro la precarietà e la crisi, ma al centro delle preoccupazioni dei lavoratori ci sono anche i diritti, la Costituzione, il rispetto dei migranti. Tutto quello che il governo sta velocemente erodendo. Lo ha spiegato Gianni Rinaldini, leader della Fiom, nel suo intervento dal palco davanti a una piazza stracolma, almeno 700 mila persone secondo il sindacato: «Dobbiamo contrapporre la solidarietà all'odio, l'intolleranza e la divisione che diffondono il governo e la Confindustria: attaccano il diritto alla salute, con la misura sugli extracomunitari, manganellano gli operai di Pomigliano e dell'Innse, vogliono sterilizzare il Testo Unico sulla sicurezza perché - dicono - costa troppo alle imprese». E così il segretario della Fp, Carlo Podda, ha invitato i medici all'«obiezione di coscienza»: «Io curo, non denuncio», è l'efficace adesivo che i medici di tutta Italia sono invitati a esporre davanti agli ambulatori, per comunicare agli immigrati di non avere paura. E il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, ha detto che «la mobilitazione continuerà»: «Sciopero dopo sciopero riusciremo a far cambiare la politica economica del governo». Ed ecco i prossimi appuntamenti: «Il 5 marzo la manifestazione dei pensionati, poi uno sciopero della scuola, e il 4 aprile tutta la confederazione al Circo Massimo». A colpire la Cgil, in mattinata, le dichiarazioni del cislino Raffaele Bonanni, che aveva bollato lo sciopero come «politico, dal sapore di sinistra novecentesca». Epifani ovviamente non ha fatto nomi, ma dal microfono ha parlato di «qualche grillo parlante che non rispetta i lavoratori che fanno sciopero». Poi è passato a criticare il governo, ricordando lo «sciopero generale del 12 dicembre»: «Abbiamo chiesto tanti interventi, ma finora cosa abbiamo visto? La crisi è eccezionale, e tutti gli altri paesi hanno stanziato cifre molto più grandi del nostro: sta sbagliando tutto il mondo o sbaglia il nostro governo? Mancano sostegni a chi perde il lavoro: la gran parte dei lavoratori non ha sostegni dopo che perde il posto, e molti sono costretti a vivere con una cassa di 650 euro al mese per diversi mesi. Per loro che si sta facendo? Grazie anche alle nostre lotte, c'è un accordo sugli ammortizzatori, ma allora che siano subito esigibili questi 8 miliardi, non si aspettino i tempi della Ue». Epifani ha poi proposto che altre risorse vengano trovate «alzando la tassazione, anche solo per due anni, a chi ha redditi sopra i 150 mila euro annui», anche perché, sul fronte tasse, nel 2008 «quelli che hanno pagato di più sono stati dipendenti e pensionati, anche a causa del fiscal drag, mentre si allentano i controlli sugli evasori fiscali». Quanto al modello contrattuale, Epifani attribuisce la maggiore responsabilità al governo, «che ha voluto dividere», ma poi aggiunge che «lo ha voluto anche la Confindustria». «Entrambi - spiega - hanno fatto un errore imperdonabile». Su questo fronte ha insistito molto anche Rinaldini: «L'accordo firmato è brutto, e per quanto ci riguarda non siamo disponibili ad applicarlo. Però siamo venuti con spirito unitario: Cisl e Uil accettino di sottoporlo al voto dei lavoratori, e se loro diranno sì, allora noi firmeremo quell'accordo». Rinaldini ha aggiunto che «è importante che la Cgil abbia chiesto il referendum, e siamo a uno spartiacque: è chiaro che d'ora in poi tutti gli accordi, per tutte le categorie, dovranno essere chiusi con un voto unitario».Sul tema della democrazia, è tornato quindi anche Epifani, rivolgendosi a Cisl e Uil: «Possiamo avere opinioni diverse, ma è proprio questo il momento di andare davanti ai lavoratori e farli votare. Che senso ha chiamarli a esprimersi solo quando siamo d'accordo?». Sempre sul fronte democrazia, ma estendendola a tutto il Paese, Epifani ha attaccato la misura della Lega che permette di denunciare gli immigrati, e le ronde: «Chi mi assicura che una ronda non attaccherà l'altra? Avremo ronde di diversi partiti? Potenziamo piuttosto la sicurezza pubblica». Poi, contro le ultime uscite del presidente Berlusconi, ha detto che la Cgil «difenderà la Costituzione con le unghie e con i denti».Altri riferimenti ai progetti del governo li hanno fatti Rinaldini e Podda. Il segretario Fiom ha messo in guardia rispetto al consiglio dei ministri che si terrà tra 10 giorni, quello che si propone di riformare il diritto allo sciopero: «Vogliono far passare gli accordi separati inibendo anche il diritto di sciopero. E' un disegno contro la democrazia». E Podda: «Nel pubblico impiego i lavoratori stanno bocciando nei referendum gli accordi separati, ma il governo mantiene un'impostazione autoritaria, e ha in mente di dare gli aumenti solo se e quando sono disponibili delle risorse. Ma non faremo passare il ministro Brunetta. Ci devono dare risposte sui 60 mila precari che perderanno il posto in questi mesi: siamo per la stabilizzazione, ma intanto almeno proroghino i contratti ed estendano a tutti gli ammortizzatori».

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