Proviamo a capire qualcosa sul quel grande processo chiamato globalizzazione. Ci proveremo attraverso l'analisi condotta da Zigmunt Bauman nel suo libro intitolato: Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone.
Da un punto di vista politico è lecito chiedersi come può esplicarsi la lotta politica oggi giorno senza una conoscenza approfondita di un processo tanto complesso da essere ignorato dai politici italiani.


Dentro la parola globalizzazione stanno molti più processi di quanto normalmente si pensa. "La globalizzazione divide tanto quanto unisce - scrive Bauman - Divide mentre unisce, e le cause della divisione sono le stesse che, dall’altro lato promuovono l’uniformità del globo".
E proprio da qui parte l’analisi di Bauman, sociologo e filosofo, massimo esponente del filone di pensiero che indaga criticamente la tardo modernità (e/o la postmodernità). Lo specifico dell’indagine di Bauman riguarda le conseguenze della globalizzazione sulla vita quotidiana delle persone. Uno studio del quotidiano. In particolare uno studio sullo "spazio", dimensione che tende a rarefarsi nel tempo della globalizzazione ma che segna due percorsi contrapposti. Da un lato l’élite della globalizzazione, il vertice, dall’altro le masse, la base.
Sostiene Bauman, "piuttosto che rendere omogenea la condizione umana, l’annullamento tecnologico delle distanze spazio temporali tende a polarizzarla". Chi opera, infatti, nei pressi del potere finanziario (vero motore della globalizzazione) vive l’incorporeità del potere: non ha bisogno di luoghi deputati, è extraterritoriale e proprio per questo può isolarsi (in un nuovo apartheid) dal resto della popolazione che rimane tagliata fuori. La conseguenza è la fine degli spazi pubblici, la creazione di "non-luoghi". Ma la conseguenza più tragica è che l’abolizione degli spazi pubblici implica anche la crisi dei luoghi ove si creano norme, ove i valori sono discussi, negoziati, elaborati. In assenza di luoghi pubblici i giudizi su ciò che è buono/bello/giusto/utile... possono discendere solo dall’alto, da regioni imperscrutabili, da una élite lontana che non ha lasciato indirizzo di sorta e che rifiuta ogni interrogazione. Così, conclude Bauman: "Gli extraterritoriali entrano nella vita di coloro che sono vincolati al territorio solo come caricature; forse sono mutanti o mostri. Nel processo espropriano del loro potere etico i locali, privandoli di qualsiasi mezzo atto a limitare i danni" Turisti e vagabondi
Fra i 5 capitoli che compongono lo studio di Bauman (Tempo e classe, Guerre spaziali: una cronaca; E dopo lo stato-nazione?; Turisti e vagabondi; Legge globale, ordini locali) risulta particolarmente interessante il quarto: turisti e vagabondi.
Si tratta delle due tipologie in cui sono divisi gli abitanti della terra. Alcuni (pochi, in verità) possono fare i turisti mentre per tutti gli altri la sorte è quella del vagabondo.Il punto di partenza è la cosiddetta società dei consumi. Riflessioni ovvie: la nostra società non è più la società dei produttori (con al centro l’etica del lavoro e del sacrificio) ma la società dei consumi dove ciò che conta è produrre desideri, sedurre. La società tardomoderna ha insomma bisogno di impegnare i suoi membri nel ruolo di consumatori. Ovviamente anche i consumi devono essere "labili", instabili, temporanei altrimenti il volano del consumo si blocca. Consumare infatti non significa propriamente "inglobare", usurare, utilizzare quanto piuttosto "raccogliere sensazioni": "il desiderio non vuole soddisfazione. Al contrario il desiderio vuole desideri".
mentre tutti possono voler essere consumatori non tutti possono esserlo davvero. La stratificazione della società postmoderna è data dal grado di mobilità, ovvero dalla libertà di scegliere dove collocarsi. E qui entrano in scena i turisti ed i vagabondi.
Nel nostro mondo il semaforo segna verde per i turisti ma rosso per i vagabondi. I turisti possono muoversi ovunque, nessun controllo li ferma, essi non sono legati allo spazio. Al contrario i vagabondi non possono muoversi, sono legati al loro spazio ed al loro tempo.
Possono sembrare riflessioni puramente teoriche. Non lo sono.
Provate ad immaginarvi un giro per l’Europa: che differenza essere turisti italiani invece che profughi kosovari o curdi. O lavoratori rumeni. I primi sono turisti e vivono la versione postmoderna della libertà. I secondi sono vagabondi e sperimentano la versione postmoderna della schiavitù.
I vagabondi sono alla deriva: sanno che non staranno troppo a lungo in un luogo, per quanto possa loro piacere, perché non saranno bene accolti. I turisti si muovono perché trovano che il mondo alla loro portata (globale) è irresistibilmente attraente, i vagabondi si muovono perché trovano che il mondo alla loro portata (locale) è inospitale fino ai limiti della insopportazione. I turisti si muovono perché lo vogliono, i vagabondi perché non hanno altra scelta sopportabile.
Ma.. ancora... "il vagabondo è l’incubo del turista, il suo demone interiore: infatti nessuna assicurazione sul suo stile di vita protegge il turista dalla possibilità di scivolare nel vagabondaggio. Se si vuole un esempio si prenda i Kosovo. La classe media, ricca, colta del Kosovo: da un giorno all’altro scivolata dalla condizione di turista a quella di vagabondo.
Ma si prenda anche la classe media italiana: scivolare tra i vagabondi fa parte delle nostre inconsce paure ed angosce. Paure postmoderne, angosce quotidiane. Del resto il nostro stile di vita non è garantito, malgrado i nostri assillanti tentativi di rafforzare le mura della nostra fortezza.Al momento siamo dentro. Chi è fuori è fuori. E chi è fuori è un vagabondo da cui difenderci: ma siccome diventare vagabondi è il nostro rischio quotidiano tale condizione ci abitata come "perturbante": ci assilla, ci mette in crisi, ci spinge a comportamenti violenti.E chi è fuori è la massa.


La globalizzazione è una grande chance: può essere fonte di vita e benessere per tutti. Ma così non è stato e non è a tutt’oggi.
Anzi, nuove insicurezze sono diventate l’incubo quotidiano. Insomma le due facce della globalizzazione. Alla faccia dei neoliberisti che continuano a pensare ed a proporre la dottrina del libero mercato, della deregulation, della competition... come panacea di tutti i mali.
Senza accorgersi della contraddizione terribile che sta al fondo: oggi le merci hanno libertà di movimento assoluta mentre gli uomini no. I poveri, i vagabondi, gli esclusi sono inutili (non producono utili) e non devono muoversi. Devono starsene legati al nulla di uno spazio e di un tempo senza senso.

Al termine di un'animata e vibrante discussione sulle problematiche giovanili, i giovani comunisti di Castellammare del Golfo hanno eletto come loro portavoce Ruben Stabile, 20 anni, studente universitario di Scienze politiche.

Il nuovo portavoce auspica di mitigare il rischio del disagio giovanile attraverso pratiche culturali, sociali e politiche che possano fornire ai giovani una reale alternativa e di promuovere forme di partecipazione che favoriscano l'inserimento dei giovani nella politica.

Un altro obiettivo ambizioso che si propone di raggiungere il nuovo rappresentante dei Giovani Comunisti è quello della messa in rete dei vari circoli territoriali giovanili della provincia di Trapani, al fine di mettere assieme le diverse esperienze e bagali culturali, propri di ogni realtà.
Una frase significativa racchiude e riassume in nuce l'importanza della politica tra i giovani, una frase spesso ripetuta dal nostro nuovo portavoce:
anche se voi non vi interessate della politica, la politca si interessa di voi..

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