Accordo fatto sulla legge elettorale per l'europee previste per il prossimo luglio. A mettersi daccordo sono stati il PD, il PDL e l'Italia dei Valori del neo-fascista Di Pietro.

La volontà è quella di distruggere la sinistra comunista e radicale dal panorama istituzionale. Il dato più preoccupante è che a proporre questa soglia di sbarramento sia il PD. Forse credono di intercettare il voto della sinistra comunista? un tentativo goffo. Noi non voteremo mai per un partito confindustriale che insegue il leederismo berlusconiano.

Seguono le dichiarazioni della segreteria nazionale del PRC.






Sbarramento al 4% alle europee: uno scambio di favori fra Berlusconi e Veltroni. La conferenza stampa di Ferrero
mercoledì 28 gennaio 2009

Clamorosa iniziativa del segretario di Rifondazione Comunista Paolo Ferrero che, per protestare contro il possibile accordo tra maggioranza e Pd di imporre la soglia del 4% di consensi per accedere al parlamento europeo, ha convocato una conferenza stampa di protesta proprio davanti alla sede del partito Democratico, al Nazareno.
“Siamo di fronte a un mercimonio tra Berlusconi e Veltroni – ha rilevato il segretario rispondendo alle domande dei giornalisti - in cui Berlusconi sceglie di salvare Veltroni a scapito della democrazia del paese, in cambio probabilmente di posizioni più morbide sulle intercettazioni, sul federalismo o sul rinnovo del Cda della Rai”. E “Veltroni sta appoggiando lo sbarramento al 4% perché sa che il Pd elettoralmente è in caduta libera. Non si rende conto che creando un bipolarismo tra simili ed escludendo le sinistre, consegnerà il governo al centrodestra per i prossimi 40 anni”.

Sull'ipotesi di un cartello elettorale di tutte le sinistre, Ferrero ha osservato: “La legge non è stata ancora approvata. Quindi non dobbiamo correre. Il paziente è ancora in sala di rianimazione, non è ancora morto”.
Il segretario del Prc non intende però boicottare le alleanze nelle elezioni amministrative: “Le due cose vanno tenute separate”. E alla domanda se non teme uno sbarramento anche per le amministrative, Ferrero ha denunciato che “già lo stanno facendo. Nel Parlamento siciliano, su iniziativa di un deputato del Pd, e' stato approvato lo sbarramento al 5%'.
Tornando sulla questione delle elezioni europee, il leader del Prc ha detto che si tratta di una “legge ad personam inaccettabile”. “La cosa folle poi – ha sottolineato – è che chi in Europa voterà Pd, Di Pietro e Berlusconi sosterrà lo stesso governo, l'unica opposizione siamo noi quindi in Italia ci sarà solo un gran teatro”.
“E' un vulnus nel sistema democratico – ha detto concludendo - per questo abbiamo chiesto in una lettera inviata stasera di essere ricevuti dal Capo dello Stato per chiedere un intervento”.

LETTERA APERTA DI PAOLO FERRERO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NAPOLITANO

mercoledì 28 gennaio 2009

Illustrissimo signor Presidente,
Le chiedo con urgenza un incontro per affrontare il tema del vero e proprio attacco alla democrazia che maggioranza e opposizione parlamentare intendono compiere approvando, a soli 4 mesi dal voto, una riforma della legge elettorale per le prossime elezioni europee che prevede un'unica clausola, l'innalzamento della soglia di sbarramento al 4%. Si tratta di un modo per uccidere la sinistra nel nostro Paese per via elettorale senza alcun rispetto delle opinioni dei cittadini italiani e senza alcun legame con l'esigenza della governabilità, problema che in sede europea non esiste.
Le chiedo dunque di vederLa per spiegarLe le ragioni della nostra contrarietà di fronte a quella che riteniamo una vera lesione delle regole democratiche.
La saluto con viva cordialità, auspicando una Sua pronta risposta a questa mia richiesta.
Paolo Ferrero, Segretario Nazionale del Prc
Roma, 28 gennaio 2008





Pegolo: l'accordo Veltroni-Di Pietro-Berlusconi sullo sbarramento al 4% alle europee: una scelta liberticida contro la sinistra
Dichiarazione di Gianluigi Pegolo, esponente segreteria nazionale PRC - responsabile Area Democrazia e Istituzioni
mercoledì 28 gennaio 2009

L'intesa fra Pd, Italia dei Valori e Berlusconi per lo stravolgimento della legge elettorale europea, con l'introduzione di una soglia dello sbarramento del 4%, è una scelta liberticida che ha un unico obiettivo: liquidare la sinistra per dare via libera al bipartitismo.
Ora, finalmente, si capiscono i motivi per i quali Pd e Italia dei Valori si sono astenuti sul provvedimento sul federalismo fiscale che rappresenta una minaccia evidente all'unità del Paese e all'universalità dei diritti.
L'astensione è stata la merce di scambio per ottenere altri favori, primo fra i quali l'eliminazione dei concorrenti a sinistra nelle elezioni europee.
Se il Pd pensa in questo modo di risalire la china del consenso, sempre più eroso, si sbaglia di grosso. Non solo in questo modo si rompono i rapporti a sinistra, con ciò mettendo in forse molti governi in regioni, province e comuni, ma soprattutto ci si rassegna all'affermazione della definitiva supremazia del centro destra.

Ufficio stampa Prc

Quando un sindaco sceglie un assessore e ci risulta che a Castellammare il sindaco abbia fortemente voluto scegliersi i suoi collabboratori, tutti ci saremmo aspettati che i criteri di scelta si fossero basati su competenze e capacità. Succede adesso che per migliorare il traffico urbano di Castellammare del Golfo è stato conferito dal Sindaco Bresciani all'ingegnere Salvatore Amoroso un incarico di consulenza. Per tale mansione il professionista percepirà la bellezza di 20 mila euro. Una domanda nasce spontanea: ma tale mansione non poteva essere svolta dall'assessore Marilena Barbara che ha anche la delega alla viabilità? La domanda che poniamo ai cittadini risponde all'esigenza di fare fronte alla penuria di risorse comunali anche attraverso un risparmio per spese di consulenza. In tempi non sospetti avevamo chiesto, per fare fronte alla carenza di fondi dell'ente comunale, il dimezzamento dell'indennita di sindaco, assessori e consiglieri comunali e di azzerare le spese per consulenze esterne. La risposta è stata: PICCHE.
Partito della Rifondazione Comunista
circolo di Castellammare del Golfo.

di Roberta Fantozzi.


L'accordo separato firmato da governo, Confindustria, Cisl, Uil, Ugl, non è un evento inaspettato preceduto come è stato dalla lunga serie di accordi separati di categoria. Tanto meno lo è dopo l'offensiva lanciata nei giorni scorsi da Confindustria, Cisl e Uil, e le dichiarazioni di Walter Veltroni. Ma è fortissimo il senso dello strappo, per l'accelerazione che si è prodotta, come per la gravità estrema di quanto è accaduto. Berlusconi cerca di realizzare nuovamente l'obiettivo che segnò il suo governo nel 2002, quando con il Patto per l'Italia puntò ad isolare e marginalizzare la Cgil. Lo vuol fare, oggi come ieri, per realizzare un disegno "costituente" che mira a determinare in senso fortemente regressivo non solo la condizione materiale del mondo del lavoro, ma natura e ruolo dei soggetti sociali e dunque lo statuto della democrazia nel nostro paese. Un disegno persino esibito dalla coincidenza temporale della firma dell'accordo e del primo via libera dato dal parlamento al federalismo. Entrambe scelte "costituenti" che puntano a dividere e frammentare, mettere in contrapposizione i territori come i lavoratori, distruggere i residui elementi universalistici e solidaristici del nostro modello sociale. Entrambe scelte che hanno registrato l'assenza grave dell'opposizione parlamentare. L'accordo firmato riprende, solo sintetizzandolo, il documento di Confindustria che aveva già visto convergere Cisl e Uil. Il contratto nazionale di lavoro viene svuotato di ogni ruolo: non serve a redistribuire la produttività, non serve nemmeno a difendere salari e stipendi dall'inflazione reale. E' viceversa lo strumento della generalizzata e ulteriore riduzione dei salari, legati ad un'indice dell'inflazione "depurato" dall'aumento dei costi dell'energia importata. La contrattazione aziendale, che riguarda meno del venti per cento delle imprese, consente aumenti salariali solo in relazione alla "produttività" e "redditività" delle imprese, all'aumento dello sfruttamento e della fatica del lavoro, ad ulteriori sgravi fiscali e contributivi per le imprese, che si esige diventino "strutturali, certi, facilmente accessibili". Il contratto nazionale potrà essere derogato solo in peggio, mentre nulle sono le garanzie per la stragrande maggioranza dei lavoratori che non accedono alla contrattazione di secondo livello. Si rimanda ad altra sede la definizione delle "modalità per garantire la tregua sindacale", ma la sostanza resta quella di sanzionare e limitare pesantemente il diritto di sciopero. Viene reiterata la previsione di "ulteriori forme di bilateralità per il funzionamento dei servizi integrativi di Welfare", nodo centrale anche del Libro Verde del ministro Sacconi. Il sindacato non è più, secondo l'accordo, il rappresentante autonomo degli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori, organizzazione di conflitto e contrattazione. E' insieme alle imprese il gestore di servizi, di uno stato sociale che vede ritrarsi ruolo e garanzie pubbliche e viene consegnato a logiche privatistiche, a quegli enti bilaterali in cui si sostanzia il ridisegno neocorporativo dell'insieme delle relazioni sociali. Non è un caso che il governo abbia varato in agosto un taglio micidiale delle risorse per sanità, enti locali, istruzione, lavoro pubblico. L'accordo separato è destinato ad aggravare la situazione economica e sociale complessiva, perché impoverisce ancora di più i lavoratori, in una crisi che è determinata esattamente dall'acuirsi delle disuguaglianze, da quel "mondo di bassi salari" prodotto da un trentennio di politiche neoliberiste.La partita non è tuttavia chiusa. Non lo è come non lo fu nel 2002, sebbene sia evidente il quadro peggiore di oggi rispetto a ieri, per la sconfitta della sinistra, per la collocazione del Pd. Non lo è in virtù della tenuta decisiva che la Cgil ha avuto. Non lo è in virtù della disponibilità alla lotta che le lavoratrici e i lavoratori hanno dimostrato, aderendo il 12 dicembre allo sciopero generale della Cgil e dei sindacati di base. Diventa decisiva l'attivazione di una risposta forte nei luoghi di lavoro e nei territori. Una risposta adeguata alla gravità di quanto avvenuto, alla volontà di riscrivere le relazioni sindacali e i rapporti sociali contro la più grande organizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori, impoverire e dividere ulteriormente il mondo del lavoro, distruggere ruolo e autonomia del sindacato. Crediamo sia necessaria la costruzione di un nuovo sciopero generale. Crediamo sia obbligatorio il pronunciamento delle lavoratrici e dei lavoratori sull'accordo. Per parte nostra ci saremo. E' in gioco il futuro dei diritti del lavoro e della democrazia.

Riforma del modello contrattuale
di Loris Campetti

«Ennesimo accordo separato. La riforma del modello contrattuale è stata firmata a palazzo Chigi solo dalle associazioni datoriali insieme a Cisl, Uil e Ugl. La Cgil ancora una volta si dispone a dire «no» all’intesa». Ecco un fulgido esempio di equilibrio - la mitica neutralità dell’informazione - trasformato in un lancio dell’agenzia giornalistica Agi. In quell’«ennesimo» e nell’«ancora una volta» si esprime una netta condanna dell’operato del sindacato di Epifani e a stento si nasconde la gioia per l’isolamento a cui la Cgil è stata costretta dal patto governo-padroni-Cisl e Uil. Si sognano gli anni Cinquanta, è bene saperlo preparandosi a vederne delle belle (si fa per dire). Con la differenza che negli anni Cinquanta esisteva un’opposizione politica forte e determinata che oggi non c’è.

Il testo dell’accordo quadro
ACCORDO QUADRO RIFORMA DEGLI ASSETTI CONTRATTUALI ROMA, 22 GENNAIO 2009
Il Governo e le parti sociali firmatarie del presente accordo, con l’obiettivo dello sviluppo economico e della crescita occupazionale fondata sull’aumento della produttività, l’efficiente dinamica retributiva e il miglioramento di prodotti e servizi resi dalle pubbliche amministrazioni, convengono di realizzare - con carattere sperimentale e per la durata di quattro anni- un accordo sulle regole e le procedure della negoziazione e della gestione della contrattazione collettiva, in sostituzione del regime vigente.Le parti fanno espresso rinvio agli accordi interconfederali sottoscritti al fine di definire specifiche modalità, criteri, tempi e condizioni con cui dare attuazione ai principi, di seguito indicati, per un modello contrattuale comune nel settore pubblico e nel settore privato:1. l’assetto della contrattazione collettiva è confermato su due livelli: il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria e la contrattazione di secondo livello come definita dalle specifiche intese;2. il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria:- avrà durata triennale tanto per la parte economica che normativa;- avrà la funzione di garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati nel territorio nazionale;- per la dinamica degli effetti economici si individuerà un indicatore della crescita dei prezzi al consumo assumendo per il triennio - in sostituzione del tasso di inflazione programmata - un nuovo indice previsionale costruito sulla base dell’IPCA (l’indice dei prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo per l’Italia), depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati. L’elaborazione della previsione sarà affidata ad un soggetto terzo;- si procederà alla verifica circa eventuali scostamenti tra l’inflazione prevista e quella reale effettivamente osservata, considerando i due indici sempre al netto dei prodotti energetici importati;- la verifica circa la significatività degli eventuali scostamenti registratisi sarà effettuata in sede paritetica a livello interconfederale, sede che opera con finalità di monitoraggio, analisi e raccordo sistematico della funzionalità del nuovo accordo;- il recupero degli eventuali scostamenti sarà effettuato entro la vigenza di ciascun contratto nazionale;
- il nuovo indice previsionale sarà applicato ad un valore retributivo individuato dalle specifiche intese;- nel settore del lavoro pubblico, la definizione del calcolo delle risorse da destinare agli incrementi salariali sarà demandata ai Ministeri competenti, previa concertazione con le Organizzazioni sindacali, nel rispetto e nei limiti della necessaria programmazione prevista dalla legge finanziaria, assumendo l’indice (IPCA), effettivamente osservato al nettodei prodotti energetici importati, quale parametro di riferimento per l’individuazione dell’ indice previsionale, il quale viene applicato ad una base di calcolo costituita dalle voci di carattere stipendiale e mantenuto invariato per il triennio di programmazione;- nel settore del lavoro pubblico, la verifica degli eventuali scostamenti sarà effettuata alla scadenza del triennio contrattuale, previo confronto con le parti sociali, ai fini dell’eventuale recupero nell’ambito del successivo triennio, tenendo conto dei reali andamenti delle retribuzioni di fatto dell’intero settore;3. la contrattazione collettiva nazionale di categoria o confederale regola il sistema di relazioni industriali a livello nazionale, territoriale e aziendale o di pubblica amministrazione;4. la contrattazione collettiva nazionale o confederale può definire ulteriori forme di bilateralità per il funzionamento di servizi integrativi di welfare;
5. per evitare situazioni di eccessivo prolungamento delle trattative di rinnovo dei contratti collettivi, le specifiche intese ridefiniscono i tempi e le procedure per la presentazione delle richieste sindacali, l’avvio e lo svolgimento delle trattative stesse;6. al rispetto dei tempi e delle procedure definite è condizionata la previsione di un meccanismo che, dalla data di scadenza del contratto precedente, riconosca una copertura economica, che sarà stabilita nei singoli contratti collettivi, a favore dei lavoratori in servizio alla data di raggiungimento dell’accordo;7. nei casi di crisi del negoziato le specifiche intese possono prevedere anche l’interessamento del livello interconfederale;8. saranno definite le modalità per garantire l’effettività del periodo di “tregua sindacale” utile per consentire il regolare svolgimento del negoziato;9. per il secondo livello di contrattazione come definito dalle specifiche intese - parimenti a vigenza triennale - le parti confermano la necessità che vengano incrementate, rese strutturali, certe e facilmente accessibili tutte le misure volte ad incentivare, in termini di riduzione di tasse e contributi, la contrattazione di secondo livello che collega incentivi economici al raggiungimento di obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza, efficacia ed altri elementi rilevanti ai fini del miglioramento della competitività nonché ai risultati legati all’andamento economico delle imprese, concordati fra le parti;10. nel settore del lavoro pubblico l’incentivo fiscalecontributivo sarà concesso, gradualmente e compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, ai premi legati al conseguimento di obiettivi quantificati di miglioramento della produttività e qualità dei servizi offerti, tenendo conto degli obiettivi e dei vincoli di finanza pubblica;11. salvo quanto espressamente previsto per il comparto artigiano, la contrattazione di secondo livello si esercita per le materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto nazionale o dalla legge e deve riguardare materie ed istituti che non siano già stati negoziati in altri livelli di contrattazione;12. eventuali controversie nella applicazione delle regole stabilite, saranno disciplinate dall’autonomia collettiva con strumenti di conciliazione ed arbitrato;13. la contrattazione di secondo livello di cui al punto 9, deve avere caratteristiche tali da consentire l’applicazione degli sgravi di legge;14. per la diffusione della contrattazione di secondo livello nelle PMI, con le incentivazioni previste dalla legge, gli specifici accordi possono prevedere, in ragione delle caratteristiche dimensionali, apposite modalità e condizioni;
15. salvo quanto già definito in specifici comparti produttivi, ai fini della effettività della diffusione della contrattazione di secondo livello, i successivi accordi potranno individuare le soluzioni più idonee non esclusal’adozione di elementi economici di garanzia o forme analoghe, nella misura ed alle condizioni concordate nei contratti nazionali con particolare riguardo per le situazioni di difficoltà economico-produttiva;16. per consentire il raggiungimento di specifiche intese per governare, direttamente nel territorio o in azienda, situazioni di crisi o per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale, le specifiche intese potranno definire apposite procedure, modalità e condizioni per modificare, in tutto o in parte, anche in via sperimentale e temporanea, singoli istituti economici o normativi dei contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria;17. salvo quanto già definito in specifici comparti produttivi, i successivi accordi dovranno definire, entro 3 mesi, nuove regole in materia di rappresentanza delle parti nella contrattazione collettiva valutando le diverse ipotesi che possono essere adottate con accordo, ivi compresa la certificazione all’INPS dei dati di iscrizione sindacale;18. le nuove regole possono determinare, limitatamente alla contrattazione di secondo livello nelle aziende di servizi pubblici locali, l’insieme dei sindacati, rappresentativi della maggioranza dei lavoratori, che possonoproclamare gli scioperi al termine della tregua sindacale predefinita;19. le parti convengono sull’obiettivo di semplificare e ridurre il numero dei contratti collettivi nazionali di lavoro nei diversi comparti.Le parti confermano che obiettivo dell’intesa è il rilancio della crescita economica, lo sviluppo occupazionale e l’aumento della produttività, anche attraverso il rafforzamento dell’indicazione condivisa da Governo, imprese e sindacati per una politica di riduzione della pressione fiscale sul lavoro e sulle imprese, nell’ambito degli obiettivi e dei vincoli di finanza pubblica.

di Jamil Hilal.


Obiettivo di Israele nell'attacco a oltranza ad Hamas: riaffermare l'egemonia militare nell'area.
Piombo fuso è un avvertimento a Hezbollah, Siria e Iran. Ma l'immagine di uno stato assetato di sangue è una sconfitta politica«Ribadisco che tratteremo la popolazione (di Gaza) con un guanto di velluto». (Il premier israeliano Ehud Olmert). Israele ha cominciato i bombardamenti aerei su Gaza la mattina del 27 dicembre, e l'attacco di terra con i tank e la fanteria ha avuto inizio il 3 gennaio. Al 9 gennaio circa 776 palestinesi (per metà donne e bambini) erano stati massacrati (alcuni corpi si ritiene siano sotto le macerie degli edifici distrutti), e circa 3150 persone ferite. Ospedali, scuole, case e università sono state bersagliate, è stata tagliata l'elettricità, l'assedio di Gaza è stato inasprito all'estremo, e l'infrastruttura di Gaza ha subito un danno incalcolabile. Facendo le debite proporzioni, queste cifre equivarrebbero a 31 mila italiani (o britannici) uccisi e più di 124 mila feriti in meno di undici giorni. Il danno patrimoniale ammonta a miliardi di dollari. Nella minuscola lingua di terra chiamata Gaza, un milione e mezzo di palestinesi (di cui la metà ha meno di 15 anni) è stipato in un'area che non misura più di 362 chilometri quadrati. Questo ne fa la il luogo più densamente popolato del pianeta. Oltre tre quarti della popolazione sono profughi di prima, seconda e terza generazione provenienti da aree su cui Israele ha assunto il controllo nel 1948. La metà dei profughi vive in otto campi profughi che dipendono tuttora dagli aiuti umanitari. Lo spossessamento, l'occupazione prolungata, l'assedio hanno fatto della Striscia di Gaza uno dei posti più sventurati della terra. La ben orchestrata macchina propagandistica ufficiale israeliana, che come al solito recita il ruolo della vittima, ha parlato a un Occidente (Usa e Europa) ricettivo delle «estreme sofferenze» patite dagli israeliani: loro, che hanno le armi nucleari, si sentono minacciati dai razzi di Hamas. La propaganda però non spiega perché questi razzi vengono lanciati. Prima che Gaza fosse trasformata dagli israeliani in un mattatoio, nei sei mesi precedenti era stato ucciso un israeliano. E da quando il guanto di velluto dell'esercito ha trasformato Gaza in un grande campo di prigionia, altri tre israeliani (tra i quali un palestinese con cittadinanza israeliana) sono stati uccisi dai razzi. Va ricordato che imporre un assedio e un blocco a una popolazione civile è un atto di guerra, che mira a sottomettere la volontà degli assediati. Il fatto che Gaza è sotto occupazione diretta e indiretta sin dal 1967 non viene detto dai media ufficiali israeliani né dalla gran parte dei media occidentali.


Un enorme campo di prigionia

La macchina propagandistica israeliana evita anche di spiegare perché tutte le fazioni politiche palestinesi (e non solo Hamas) il 19 dicembre 2008 non hanno riconfermato la tregua di sei mesi (iniziata il 18 giugno 2008). La semplice verità è che la tregua era stata rispettata da parte palestinese, ma non dall'esercito israeliano, che ha continuato i suoi omicidi di militanti palestinesi e il suo assedio di Gaza. La tregua non era stata estesa fino a coprire la Cisgiordania, dove gli insediamenti coloniali hanno continuato a espandersi, e Israele ha continuato l'incarcerazione di militanti palestinesi, che ora ammontano a più di 10mila (l'equivalente di 250mila italiani in carcere per ragioni politiche). Tra quelli che sono ancora nelle prigioni israeliane vi sono circa 40 membri eletti del Consiglio legislativo palestinese.Ora sappiamo dai giornali israeliani che l'operazione Piombo fuso è stata pianificata sotto la supervisione del ministro della difesa Barak nel giugno 2008, cioè sei mesi prima della guerra a Gaza (27 dicembre 2008). In altre parole, la guerra israeliana contro Gaza non è stata una reazione alla violazione della tregua da parte dei palestinesi. Le motivazioni erano altre .Il ritiro unilaterale da Gaza di Sharon nel 2005 avrebbe dovuto mettere fine all'occupazione militare di Israele su quella lingua di terra palestinese. Ma la mossa, molto pubblicizzata, non era niente più che una mistificazione, perché Israele ha continuato a mantenere il pieno controllo sui varchi, sullo spazio aereo, sulle acque extraterritoriali, sull'economia, sull'elettricità e su molte altre cose. Terminata l'occupazione diretta, Gaza è stata trasformata in un enorme campo di prigionia. Israele possedeva la chiave dei suoi pochi ingressi, e ha continuato con le incursioni militari e gli omicidi a suo piacimento. In breve, Gaza è stata soggetta a un sistema di punizione collettiva. Ma questo è in linea con la politica - perseguita da tempo da Israele - di criminalizzare i palestinesi etichettandoli come «terroristi» inidonei a gestire uno stato, come incivili, ecc.Dopo la vittoria elettorale di Hamas nel 2006, per la macchina propagandistica di Israele è stato facile promuovere in Europa e negli Usa la sua politica di punizione collettiva con la scusa di «combattere il terrorismo». Così, nel settembre 2007, Israele ha dichiarato Gaza «territorio ostile». Vale la pena ricordare che nel marzo 2002 Israele inviò i suoi tank, i suoi F16 e gli elicotteri Apache in Cisgiordania per distruggere i posti di polizia, le sedi dell'Autorità palestinese (compreso il quartier generale di Arafat, che fu messo agli arresti domiciliari) e le infrastrutture, sempre con il pretesto di combattere il «terrorismo». Perché quasi sempre qualunque violenza esercitata dai deboli è etichettata «terrorismo» mentre la violenza esercitata dalle grandi potenze (tra cui gli Usa e Israele) è definita «anti-terrorismo».

Campagna tesseramento 2009

Il 24 e 25 Gennaio è partita la campagna di tesseramento al PRC. Tutti coloro i quali fossero interessati a condiviedere con noi esperienze di lotta e di politiche alternative e radicali sono invitati a tesserarsi.



In calce viene pubblicato un post di Claudio Grassi (Segreteria Nazionale, Resp. Organizzazione Prc)
Il 24 e 25 gennaio parte la Campagna tesseramento 2009
Quando abbiamo deciso, il cinque dicembre scorso, di lanciare la campagna del tesseramento il 24 e 25 gennaio, non potevamo certo sapere che, in contemporanea, si sarebbe consumata l'ennesima scissione da Rifondazione Comunista. Purtroppo, invece, è quanto avverrà (la scissione è gia avvenuta). A Chianciano, infatti, una parte di quella che è stata la seconda mozione congressuale, deciderà di uscire dal nostro partito. Credo sia una scelta profondamente sbagliata poiché, in nome della parola d'ordine di unire la sinistra e di fare un partito più grande, in realtà si divide la sinistra dando vita a un partito più piccolo di Rifondazione. Una scelta sbagliata, che rompe con il percorso di Rifondazione Comunista, determinando uno sbocco "moderato". Essa, infatti, ben lungi dall'essere sollecitata da movimenti o istanze di lotta, si incrocia a livello nazionale con un pezzo di Sinistra Democratica - quindi con compagni che fino allo scorso anno hanno militato nei Ds - e a livello europeo con il Partito Socialista. Io rispetto i compagni e le compagne che faranno questa scelta, ma, oltre a non condividerla, vorrei anche dire loro che potevano essere più sinceri nel condurre la battaglia politica. Il progetto politico sul quale si impegnano uscendo da Rifondazione è quello di costruire un partito di sinistra non comunista. Non credo che questo convincimento lo abbiano maturato negli ultimi quindici giorni. Perché allora è stato reiteratamente negato nel dibattito congressuale? Perché, quando in un qualche congresso qualcuno di noi diceva che volevano superare Rifondazione Comunista, si replicava che era una calunnia? E perché hanno sempre dichiarato che quale fosse stato l'esito del congresso sarebbero rimasti comunque nel Partito e invece oggi fanno una scissione? Non era più onesto dirlo chiaramente a tutti gli iscritti che partecipavano ai congressi, prima di chiedere il loro voto?La verità è che tutto questo non è stato fatto poiché la stragrande maggioranza delle iscritte e degli iscritti di Rifondazione Comunista, non condividendo lo scioglimento del Prc né, tanto meno, una scissione, non avrebbero mai votato un documento che lo proponeva. Infatti, come si vede anche dai diversi appelli pubblicati in questi giorni su Liberazione , sono sempre più numerosi i compagni e le compagne che, pur avendo votato il secondo documento e pur continuando a condividere il progetto politico in esso contenuto, hanno deciso di rimanere nel Partito. Le notizie che abbiamo è che questo fenomeno più si scende verso il basso - arrivando nelle federazioni e nei circoli - e più è diffuso. La nostra opinione è che vada incoraggiato. Anzi vorrei qui avanzare un vero e proprio appello: rimanete nel Partito! Quale che sia la vostra posizione politica, c'è posto per tutti. La nostra gente è stanca di scissioni e di divisioni. E non si può inventare un partito ogni due anni. A sinistra del Pd c'è principalmente Rifondazione che, pur con tutti i suoi limiti, ha saputo, con fortune altalenanti in questi 18 anni, essere punto di riferimento di una sinistra di classe e anticapitalista. Perché non investiamo tutti sul suo rilancio? Certo, stiamo attraversando un momento difficile, ma si può ripartire. E' stata capace di farlo la Lega che negli anni passati è uscita da una crisi gravissima puntando con forza su identità e radicamento territoriale, perché non dovremmo riuscirci noi? In questo contesto le due giornate di apertura del tesseramento che terremo il prossimo fine settimana assumono un particolare significato. Le notizie che abbiamo sono incoraggianti. Saranno centinaia le assemblee che sabato e domenica si terranno in tutta Italia. Da quando abbiamo aperto il tesseramento numerosi compagni e compagne hanno chiesto l'iscrizione online attraverso il nostro sito. Sono significative anche le richieste di reiscrizione di chi si era allontanato dal Partito negli anni passati. Ma perché oggi iscriversi ad un partito politico, e che per di più si chiama Rifondazione Comunista? Il concetto è molto semplice: perché senza una forza politica organizzata non si riesce a sostenere e dare continuità ed efficacia ad alcun progetto politico e perché senza una connotazione nettamente anticapitalista, quindi comunista, è inevitabile il risucchio nell'alternanza bipolare. Chiediamo quindi alle federazioni e ai circoli che non lo hanno ancora fatto, di organizzare nelle prossime giornate, un'iniziativa per il tesseramento. I compagni e le compagne della Direzione nazionale sono a disposizione per parteciparvi. Vi chiediamo di organizzarle con il massimo di apertura, coinvolgendo il più ampio numero di persone possibile, prestando una particolare attenzione ai migranti. Nel fare tutto questo non dobbiamo dimenticarci di Liberazione. Il nostro quotidiano sta attraversando un momento delicato, ma non possiamo farne a meno. E' uno strumento fondamentale, dobbiamo sostenerlo e aiutare la nuova Direzione che sta facendo tutto il possibile per rilanciarlo. Lo possiamo fare concretamente comprando il giornale, facendo in modo che ogni circolo sottoscriva un abbonamento, riprendendo la diffusione militante. Cominciamo da questo fine settimana.

Riporto la comunicazione pervenutami per conto dei Giovani Comunisti della Provincia di Trapani.


"Comunichiamo a tutte le associazioni, i partiti, i sindacati e i singoli cittadini interessati che i Giovani Comunisti della Provincia di Trapani stanno organizzando una fiaccolata in memoria di tutti i morti sul lavoro. Ci sentiamo obbligati ad organizzare un'iniziativa del genere, soprattutto dopo le morti di Mimmo Iovino e di Rosario Di Gaetano. Pensiamo sia il caso di ricordare l'importanza di tragedie come queste e ci auguriamo che non accadano più. Speriamo nella partecipazione di tutti e vi invitiamo a mandarci eventuali adesioni o idee per la fiaccolata. Proponiamo di organizzarla per Sabato 31 Gennaio dalle ore 20 con partenza da Piazza Vittorio Emanuele. Alleghiamo anche la bozza del volantino e auspichiamo una vostra attiva partecipazione.


Giovani Comunisti/e della Provincia di Trapani

comunicato stampa

Circa la campagna informativa sulla raccolta differenziata promossa dall'amministrazione comunale e prevista per la giornata di sabato 24 gennaio, il Partito della Rifondazione Comunista, circolo di Castellammare del Golfo, esprime soddisfazione per una manifestazione che si muove nella direzione di pratiche politiche partecipate da sempre promosse dalla compagine comunista. Qualunque processo che aiuti a costruire una cittadanza attiva e responsabile viene accolta con favore dal PRC purchè non diventi l'occasione per vetrine politiche. Del resto, compito della politica è anche quello di formare ed educare i cittadini. Con lo stesso comunicato si coglie l'occasione per ricordare al Sindaco e alla sua Giunta che ancora il problema delle discariche abusive a cielo aperto permane, come segnalato da tanti cittadini, e che sia giunto il momento di porvi rimedio con azioni forti ed efficaci.
Segreteria circolo PRC
Castellammare del Golfo.

Il governo e le parti sociali hanno siglato un accordo sul nuovo modello contrattuale unico per i settori pubblico e privato. No della Cgil, mentre l'associazione delle banche e l'Ania si riservano di firmare nei prossimi giorni.

Con la riforma si supera l'accordo sulla politica dei redditi siglato nel 1993 che aveva l'inflazione programmata come indice di riferimento per i rinnovi contrattuali, e si valorizza il secondo livello di contrattazione con la possibilità di premi-produttività.
La Cgil aveva chiesto modifiche al testo come condizione per sottoscrivere l'accordo. Il sindacato guidato da Guglielmo Epifani, che non aveva condiviso, a differenza di Cisl e Uil, la piattaforma presentata nei mesi scorsi dagli industriali, aveva definito una follia fare la riforma con la crisi in atto.
La riforma ha carattere sperimentale, prevede che i contratti collettivi di lavoro abbiano vigenza triennale (da biennale) sia per la parte nazionale che per il secondo livello che sarà aziendale o in alternativa territoriale.
Il contratto nazionale disciplina la parte obbligatoria, quella normativa e quella economica e definisce anche le materie affidate alla contrattazione di secondo livello che deve riguardare invece materie e istituti diversi rispetto alla parte nazionale. Il secondo livello consente l'istituzione di un premio variabile, sulla base della produttività.


La posizione ufficiale del Partito della Rifondazione Comunista sul nuovo modello contrattuale è stata chiarita dal segretario nazionale Paolo Ferrero che ha evidenziato come l'accordo separato senza la cgil lo pagheranno sulla loro pelle i lavoratori.


Ecco nel dettaglio la posizione espressa dal segretario del PRC.

Contratti: L'accordo separato lo pagheranno i lavoratori
giovedì 22 gennaio 2009
Dichiarazione di Paolo Ferrero, segretario nazionale Prc-Se:


“L’accordo separato sulla contrattazione dirotta ancor più i costi della crisi verso i lavoratori e le loro famiglie, indebolendoli ulteriormente rispetto alle imprese.
La firma dell’accordo quadro avvenuta in serata a palazzo Chigi senza la Cgil rappresenta l’effettivo compimento della linea del governo Berlusconi, che persegue da lungo tempo la divisione dei sindacati. Saranno infatti i lavoratori a trovarsi in condizione di ulteriore debolezza rispetto alla crisi: divisi e sottoposti a ricatti, arbitrarietà, volubilità delle imprese.
Nel giorno in cui il senato dà il primo via libera al federalismo fiscale, l’accordo separato fa da corollario aprendo la strada alla reintroduzione delle gabbie salariali e alle politiche sperequative perseguite dalla destra.
Rifondazione Comunista ringrazia e sostiene la Cgil per non aver firmato un’intesa che determinerà un’ulteriore riduzione dei salari reali, un peggioramento delle condizioni di lavoro, un approfondimento delle disuguaglianze del paese. E s’impegna sin d’ora a organizzare l’opposizione concreta all’accordo nei luoghi di lavoro e in tutto il paese. Si può soltanto augurarsi che tutta l’opposizione faccia sentire unitariamente la propria voce al fianco dei lavoratori e della Cgil, che Pd e Idv si pronuncino chiaramente contro l’accordo e s’impegnino da subito a contrastarlo in modo risoluto e efficace”.

La direttiva annunciata dal ministro Maroni contro i cortei "selvaggi" contempla anche una cauzione come forma di garanzia per eventuali danni arrecati dai partecipanti.

Niente più manifestazioni davanti ai luoghi di culto. Lo ha deciso il ministro dell'Interno Roberto Maroni sulla scia delle polemiche seguite alla preghiera islamica in piazza Duomo a Milano a conclusione di un'iniziativa di solidarietà con la popolazione palestinese della Striscia di Gaza. "Ho preparato una direttiva, ha affermato il responsabile del Viminale nella giornata di ieri rispondendo ad un'interrogazione al question time alla Camera, che verrà inviata a tutti i prefetti affinché fatti come quelli avvenuti davanti al Duomo di Milano non abbiano a ripetersi".
Il ministro ha poi ribadito che l'obiettivo è quello di "meglio regolare le manifestazioni, garantendo il diritto di manifestare e allo stesso tempo il diritto dei cittadini a fruire pacificamente degli spazi della propria città". E quanto agli incidenti che si sono verificati con alcuni esponenti dei centri sociali - "gruppi isolati vicini alle frange anarchico-insurrezionalisti che tentano ancora di strumentalizzare momenti di aggregazione per recuperare visibilità" - Maroni ha sottolineato che la "responsabilità d'intervenire spetta all'autorità giudiziaria". "Le forze dell'ordine - ha sostenuto - garantiscono il diritto di manifestare, sempre nel rispetto della legalità". Sulla questione sollevata dal Minstro degli Interni sorge un dubbio più che legittimo: come sarà possibile conciliare il diritto di manifestare liberamente con una direttiva ministeriale che nei fatti impedisce le manifestazioni in tutte le piazze italiane che come è noto sone ricche di chiese e qindi di uogo di culto? Sembra piuttosto che una direttiva tesa a regolamentare i cortei una direttiva per imbavagliare le persone e piegarle alla logica del pensiero unico.
Inoltre, Il 19 gennaio scorso, nell’indifferenza dei media ufficiali, il governo ha tramutato in legge il decreto sul «pacchetto sicurezza», un provvedimento che, in nome di un’«emergenza sicurezza» tutta da dimostrare, rischia di ridurre sempre più i diritti e le libertà dei cittadini. A partire, ovviamente, dai soggetti più deboli, come i migranti, a cui viene riservata una sorta di legislazione speciale che rischia di violare il principio costituzionale di uguaglianza. A Roma, nelle ultime settimane, diverse reti migranti, nate attorno al circuito dei corsi di lingua italiana dei centri sociali, hanno promosso una campagna contro il «pacchetto sicurezza» che per la prima volta vede un diretto protagonismo dei cittadini stranieri. Le prime assemblee si sono svolte nel centro sociale Ex Snia Viscosa, nel quartiere Prenestino, una zona con un’alta densità di popolazione migrante. Centinaia di persone hanno discusso di una «campagna di resistenza» ai provvedimenti del governo che ha fissato una prima scadenza per venerdì 31 gennaio, un corteo cittadino che attraverserà le zone centrali della città, a partire da piazza Vittorio, simbolo della città meticcia . «Le norme contenute nel Pacchetto – si legge nell’appello che promuove la manifestazione – prevedono una politica fondata esplicitamente su misure segregazioniste e razziste per le persone migranti, con o senza permesso di soggiorno, le prime ad essere additate come figure pericolose e causa di ‘allarme sociale’, e su nuove e ancora più drastiche misure repressive contro chiunque produca conflitto e non rientri nelle maglie strette del controllo». L’appello segnala i punti più pericolosi della legge approvata dal governo: tra queste, l’obbligo di dimostrare l’idoneità alloggiativa per ottenere l’iscrizione anagrafica [che colpisce migranti, senzatetto, occupanti di casa e chiunque non possa permettersi un’abitazione «regolare»] e le norme per la «difesa del decoro urbano», che prevedono sanzioni penali più pesanti per chiunque venga sorpreso a scrivere sui muri. Ma i dispositivi della legge colpiscono in primo luogo i cittadini migranti: la persona senza permesso di soggiorno rischia di essere denunciata dal medico se si reca al pronto soccorso, non potrà più riconoscere i figli e le figlie, non potrà sposarsi né inviare i soldi alla famiglia. Inoltre, la norma introduce la detenzione nei Cie [Centri di identificazione, gli ex Cpt] fino a 18 mesi, una nuova tassa per la richiesta o il rinnovo del permesso di soggiorno, condizioni più ristrette per acquisire la cittadinanza e, infine, il reato di ingresso e soggiorno illegale nello stato.Venerdì 23 gennaio, alle ore 19, all’ex cinema Volturno occupato, nei pressi della stazione Termini, si terrà un’assemblea pubblica per organizzare la manifestazione del 31 gennaio.

Per tutte le informazioni sulla manifestazione del 31 gennaio contro il pacchetto sicurezza: http://nopacchettosicurezza.noblogs.org/

Gli effetti negativi del "Veltrusconismo".

Per capire ed analizzare gli effetti negativi del "veltrusconismo" ci serviamo di due articoli uno attuale apparso su liberazione di oggi 22 Gennaio a firma di Dino Greco, un altro, meno recente, che tenta di delineare gli aspetti della politica di "opposizione" della compagine veltroniana. Una nuova posizione politica che basa le sue fondamenta sulla opposizione soft e su pratiche consociativistiche.



Il Partito democratico lascia sola la Cgil
tratto da Liberazione
di Dino Greco

Veltroni si schiera e va all'attacco del lavoro. Su tutto il fronte. La lunga intervista concessa ieri al Sole 24 Ore , malgrado qualche passaggio criptico, non lascia margini d'equivoco. La latitudine dell'intervento è vastissima. Innanzitutto le pensioni, tema sensibile su cui da oltre tre lustri si sforbicia a oltranza. La disponibilità dichiarata è quella ad un «adeguamento dei coefficienti che darebbe un po' di respiro ai conti pubblici». In soldoni, ciò vuol dire che per destinare qualche risorsa all'estensione degli ammortizzatori sociali per la platea che ne è ancora priva bisogna decurtare il valore delle pensioni. Ancora una volta la tesi è che l'operazione si deve fare "a costo zero", spalmando quel che c'è, togliendo da una parte ciò che si mette dall'altra: tutto rigorosamente dentro il perimetro del lavoro. Poi Veltroni si allarga, e in una esternazione dall'afflato formalmente unitario chiede al sindacato di superare vecchie incrostazioni ideologiche e riprendere il cammino unitario. Ma l'appello, con tutta evidenza, non è neutro. E' sulla Cgil che si fa pressione. Dopo una sequenza impressionante di accordi separati (commercio, lavoratori pubblici, scuola, Telecom, ecc.) ed altri in gestazione (sul testo unico in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e in alcuni grandi gruppi industriali), Cisl e Uil si apprestano ora a sottoscrivere con le associazioni imprenditoriali - complice il governo - un accordo generale sul modello contrattuale. Veltroni non può non saperlo. Ma proprio mentre Guglielmo Epifani spiega le robuste ragioni che impediscono alla Cgil di unirsi al coro, egli rivolge alla Cgil l'invito a piegarsi al diktat confindustriale. Che, come è noto, delinea e formalizza un modello negoziale imperniato sulla progressiva eutanasia del contratto nazionale, sulla riduzione programmata dei salari, su una contrattazione integrativa limitata ad un'area ristretta di lavoratori e di lavoratrici, subordinata ad un aumento della fatica, delle ore lavorate e legata alle performance dei bilanci aziendali. Veltroni non può non vedere che quell'intesa incide nella carne viva delle relazioni industriali, muta il carattere stesso del sindacato, ne compromette l'autonomia, prefigura un sindacato consociativo che sostituisce la contrattazione con una rete di commissioni bilaterali. Ma è esattamente questo sindacato, aconflittuale, collaborativo, sterilizzato della sua identità progettuale, ad inscriversi perfettamente nella cosiddetta cultura "riformista".
22/01/2009


Che cos’è il veltrusconismo?
articolo di Carlo Gambescia
Esistono termini che raffigurano perfettamente una situazione. Di più: che possono aiutare a “categorizzare” concettualmente un fenomeno sociopolitico. Uno di questi è senz’altro quello di veltrusconismo, che ha il pregio di ricondurre sotto la stessa categoria due importanti personaggi politici italiani: Veltroni e Berlusconi, apparentemente diversi…
Il veltrusconismo rinvia però a due fenomeni generali, che caratterizzano la politica delle democrazie europee post-caduta dell’ Unione Sovietica. Il primo è quello della politica-spettacolo. Il secondo è quello della politica-interesse. Due fenomeni che hanno radici culturali e politiche statunitensi. Ma questa è un’altra storia…
Fare politica-spettacolo significa trasformare sistematicamente in evento politico, non il problema che deve essere risolto, ma la promessa di soluzione del medesimo fatta pubblicamente dal leader a coloro che "subiscono" il problema stesso. Il fatto politico, grazie alla complicità dei media, diviene non la situazione di disagio, ma il leader, che visita e stringe le mani, dei “disagiati”, magari mostrando grande commozione. Si sposta, insomma, l’attenzione, dalle cause (pubbliche) alle qualità (private) carismatiche del leader Fare politica-interesse significa costruire una politica fondata solo sugli interessi. Sostanzialmente, la politica diviene gestione economica degli eventi della politica-spettacolo.
Pertanto per un verso il leader intesse rapporti con quei poteri economici che consentono la realizzazione degli eventi ( e che ovviamente non danno nulla per nulla); per l’altro gli stessi eventi sono presentati come grandi successi e segni di progresso sociale. Oppure, brutalmente, lo stesso leader privilegia di fatto gli interessi privati (spesso addirittura personali) rispetto a quelli pubblici. In conclusione finiscono per contare soltanto le presunte qualità carismatiche di un leader, al tempo stesso capace di divertire e apparentemente mediare tra gli interessi: “divertire”, attenzione, nel senso latino del termine “divertere”, volgere in altra direzione...
In buona sostanza, perciò il veltrusconismo è un continuo sviamento dai problemi veri. Una “tecnica” che ha le sue radici profonde nell' atteggiamento carismatico del leader, attentamente costruito nel tempo, grazie a complicità sistemiche. Il che rivela, però, due debolezze di fondo.
La prima è che lo “sviamento” può essere valido fin quando non si diventa Presidente del Consiglio. Perché, una volta ghermito il potere, l’attendismo carismatico non basta più, si deve decidere e dunque assumere posizioni politiche autentiche (nel senso della decisione come inevitabile fonte di conflitto). E qui è inutile ricordare il fallimento “politico” di Berlusconi. Quanto a Veltroni, basta sottolineare che non gli sarà possibile governare una nazione, organizzando festival cinematografici in tutte le città e stringendo ogni giorno la mano a sessanta milioni di italiani.
La seconda debolezza è evidenziata dal fatto che quando Berlusconi e Veltroni sono costretti ad assumere posizioni politiche “vere” affiora subito la natura conservatrice del loro sentire. Praticamente in tema di economia e politica estera hanno le stesse posizioni: sono entrambi favorevoli al lavoro flessibile, ai tagli al welfare e a una politica estera filoamericana.
Nonostante tutto, il veltrusconismo sembra oggi vincente. Perché? In primo luogo è favorito dal sistema di potere economico che vi scorge un utile alleato. In secondo luogo è apprezzato, diciamo così, dalla cultura postmoderna dell’ effimero, che si nutre e nutre, in tutti i sensi, il veltrusconismo.
In terzo luogo, la caduta (per alcuni provvisoria) delle grandi ideologie ha favorito la personalizzazione della politica e la riduzione di essa a puro patto di scambio - basato sugli interessi e non sulle passioni politico-ideologiche - tra leader e cittadini sempre più desiderosi, grazie a quella cultura dell’effimero veicolata dai media, di “divertirsi”… Di dimenticare i problemi, pensando ad altro.
In conclusione, piaccia o meno, se non muteranno le basi sociali e culturali di cui sopra, sarà molto difficile liberarsi dal veltrusconismo. Sempre che non intervenga una gigantesca crisi economica, capace di rimettere in gioco tutto. Ma a quel punto il processo di recupero delle diverse identità e delle passioni collettive potrebbe essere complicato da quel bisogno di affidarsi a un leader decisionista, che i gruppi sociali, soprattutto se disgregati, mostrano regolarmente nelle grandi crisi storiche.
Così al veltrusconismo, almeno in linea ipotetica, rischia di sostituirsi un “grandefratellismo” totalitario, segnato non da mostre del cinema e “Contratti con gli Italiani” ma da grandi parate militari.

Articolo tratto da liberazione del 21.01.2009 di Dino Greco il nuovo direttore del giornale comunista.


L'altra America alla prova. Con questo titolo abbiamo aperto il giornale di ieri, in attesa del discorso di investitura di Barack Obama, per rappresentare la consistenza delle aspettative e, contemporaneamente, l'inanità del compito. E lui, il primo presidente nero del più potente paese del mondo, non ha deluso. Nella imponente scenografia davanti al Campidoglio si è colta una connessione sentimentale fra il neo presidente americano e il suo popolo, segnata da un'autenticità reale. L'attesa di una svolta profonda nei metodi e nei contenuti della politica americana - screditata fino all'impresentabilità dall'amministrazione Bush e travolta nella sua presunzione di onnipotenza dal tracollo economico finanziario - era davvero grande. Neppure i legittimi dubbi suscitati dalla scelta degli uomini chiave dell'establishment e da qualche evidente torsione moderata del programma con cui Obama aveva galvanizzato l'America liberal nel corso della campagna elettorale hanno affievolito un feeling che ora dovrà superare la prova del governo. Proporremo nei prossimi giorni una riflessione più accurata e articolata. Su alcuni punti merita tuttavia soffermarsi subito. Innanzitutto la voglia di scrollare di dosso dall'America l'odio, il sentimento di repulsione che la sua politica di potenza guerrafondaia si è guadagnata in giro per il mondo. La rivendicazione della pace, la mano tesa al mondo musulmano, la condanna della violenza, dei massacri di inermi, il futuro da assicurare ad ogni bambino e ad ogni latitudine sono parse evocare i drammi recenti in terra di Palestina. Il leit motiv della sicurezza del popolo americano è stato coniugato con il rispetto dei diritti umani. E poi la crisi, non solo dovuta all'inopinata irresponsabilità di pochi, ma frutto di errori di fondo che hanno compromesso diritti fondamentali, al lavoro, all'istruzione, all'abitazione, all'assistenza sanitaria, ad una retribuzione e ad una previdenza decenti. Il mercato resta (poteva non esserlo?) il perimetro dentro il quale ricostruire l'economia, ma va posto sotto controllo perché altrimenti esso diventa una cuccagna per i ricchi ed un lavacro per i poveri. Ed anche la crescita del Pil non dice nulla se non c'è redistribuzione della ricchezza. Sembra incrinarsi, sotto i colpi della crisi, l'antica mitologia che vuole il tenore di vita del popolo americano non negoziabile: «Il declino - dice Obama - non è inevitabile, ma dobbiamo cambiare i nostri obiettivi», il modo di produrre, in una neonata vocazione ecologica. «Useremo il sole, il vento, la terra», in una sorta di riconciliazione con la natura. E poi l'appello conclusivo alla responsabilità, condito tuttavia da un inconsueto, esplicito richiamo alla necessità di coniugare e non più contrapporre libertà ad uguaglianza.

Chi ha ucciso Livorno? Craxi proudhoniano.

Articolo di Giuseppe Prestipino
su Liberazione del 21/01/2009


Il craxismo fu un passaggio decisivo nell'attacco all'idea comunista
La storia dell'opposizione politico-sociale in Italia percorre almeno quattro fasi. La prima fu forse in varia misura caratterizzata da un ribellismo sociale principalmente contadino e/o meridionale, ancorché in alcune regioni e città si diffondessero le diverse correnti socialiste, il movimento cooperativo e, dopo la Rivoluzione di ottobre, gli esperimenti consiliari di autogestione nelle fabbriche e la stampa alternativa a quella socialista, come prime avvisaglie della scissione di Livorno. La seconda fu la fase dell'opposizione politica clandestina, comunista ma anche socialista e liberaldemocratica, contro il fascismo. La terza fu, dopo la caduta del fascismo, la fase della "democrazia organizzata" in un partito comunista di massa, capace di educare anche le plebi alla graduale conquista di "fortezze e casematte" combattendo la (gramsciana) "guerra di posizione". A Livorno era nato il Pcd'i. L'autentico atto di nascita del Pci non è tanto nella Resistenza o nella "svolta di Salerno", quanto nelle lotte per i decreti Gullo e soprattutto nella Costituzione repubblicana, che vede decisivamente impegnati tre "ordinovisti" torinesi: uno dei tre, Gramsci, presente-assente (presente come ispiratore) e gli altri due protagonisti di primo piano nell'elaborazione della Carta (Togliatti) e nel presiedere i lavori dei costituenti (Terracini). La quarta è la fase di una nuova ribellione quasi-anarchica, ma non più di plebi rurali o urbane, perché i suoi attori sono principalmente gruppi di piccoli intellettuali (diciamo "piccoli" per differenziarli dai "grandi intellettuali", mediatori coscienti del consenso a sostegno di industriali e agrari, scrutati dalle analisi gramsciane). In quest'ultima fase, studenti e mondo della scuola scuotono dapprima il sistema, in specie nel '68-69 e sotto i cartelli inneggianti alla vittoria vietnamita, contribuendo così alla rinnovata elaborazione teorica di Panzieri e di altri, alla conquista di nuovi spazi democratici e culturali-formativi anche a beneficio della classe operaia, a sua volta in forte movimento (tuttavia organizzato o non soltanto spontaneo). Ma, ben presto, alcuni appartenenti a quella generazione scelgono di assecondare, per un loro tornaconto personale, il disegno di restaurazione in atto ad opera del capitale e diventano giornalisti di destra o funzionari di azienda o infine consiglieri del principe nell'ultimo reame neoliberista. Altri scelgono la strada illusoria e rovinosa della lotta armata. Altri ancora, con il loro radicalismo anarchico o libertario e con la loro ingenua polemica contro la forma-partito (non soltanto novecentesca), si prestano senza volerlo al ben più accorto e insidioso giuoco delle destre "democratiche" ultra-conservatrici. Quest'ultima è la tipologia che caratterizza specialmente il periodo attuale. E' evidente che le diverse tipologie possono talvolta convivere o intrecciarsi tra loro. Un passaggio esemplare ritroviamo nel craxismo, ideologia anti-comunista che, sul terreno "teorico" rivaluta l'anarchismo precoce di Proudhon, sul terreno politico strizza l'occhio ai gruppi armati e ai sequestratori di Moro (non propriamente per sensibilità umanitaria) e sul terreno economico porta all'apice, senza pudori, la commistione tra politica e affari, spianando il terreno (senza volerlo) alla stagione di "mani pulite". La voce di Enrico Berlinguer sulla diversità comunista, sulla questione morale come dovere politico e sull'austerità come sinonimo di critica politica all'incipiente consumismo di massa, quella voce resta inascoltata.Sul versante teorico il trapasso, specialmente in Italia, dal partito comunista al democraticismo e alle tendenze neo-libertarie fa seguito alle polemiche contro lo storicismo. Il canone teorico-politico del Pci, almeno a partire dalle "Tesi di Lione", è storicistico anche nel senso di realistico: non si può ignorare la realtà storica sul tronco della quale ciascun partito innesta la propria lotta. Togliatti cerca una via italiana per un salto diverso, non più esplosivo come nel 1917, dalla tradizione all'innovazione. Lo storicismo gramsciano è antitetico ad altri storicismi, in specie a quello crociano, la cifra del quale è la discontinuità nella continuità, laddove per Gramsci è la continuità nella discontinuità. E' la differenza, appunto, tra dialettica conservatrice e dialettica innovatrice, una differenza non percepita da coloro che deplorano, nel Pci, un presunto storicismo della continuità, proprio poiché essi stessi, invece, ravvisano un'inesistente "continuità" tra Croce e Gramsci. Dagli anni '70 in poi non soltanto il Pci si allontana da Gramsci, ma una malcelata fragilità accomuna anche i suoi intellettuali più prestigiosi. I non frequenti tentativi di fare teoria trapelano tra le righe dell'esegesi marxiana, non si avventurano in una distinzione, se si vuole più "scolastica", tra le "revisioni" teoriche e le reintepretazioni filologicamente rigorose dei testi marxiani. E oggi i "superatori" del comunismo hanno basi teoriche? Poche e deboli. Le proposte di Toni Negri e di Marcello Cini, come dimostra Raul Mordenti, fraintendono Marx e assolutizzano la sostituzione del lavoro fisico con quello immateriale, enfatizzato in maniera non dialettica e debitrice di un pensiero occidentale che ricalca il vecchio dualismo tra anima e corpo. Si legga invece l'ultimo libro di André Tosel, Un monde en abîme? Essai sul la mondialisation capitaliste (Editions Kimé, Paris, 2008). La novità di quest'ultima mondializzazione capitalistica consiste nell'aver unificato non soltanto il mercato delle merci e delle comunicazioni, in specie delle comunicazioni tra le borse (ciò che in varia misura è già accaduto in passato), ma anche e soprattutto il mercato del lavoro "materiale", che ieri aveva i suoi luoghi di elezione in ambiti nazionali e diviene oggi «sottomissione mondiale del lavoro»: il capitale importa e esporta mano d'opera o "eserciti di riserva" da un paese all'altro, mettendo in atto una strategia complessa in forza della quale la frammentazione dei lavori procede di pari passo con il nuovo mercato unificato del lavoro. I vari razzismi, etnicismi, comunitarismi sono le stratificazioni del lavoro, anche in ciascuno Stato, a scopo di divisione e reciproca ostilità tra i lavoratori, specie se di diversa nazionalità, e per una rinnovata solidarietà verticale neo-corporativa tra lavoratori e datori di lavoro in una pluralità di livelli gerarchici che fa rivivere, dentro l'iper-moderno, le società premoderne. Compito di ciascuno Stato nazionale è di «assicurare la gestione differenziata della forza lavoro» e di pilotare, scrive Tosel, «la deregolazione come forma nuova della regolazione, non come il suo contrario», cercando di occupare una posizione più alta nella competizione delle sue imprese transnazionali sul mercato mondiale. «Il Presidente della Repubblica concepisce il proprio ruolo come quello di un capo-commesso viaggiatore».Non soltanto in Francia. Il futuro Presidente della Repubblica italiana "fondata sul lavoro" è un imprenditore viaggiante in prima persona (specialmente, sull'etere).


Attraverso un articolo di Paolo Ferrero, segretario nazionale del Partito della Rifondazone Comunista, integrato da alcune informazioni storiche su alcune tappe fondamentali riguardanti i movimenti rivoluzionari di massa dell'est Europa, vi invitiamo a riflettere sul significato delle radici storiche del comunismo e sui principi di rifondazione del comunismo che danno significato alla presenza di una forza come Rifondazione Comunista nel panorama della politica attuale dominata dal pensiero unico.

Ottantantotto anni fa nasceva a Livorno il partito Comunista d’Italia, sezione dell’internazionale comunista. Dopo la sconfitta del biennio rosso e del movimento di occupazione delle fabbriche, l’incapacità del partito Socialista di dirigere positivamente il movimento di massa veniva sancito da questa rottura. Il movimento operaio italiano non nasceva in quel passaggio, ma li si decise una svolta, si decise il cambiamento del nome: da li in poi, anche in Italia, i rivoluzionari si sarebbero chiamati comunisti.

Il cambio del nome nacque dalla necessità di distinguersi dai partiti socialisti. Questi erano stati travolti; prima dall’incapacità di tenere una posizione autonoma dalle varie borghesie nazionali nella gigantesca carneficina che fu la prima guerra mondiale; poi dall’incapacità a definire uno sbocco rivoluzionario alla crisi post bellica. I partiti socialisti si erano rivelati una guida fallimentare per i lavoratori e così, i rivoluzionari, dopo la vittoria in Russia, decisero di segnare nettamente la differenza, addirittura con il cambio del nome.

La presa della sede degli Zar (anche se lo Zar era ormai caduto) fu il momento simbolico culminante, e al tempo stesso l'azione decisiva, per la rottura dello stato di cose esistenti in Russia alla fine del 1917 e per l'instaurazione del potere bolscevico. Se è evidente che quest'azione ebbe caratteri militari, non è possibile ridurre tutta la complessa rivoluzione russa a quest'evento, né d'altro canto vedere la vittoria di Lenin come risultante del solo "colpo di mano" dell'ottobre (novembre, secondo il calendario occidentale). Si perderebbe così di vista il movimento di organizzazione dei soldati, dei contadini e dei lavoratori dell'immenso impero e la complessa dialettica dei partiti e delle correnti rivoluzionarie che hanno avuto luogo in nome della pace, della “terra ai contadini”, dell’autodeterminazione dei popoli.

Quaranta anni fa Jan Palach si dava fuoco in piazza Venceslao a Praga per protestare contro l’invasione sovietica della Cecoslovacchia.
Nel tardo pomeriggio del 16 gennaio 1969 Jan Palach si recò in piazza San Venceslao, al centro di Praga, e si fermò ai piedi della scalinata del Museo Nazionale. Si cosparse il corpo di benzina e si appiccò il fuoco con un accendino. Rimase lucido durante i tre giorni di agonia. Ai medici disse d'aver preso a modello i buddisti del Vietnam. Al suo funerale, il 25 gennaio, parteciparono 600 mila persone, provenienti da tutto il Paese.

Quel’invasione, che seguiva di 12 anni l’invasione dell’Ungheria, metteva la parola fine alla primavera di Praga. Chiudeva brutalmente il più importante tentativo di autoriforma avvenuto nei paesi a socialismo reale. I sistemi politici nati con la rivoluzione russa evidenziavano in modo drammatico di essere entrati in contraddizione totale con le aspirazioni che li avevano generati. La speranza di trasformazione sociale che il comunismo aveva portato al punto più alto nel mondo moderno, con una rivoluzione che aveva sovvertito completamente l’ordine sociale, veniva annichilita sotto i cingoli dei carri armati.
Per questo il nostro partito oggi si chiama Partito della Rifondazione Comunista. Perché ci sentiamo in piena sintonia con quei rivoluzionari che assaltarono il palazzo d’inverno e che diedero vita al Partito Comunista d’Italia e perché siamo consapevoli che i sogni e le speranze di quei rivoluzionari sono stati negati, calpestati ed offesi a Praga, a Bucarest come a Berlino nel 1953.
I moti operai del 1953 in Germania Est si svolsero nel giugno e luglio del 1953. Uno sciopero degli operai edili si trasformò in una rivolta contro il governo della Germania Est. A Berlino la rivolta venne schiacciata con la forza dal Gruppo delle Forze Sovietiche in Germania.

Rifondazione Comunista, due termini che si sostengono e si qualificano a vicenda. L’uno senza l’altro perdono di significato, non possono esprimere il senso del nostro progetto, sono muti. Rifondazione Comunista non è solo il nome del partito ma il nostro progetto strategico: rendere attuale il comunismo attraverso il suo processo di rifondazione, che matura e cresce interagendo con le soggettività antagoniste.
Da qui ripartiamo oggi. Nella consapevolezza che gli ultimi tempi il progetto della rifondazione comunista è stato pesantemente attaccato e messo in discussione da chi ha proposto di abbandonare ogni riferimento al Comunismo. La rifondazione senza il comunismo non è l’approdo naturale della nostra storia ma la negazione radicale della nostra ragione di esistenza. La rifondazione senza il comunismo è la pura riedizione dell’occhettismo, cioè l’innovazione senza principi e la perdita di ogni autonomia politica.

Ricordiamo quindi oggi quel lontano 21 gennaio 1921, nella piena consonanza di ideali e di propositi, per proporre il rilancio del progetto della rifondazione comunista. Questo non avviene nel vuoto pneumatico, non avviene nel cielo delle ideologie; avviene nel bel mezzo di una gravissima crisi economica che mostra, una volta di più, il volto distruttivo del capitalismo. Quella in cui siamo entrati è una crisi pesantissima, che durerà a lungo e che cambierà profondamente il nostro modo di vivere. E’ una crisi “costituente” in cui si intrecciano crisi economica, crisi sociale e crisi della politica. Il parallelo storico che salta agli occhi è quello con la Germania della repubblica di Weimar, in cui identità sociali e politiche consolidate si sfaldarono e il disagio e le paure sociali vennero egemonizzate dalla barbarie razzista.

Ricostruire una speranza. Ricostruire un efficace conflitto di classe, forme di solidarietà e di mutualismo, evitare le guerre tra i poveri. Far vivere nel conflitto la lotta per le libertà e per l’eguaglianza. Prospettare una uscita da sinistra da questa crisi, in termini di intervento pubblico per la ristrutturazione ambientale e sociale dell’economia e di redistribuzione del reddito e del potere. Queste sono le sfide a cui dobbiamo saper rispondere nella costruzione dell’opposizione. Non si tratta di proseguire come ieri. Rifondazione Comunista non si salva conservandola ma spendendola nella capacità di dare una risposta alla crisi, sommando spirito unitario e determinazione, nella forte sintonia che ci lega alle esperienze latinoamericane. Il Partito Comunista Italiano seppe costruire il suo ruolo e la sua ragion d’essere politica nella lotta partigiana, nell’abbattimento del regime fascista e nella costruzione della democrazia in Italia. Noi oggi vogliamo rilanciare il nostro progetto di rifondazione comunista nella capacità di dare una risposta, in basso a sinistra, a questa crisi.

Economia e lavoro: sale solo la disoccupazione.

di Roberto Tesi
su Il Manifesto del 20/01/2009


Per la Commissione il 2009 sarà un anno terribile in tutta Europa. In Italia il Pil diminuirà del 2%. Boom del deficit e debito pubblico
I numeri della crisi sono neri perché, per dirlo con il commissario Ue agli affari economici Almunia, il futuro è decisamente «nero» e la recessione sarà durissima, soprattutto nel primo semestre. E non solo in Italia, per la quale, confermando le previsioni della Banca d'Italia, la Ue prevede una caduta del Pil del 2,0% nel 2009. Ma, come avverte il rapporto presentato ieri con un mese di anticipo rispetto alla scadenza tradizionale di febbraio, le cose potrebbero andare anche peggio delle già nere previsioni perché «ci troviamo di fronte alla peggiore crisi che l'economia mondiale abbia attraversato dalla seconda guerra mondiale».Secondo il Rapporto della Commissione Ue, quest'anno nei 16 paesi dell'euro il Pil segnerà complessivamente una caduta dell'1,9%. A diminuire saranno i consumi, ma soprattutto gli investimenti. E uno dei tonfi maggiori sarà registrato in Germania: quella che un tempo era la locomotiva d'Europa, con una discesa del prodotto lordo del 2,3% nel 2009, sta trascinando ora tutti gli altri paesi all'ingiù. Il paese più colpito dalla recessione sarà l'Irlanda (-5%), massacrata dalla crisi finanziaria. In Spagna, la crisi del settore delle costruzioni, spingerà il Pil al ribasso del 2%, mentre in Francia la discesa sarà dell'1,8%.A fronte della caduta del prodotto, in tutti i paesi aumenterà il deficit pubblico che nell'eurozona si attesterà al 4% rispetto al Pil, con voragini in Irlanda (11%), Spagna (6,2%) e Francia (5,4%). Il crollo più preoccupante è però quello dei posti di lavoro: la disoccupazione è prevista in forte crescita sia quest'anno che nel 2010. Solo nel 2009 andranno distrutti 3,5 milioni di posti di lavoro. Secondo le stime dalla Commissione, il numero delle persone senza lavoro nei 16 paesi dell'euro salirà dal 7,5% del 2008 al 9,3% del 2009, per portarsi al 10,2% nel 2010. Nell'insieme dei 27 membri dell'Unione, dove lo scorso anno il tasso di disoccupazione si è attestato a quota 7%, si prevede che nel 2009 si passerà all'8,7% e nel 2010 al 9,5 per cento. Il paese più colpito dalla disoccupazione sarà la Spagna: nel 2010 il tasso di disoccupazione salirà a quasi il 19%, che significa un disoccupato ogni 5 lavoratori. In questa situazione recessiva, ovviamente l'inflazione (3,3% nel 2008) è attesa per quest'anno in discesa (all'1,0%), mentre se a fine 2009 dovesse esserci una leggera ripresa, l'inflazione risalirebbe all'1,8% nel 2010 (3,3% nel 2008). Ma veniamo all'Italia. I pessimi numeri italiani non sono peggiori rispetto a quelli degli altri paesi di Eurolandia. Forse perché un paese che in condizioni normali cresce meno degli altri, risente in modo più contenuto degli sbalzi dovuti alla crisi. Ad ogni buon conto, la decrescita nel 2009 (dopo il -0,6% del 2008) è fissata al 2%, mentre per il 2010 si attende una modesta ripresa dello 0,3%, comunque minacciata da mille variabili negative. Sul fronte dei conti pubblici, non stupisce che il deficit tornerà in forte crescita e quest'anno schizzerà - sforando il parametro di Maastricht del 3% al 3,8% (un punto in più rispetto al 2008), scendendo appena di un decimale (cioè al 3,7%) alla fine del 2010. La crescita del deficit sarà accompagnata da un fortissimo aumento del debito pubblico - il più alto d'Europa - che nel 2008 è arrivato al 105,7% del Prodotto interno lordo, nel 2009 schizzerà al 109,3% e nel 2010 continuerà la sua corsa toccando il 110,3%. E questo, a meno di un nuovo crollo dei tassi di interesse - costerà molto caro all'erario. Inoltre, avverte Bruxelles, il debito potrebbe ulteriormente lievitare nel caso lo stato si trovi costretto a «ricapitalizzare» qualche banca in crisi. Come per il resto dell'Europa, la discesa del Pil sarà accompagnata da una forte crescita del tasso di disoccupazione che passerà dal 6,7% dello scorso anno all'8,7% del 2010. Il che significa che avremo almeno un milione di nuovi disoccupati, visto che accorre aggiungere a chi perde il posto anche le nuove forze di lavoro giovanili che non riusciranno a trovare occupazione. La misura della crisi è stata data dal commissario Ue agli Affari economici, Joaquin Almunia, che presentando a Bruxelles le sue previsioni economiche straordinarie ha indicato che il primo semestre del 2009 «sarà la fase peggiore della recessione, quindi nella seconda metà dell'anno dovrebbe esserci una ripresa, anche se modesta e graduale». Almunia ha annunciato una raffica di procedure per deficit eccessivo, spiegando che il 18 febbraio inoltrerà al consiglio dei ministri delle finanze Ue (Ecofin) una serie di rapporti sulla situazione (anticamera del procedimento). Ma, rispetto al passato, per non mettere il cappio al collo di chi sta male, le procedure non imporranno risanamenti immediati e non dovrebbero scatenare scontri con i governi. Almunia ha anche detto di non vedere un rischio deflazione (1% nel 2009 per zona euro, 1,2% per l'Italia) e ha definito irrealistica la possibilità che gli stati messi peggio vadano in default o escano dalla zona euro.

Con un'ordinanza il sindaco Bresciani informa i cittadini sul corretto conferimento dei rifiuti, il cui servizio di raccolta e smaltimento è stato affidato all’Agesp S.p.a. e su alcune novità introdotte, allo scopo di migliorare il servizio, quali la raccolta differenziata, che, secondo quanto riportato dall'addetto stampa del Sindaco, partirà a breve per i cittadini, mentre è già attiva per gli esercizi commerciali. Sul fatto che la raccolta differenziata sia già stata attivata per gli esercizi commerciali manifestiamo perplessità e chiediamo alcuni chiarimenti. Ci risulta difficile pensare, infatti, che questa raccolta differenziata possa essere efficace, in quanto il servizio di raccolta dei rifiuti non viene espletato la domenica. Si capisce bene come la maggior parte dei rifiuti si accumuli il sabato notte proprio quando le pizzerie, i pub e i bar lavorano di più e fino a tarda notte. Per questo chiedamo che il servizio di raccolta sia attivo anche la domenica. Non dimentichiamo che entro il 2006 era obbligo di tutti i Comuni raccogliere in maniera differenziata almeno il 35% dei rifiuti (in origine tale percentuale era da raggiungere nel 2003); la nuova normativa prevede l'obbligo di raggiungere il 65% entro il 2010. In molti dei Comuni che primeggiano nella raccolta differenziata viene applicato un incentivo diretto alla selezione. In pratica viene applicato il principio "più inquini più paghi". Per contro più ricicli più risparmi. Per applicare una misura precisa di quanto il cittadino sia bravo il comune vende gli unici sacchetti abilitati allo smaltimento dei rifiuti non riciclabili al costo del sacchetto più il costo dei rifiuti che questo contiene. Quindi se un cittadino differenzia bene i suoi rifiuti dovrà acquistare meno sacchi. Questo principio basato sull'incentivazione ad inquinare di meno potrebbe essere applicato da subito e, in un primo momento, in via sperimentale ai pubblici esercizi.

L’ordinanza del sindaco, in particolare, prevede anche una serie di divieti che riguardano l’abbandono indiscriminato di rifiuti, ingombranti e non, per strada o accanto ai cassonetti già pieni. Su questo punto non possiamo che trovarci daccordo con le disposizioni del Sindaco, vorremmo però che venissero disciplinate, previa una buona pubblicizzazione, attraverso un progetto di educazione ambientale che inizi con le scuole fino a coinvolgere i genitori.

L’ordinanza, inoltre, stabilisce che dal 15 maggio al 15 settembre, i rifiuti urbani vanno conferiti negli appositi cassonetti, in sacchetti chiusi, tutti i giorni della settimana, dal lunedì alla domenica, dalle 19 alle ore 6 del giorno successivo; mentre dal 16 settembre al 14 maggio, i rifiuti vanno conferiti negli appositi cassonetti, dal lunedì al sabato, dalle 17 alle 6 del giorno successivo. Negli altri orari non è consentito disfarsi dei rifiuti.

Per i cittadini serviti con il sistema della raccolta porta a porta, dal 15 maggio al 15 settembre è previsto di esporre il sacchetto contenente rifiuti, debitamente legato, dinanzi la propria abitazione, in tutti i giorni della settimana, dalle 6 alle 9. Dal 16 settembre al 14 maggio il sacchetto potrà essere esposto dal lunedì al sabato, dalle 6 alle 9. In questo caso si riproponerebbe il problema della raccolta di rifiuti nelle domeniche del mese con i conseguenziali disagi.

I cittadini potranno conferire i rifiuti elencati nell’ordinanza(carta e cartone, vetro e lattine, plastica), escluso gli imballaggi in legno, tutti i giorni ed in tutte le ore, nei cassonetti della raccolta differenziata appositamente contrassegnati e dislocati nell'abitato.

I rifiuti urbani pericolosi (farmaci scaduti – siringhe…), negli appositi contenitori, tutti i giorni ed in tutte le ore. Per le attività commerciali(bar - ristoranti – pizzerie… ), il conferimento dei rifiuti differenziati, che è già attivo, dovrà essere effettuato mediante l’utilizzo dei contenitori concessi. L'esposizione del contenitore dovrà avvenire secondo il seguente calendario, escluso i festivi: il cartone sarà raccolto il martedì e venerdì, e dovrà essere esposto dalle 6 alle 9. Stessa ora per gli altri materiali: la plastica sarà raccolta il mercoledì, il vetro e le lattine il giovedì; la carta il lunedì; gli imballaggi in legno, invece, saranno raccolti il sabato e dovranno essere esposti davanti gli esercìzi commerciali, dalle 6 alle 11. L’umido sarà raccolto dal lunedì al venerdì ed il contenitore dovrà essere esposto dalle 6 alle 9. Non comprendiamo il significato dell'esposizione del contenitore su cui chiediamo chiarimenti.

I rifiuti ingombranti, i beni durevoli di uso domestico ed i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), dovranno essere conferiti direttamente al personale dell'Agesp, che ha attivato un servizio gratuito per il ritiro a domicilio, previo appuntamento telefonico(0924-31724). Il ritiro avverrà dalle 6 alle 9, secondo il seguente calendario: il lunedì i materassi, il mercoledì le apparecchiature elettriche ed elettroniche, tranne frigoriferi, televisori e monitor, che saranno raccolti il giovedì. Sabato: beni durevoli in legno(poltrone, sedie, tavoli…). I produttori di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, non assimilabili agli urbani (materiali provenienti da lavori edili o stradali, parti di autoveicoli, oli esausti, pneumatici fuori uso, scarti di macellazione…), devono provvedere a loro cura e spese ad un adeguato smaltimento, recupero o trattamento.

Tante le raccomandazioni dell’ordinanza: conferire nei bidoni della raccolta differenziata, bottiglie, scatolette, buste, lattine… opportunamente svuotate (per evitare cattivi odori), ed opportunamente schiacciate o piegate (per ridurne l’ingombro). Non conferire nei bidoni della raccolta differenziata i bicchieri, i piatti e le posate in plastica, perché si tratta di plastica non riciclabile. A tutti i concessionari di suolo pubblico, ed in particolare agli esercenti di alimenti e bevande (baristi), l’ordinanza ricorda che, in virtù del regolamento comunale per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche e per l'applicazione della relativa tassa, "devono mantenere costantemente pulita l'area loro assegnata". I trasgressori dell’ordinanza saranno puniti con una sanzione amministrativa pecuniaria che va da 25 a 155 euro. Auspichiamo che tutte queste raccomandazione siano ampiamente pubblicizzate al fine di rendere più efficente un servizio che negli ultimi anni è stato molto scadente arrecando un'immagine negativa al Paese.





Il Partito della Rifondazione Comunista
circolo di Castellammare del Golfo.

Mike Davis: Il mondo è diventato infiammabile.

L'analisi di quello che sta accadendo nel vasto mondo dei movimenti riteniamo sia necessaria per potere comprendere quali trasformazioni stanno caratterizzando la nostra società.
Attraverso questo articolo apparso sul Manifesto di 50 euro speriamo di contribuire a creare un momento di riflessione attraverso il punto di vista di Mike Davis.
Mike Davis (1946) è teorico dello sviluppo urbano e sociogeografo. Molto conosciuto per le sue prese di posizione politiche, ha al suo attivo numerosi libri. Insegna alla University of California. Tra le sue opere più apprezzate: Città di quarzo (manifestolibri 1991); Cronache dall’Impero (manifestolibri 2004); Geografie della paura (Feltrinelli 1999); I latinos alla conquista degli Usa (Feltrinelli 2001); Olocausti tardovittoriani (Feltrinelli 2002); Città morte. Storie di inferno metropolitano (Feltrinelli 2002).



"Penso che le nostre società siano ormai oltre modo sature di una rabbia non riconosciuta, che può improvvisamente cristallizzarsi intorno a un abuso di polizia o a una repressione di stato. Il seme della rivolta ha già palesemente dato il suo frutto, ma la società borghese a malapena riconosce il suo raccolto.
A Los Angeles, nel 1992, ad esempio, ogni adolescente in strada (o, inversamente, ogni poliziotto di ronda) sapeva che la battaglia conclusiva stava arrivando. Tra i giovani e il governo cittadino si stava aprendo una spaccatura sempre più ampia, tale da essere ben evidente anche per l’osservatore meno accorto: arresti di massa settimanali, innumerevoli pestaggi di ragazzi disarmati da parte della polizia, la schedatura ingiustificata dei giovani black, l’esercizio vergognoso di una giustizia a due pesi e due misure, e così via. Eppure, una volta arrivati allo scoppio decisivo, sulla scia della sentenza giudiziaria che assolse la polizia colpevole di aver picchiato Rodney King fin quasi alla morte, le élite politiche e mediatiche reagirono quasi come se una forza segreta e imprevedibile si fosse liberata dalle profondità della terra.
I media (che perlopiù osservavano dall’alto degli elicotteri) in seguito cercarono di far passare nell’opinione pubblica una percezione della rivolta basata sulla drastica semplificazione e stereotipizzazione: gangs di neri appiccavano fuoco nelle strade e depredavano. In realtà la sentenza del caso Rodney King divenne il nucleo attorno al quale istanze di lotta, fra loro molto diverse, coalizzarono. Delle migliaia di arrestati solo pochi erano davvero membri di gang, e addirittura appena un terzo erano afro-americani. La maggioranza era composta di poveri immigrati o dei loro figli arrestati per furto di pannolini, scarpe e televisori nei negozi di quartiere. L’economia di Los Angeles attraversava allora (esattamente come oggi) una forte recessione, che colpiva maggiormente i quartieri «latinos» a sud e a ovest di downtown; ma la stampa non si era mai occupata della loro miseria esistenziale, così l’esistenza di una «rivolta del pane» all’interno del movimento fu quasi completamente ignorata.
In maniera simile, oggi, in Grecia, un’«ordinaria» atrocità della polizia finisce per scatenare una rivolta che viene etichettata come rabbia inspiegabile e attribuita ad oscuri anarchici: mentre, in realtà, una «guerra civile a bassa intensità» sembra aver caratterizzato da tempo la relazione tra la polizia e diversi strati giovanili.
Non ho alcuna qualificazione per esprimermi sulla specificità della situazione greca, ma ho l’impressione che ci siano qui importanti discontinuità rispetto alla Francia del 2005. La segregazione spaziale degli immigrati e delle fasce povere giovanili appare meno estrema che a Parigi, mentre le prospettive di lavoro per i figli della piccola borghesia sono considerevolmente peggiori: l’intersezione di queste due circostanze porta nelle strade di Atene una miscela più varia di studenti e giovani disoccupati. Inoltre i giovani greci appartengono a una tradizione di protesta continua e a una cultura di resistenza che è unica in Europa.
Quali sarebbero le richieste avanzate dai manifestanti greci? Sicuramente percepiscono con chiarezza spietata che la depressione globale preclude le riforme tradizionali del sistema educativo e del mercato del lavoro. Perché dovrebbero aver fiducia in un’iterazione del Pasok e delle sue promesse mancate? Ma è vero anche che si tratta di una tipologia originale di rivolta, prefigurata dagli scoppi precedenti di Los Angeles, Londra, e Parigi, ma derivante da una nuova e più profonda consapevolezza: che il futuro è già stato derubato in anticipo. Infatti, quale generazione nella storia moderna (a parte i figli dell’Europa del 1914) è mai stata così globalmente tradita dai propri padri?
Mi angoscio su questo punto perché ho quattro figli, e anche il più giovane di loro comprende che il loro futuro potrebbe essere radicalmente diverso dal mio passato. La mia generazione di «baby-boomers» consegna ai suoi eredi un’economia mondiale collassata, un picco stupefacente di disuguaglianza sociale, guerre brutali combattute sulle frontiere imperiali, e un clima planetario fuori controllo.
Atene è considerata da molti come la risposta alla domanda: «dopo Seattle, cosa ancora?» Il riferimento è alle dimostrazioni anti-Wto e alla «battaglia di Seattle» del 1999, quando si aprì una nuova era di protesta non violenta e di attivismo civile. L’incredibile popolarità dei social forum mondiali, i milioni scesi in strada nel 2003 contro l’invasione dell’Iraq da parte di Bush, il supporto diffuso al protocollo di Kyoto, tutto ciò aveva alimentato l’enorme speranza che un «altro» mondo fosse possibile
Eppure la guerra non è finita, le emissioni di gas serra sono aumentate, e il movimento dei social forum sta languendo. Un intero ciclo di proteste è giunto al termine proprio quando le caldaie del capitalismo globale di Wall Street sono esplose, rivelando in un sol colpo problemi radicali insieme a nuove opportunità per il radicalismo.
La rivolta di Atene mette fine a un lungo periodo di aridità e di rabbia. Il suo nucleo sembra insofferente agli slogan speranzosi e alle soluzioni ottimistiche - distinguendosi così dalle spinte utopistiche del 1968 e dallo spirito fiducioso del 1999. L’assenza di domande di riforma, di sicuro, è ciò che scandalizza di più, non i cocktail di molotov o lo vetrine rotte dei negozi. Non somiglia granché alla sinistra studentesca degli anni ‘60, né alle rivolte intransigenti dei sottoproletari anarchici di Montmartre alla fine dell’Ottocento, e neanche al «Barrio Chino» di Barcellona durante i primi anni ‘30.
Alcuni attivisti, naturalmente, considerano i fatti di Atene come una riproposizione dello stile di protesta di Seattle, alterato da un certo quoziente di «passionalità mediterranea». Questa interpretazione funziona all’interno del paradigma «Obama-porterà-il-cambiamento», che legge il presente come un ritorno dei movimenti di riforma politica degli anni ‘30 e degli anni ‘60.
Ma altri giovani attivisti di mia conoscenza rifiutano questa lettura. Si identificano piuttosto (così come fecero gli anarchici fin de siècle) con una «generazione perduta», e vedono nelle strade di Atene il metro appropriato alla loro rabbia. È sicuramente pericoloso sopravvalutare l’importanza di una rivolta che ha uno specifico contesto nazionale, ma il mondo è diventato infiammabile, e Atene è la prima scintilla.
(Trad. Nicola Vincenzoni)".

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