Due stati per due popoli.

Dal 27 dicembre Gaza è martoriata dalle bombe dell’aviazione israeliana. Oggi è invasa anche da terra, bombardata dal cielo e dal mare. È una tragedia di proporzioni enormi: In quel fazzoletto di terra vivono oltre 1,5 milioni di persone: stipate in una città senza vie di fuga, coi valichi alle frontiere chiusi, sotto embargo di medicinali, cibo, carburante, acqua.Dopo due settimane di bombardamenti incessanti ed azioni militari di terra, il bilancio è drammatico: oltre 900 morti, di cui un terzo bambini e 3 mila feriti.
Questo massacro di civili inermi viola ogni principio del diritto internazionale e calpesta ogni speranza di pace. Chiediamo la fine dell’aggressione israeliana, un ritiro totale delle truppe israeliane da Gaza e l’immediata cessazione di tutte le ostilità . E chiediamo che il governo italiano, di cui denunciamo l’inettitudine diplomatica ed il sostegno all’azione militare, si faccia portatore di questa richiesta. Questa guerra è contro tutti i palestinesi e la prima vittima è la politica. Il problema vero è che oggi in Palestina non ci troviamo di fronte ad un processo di pace interrotto o che procede a rilento. Ci troviamo di fronte alla costruzione concreta di un regime di apartheid, che strutturalmente rende impossibile la realizzazione di quanto stabilito dagli accordi e cioè la costruzione di due stati per due popoli. La costruzione dell’apartheid non è dichiarata ma praticata e la costruzione del muro – meglio sarebbe dire dei muri – costituisce la sua affermazione concreta. Oggi in Medio Oriente non abbiamo un territorio palestinese e uno israeliano ma bensì un territorio israeliano che si espande progressivamente con nuovi insediamenti di “coloni” che vengono difesi dalla polizia e dall’esercito israeliano e uniti da strade che sono utilizzabili solo da auto con targa israeliana. Parallelamente i check point rendono gli spostamenti dei palestinesi dei calvari interminabili, senza contare che i varchi nel muro, possono essere chiusi in ogni momento. I diritti dei palestinesi semplicemente non esistono perché possono essere sospesi in ogni momento, in ogni luogo, per qualsiasi motivo, dalle forze dell’occupazione.La comunità internazionale, compresa l’ Unione Europea, hanno grandi responsabilità per la crisi umanitaria a Gaza causata dal continuo assedio, e per l’aver ignorato la costituzione di un sistema di apartheid nella Cisgiordania, mentre gli Stati Uniti perpetuano la loro politica di complicità con Israele. Ha la responsabilità del silenzio e dell’inerzia di fronte ai crimini di guerra e alle violazioni del diritto internazionale. L’impunità per i crimini di guerra commessi in questi giorni a Gaza è inaccettabile. Chiediamo in particolar modo all’Unione Europa di intraprendere misure concrete e non soltanto rilasciare dichiarazioni. Misure come l’immediata sospensione degli Accordi di Associazione tra Israele e Unione Europea, sulla base delle linee guida dell’Unione Europea volte alla promozione del pieno adempimento del diritto umanitario internazionale. L’appello del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite volto a chiedere un immediato cessate il fuoco non è sufficiente. C’è bisogno di adottare misure concrete, incluse sanzioni, per assicurarsi che Israele adempia pienamente ai suoi obblighi nei confronti del diritto umanitario internazionale e rispetti le risoluzioni delle Nazioni Unite.Tra queste un embargo immediato ai rifornimenti di armi nei confronti di Israele e più in generale dare inizio a un processo di de-militarizzazione dell’intera regione, compresa la sua trasformazione in una zona libera dal nucleare.L'occupazione militare del territorio palestinese deve finire, l'assedio di Gaza, che causa una tragedia umana tanto grande, deve essere revocato. Non ci sarà mai pace finché si costringerà il popolo palestinese a vivere in ghetti, subire vessazioni continue, finché non si permetterà la nascita di uno stato palestineseUna pace giusta può nascere solo da una conferenza internazionale sotto l'egida dell'Onu, non di conferenze come quella di Annapolis a cui non sono seguite che vuote dichiarazioni. L' obiettivo di tale conferenza deve essere la fine dell'occupazione israeliana della Cisgiordania e di Gaza, la rimozione del Muro e degli insediamenti, il rispetto delle risoluzioni internazionali, inclusa la 194, e la nascita di uno stato palestinese nei confini del 67, con Gerusalemme Est come capitale, che possa vivere in pace accanto a quello di Israele.Questo obiettivo sarà possibile solo se verrà fermata questa nuova ed insensata guerra. Ed è su questo obiettivo che Rifondazione Comunista è impegnata. Su questa piattaforma, il prossimo sabato 17 Gennaio, il nostro Partito parteciperà alle due manifestazioni convocate dalla Comunità palestinese a Roma e dalla Tavola della Pace ad Assisi.Crediamo sia stato un errore la convocazione di due manifestazioni, per lo più nella stessa giornata. Il nostro Partito ha lavorato per evitare questa divisione, perché oggi c’è bisogno del massimo di unità nella solidarietà al popolo palestinese e nell’obiettivo di fermare la guerra. Crediamo necessario continuare a lavorare perché in futuro ciò non si ripeta. Il Prc è impegnato inoltre nel continuare la cooperazione e il lavoro insieme ai partiti della Sinistra palestinese e israeliana così come con le forze pacifiste e democratiche. In questo momento così critico ci appelliamo affinché ci sia una riconciliazione nazionale dei palestinesi, per noi l’unico modo per dare vita a una Palestina libera e unita e per uno sbocco positivo del processo politico. Sosteniamo le voci coraggiose che si levano in Israele contro la guerra, la militarizzazione della società israeliana e che lottano per una pace giusta.

BASTA CON L’OCCUPAZIONE ISRAELIANA: DUE STATI PER DUE POPOLI


NO ALL’APARTHEID





Documento approvato dalla Direzione Nazionale Prc del 12 gennaio 2009

All'interno del Partito della Rifondazione Comunista si è consumata una scissione. Il frutto di questa frattura, vissuta tutta all'interno dei vertici del Partito e che ha interesato poco e niente la maggior parte dei militanti, è il risultato di un dibattito lacerante e, a luoghi stucchevole, tra le diverse anime che regnano in seno al PRC: la componente comunista che guarda alla centralità del Partito nella ricostruzione della sinistra in Italia e quella che ha dato luogo alla scissione che vuole andare oltre, credo su posizioni più moderate e governiste.

Sarebbe più costruttivo, a mio giudizio, piuttosto che alimentare una discussione sterile e vuota all'interno di chi già delle scelte, condivisibil o meno, le ha fatte a Chianciano, ragionare sulla crisi della sinistra, che non risparmia nessuna parte politica, compresa Rifondazione Comunista, senza cercare scorciatoie e analizzando con cura le trasformazioni della società.


Soltanto se si riuscirà a trasformare il Partito della Rifondazione Comunista in un "Partito Sociale", ossia uno strumento capace di stare all'interno della società favorendo in seno al corpo sociale, il confiltto di classe, le lotte operaie e le vertenze territoriali, si potrà uscire fuori da questa crisi.


Un crisi della politica che nasce dal politicismo, l'omologazione e il verticismo.


Chi ci vedeva da fuori ha premiato, negli anni passati, la nostra capacità di non essere uguali agli altri, nei comportamenti e nelle lotte.
Conclusa la parentesi negativa all'interno del Governo Prodi, chi ci vede da fuori, ci ha omologato agli altri.
Chi ci vede da fuori, adesso, esige innovazione e capacità di comprendere la società e le sue repentinee trasformazioni conseguenziali agli effetti deleteri della globalizzazione.


Non consumiamoci con un dibattito tutto interno al nostro Partito.
Apriamo un dialogo continuo con la società.
La forma Partito rimane ancora uno strumento efficace se è capace di sperimentare, innovare e aprirsi sul terreno del conflitto sociale e del lavoro, altrimenti è destinato, schiacciato da questo bieco bipolarismo degli affari (PD, PDL), a morire di morte lenta.




Giacomo Galante

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