di Tonino Bucci
su Liberazione del 17/02/2009
Intervista a Abdel Jabbar, sociologo, docente all'università di Torino.


Gli stupri non sono un'emergenza di questi giorni. L'anno scorso in Italia sono stati denunciati 4.465 casi di violenza sessuale. Le vittime sono per il 68 per cento donne di nazionalità italiana. Nei casi restanti il 9,4 sono rumene e il 2,7 marocchine. Il dato significativo è che il 58 per cento degli stupratori sono italiani mentre i rumeni sono il 9,2. Gli aggressori rumeni sono pari alle donne rumene vittime di violenza sessuale.I numeri stridono con l'ondata di xenofobia montata dopo i casi di stupri di questi giorni. Il populismo del governo rischia di saldarsi con la reazione emotiva, gli immigrati diventano per il senso comune portatori di culture minacciose, nemici di un'Italia dei territori assediata. Ne abbiamo parlato con Abdel Jabbar, sociologo e studioso dei processi migratori, membro del comitato scientifico e docente al master di comunicazione e mediazione interculturale all'università di Torino.
Il rischio è che la questione degli stupri sia usata per costruirci un discorso "neocoloniale". C'è uno spostamento nel senso comune, il problema sono gli immigrati e le culture straniere propense per definizione allo stupro. Quanto c'è di falso in questa associazione tra stupro e provenienza culturale?
La violenza contro le donne va condannata e punita.Questo deve essere chiaro. Non si può minimizzare o fare finta di nulla. Ma utilizzare il tema dello stupro in termini strumentali contro gli stranieri e gli immigrati è altrettanto inaccettabile. La storia ha dimostrato che i maschi hanno esercitato violenza nei confronti delle donne indipendentemente dalla cultura d'appartenenza. Se si leggono i dati sugli stupri in Italia e non si vuole fare solo della demagogia, ci si rende conto che la maggioranza delle violenze avviene tra le mura domestiche e sono commessi da maschi italianissimi e cattolici.
Nell'anno scorso sono state denunciate quasi 4500 violenze. Quelle commesse da rumeni sono poco più del nove per cento. Quindi non è questione di nazionalità. O no?
Vero, ma oggi nel mercato della politica lo stupro commesso da uno straniero è molto più spendibile. In una fase di crisi caratterizzata dalla paura e dall'insicurezza si cerca di indicare un capro espiatorio. Non si parla più di politiche migratorie se non in termini, appunto, di repressione e discriminazione. E così i casi che possono suscitare una reazione di sdegno e di odio verso gli immigrati diventano materia prima per legittimare una politica securitaria. Non si vuole affrontare la questione della migrazione in termini di diritti, come un tema sociale e politico. Si parla solo di strumenti repressivi. Ma così non si migliorerà certo la qualità di vita né delle donne né della società nel suo insieme. Si lavora soltanto alla produzione dell'odio, del rancore, di recinti. Il diverso diventa una patologia, un nemico, una fonte di pericolo.
Si riduce lo stupro a un problema esclusivo di ordine pubblico e di quanti poliziotti si possono schierare agli angoli della strada. Ma possono funzionare queste ricette?
Non credo che la presenza delle forze dell'ordine possa funzionare da deterrente per queste orribili pratiche. Ci vuole una grande politica. Occorrono, da un lato, leggi severissime, ma dall'altro anche interventi sociali e culturali. Ma le donne devono essere messe anche in grado di denunciare gli stupri perché sono ancora tantissime quelle che subiscono in silenzio.
Le politiche securitarie scavano solchi. Qui invece occorre più integrazione. Lo stupro non è la manifestazione più brutale e odiosa di chi vive e lavora segregato ai margini della società, quasi una sorta di forma disumana di rivalsa, un degrado innescato dal degrado?
Lo stupro è trasversale a tanti contesti culturali e nello stesso tempo è condannato da tutte le culture. Non c'è nessun contesto culturale che legittimi o permetta lo stupro, come qualcuno vorrebbe farci credere. Quindi lasciamo perdere le spiegazioni culturali. Il degrado spesso favorisce ceoncezioni degradate delle relazioni umane. Però è anche vero che tante persone vivono situazioni di esclusione ma non vanno in giro a stuprare. Non c'è nessun automatismo tra degrado e violenza sulle donne. Spesso è un problema di personalità. Né la cultura di provenienza, né la condizione sociale di degrado sono sufficienti per produrre l'atto dello stupro. La spiegazione che gli immigrati sono di culture diverse e quindi commettono stupri è una spiegazione fasulla. Alcuni stupratori sono rumeni, ma ci sono tantissimi rumeni che non compiono violenze. Non c'è automatismo. Il degrado sì, va preso in considerazione, ma l'elemento determinante è la responsabilità soggettiva, la personalità, le caratteristiche individuali. Le generalizzazioni vanno evitate. Certo che se mettiamo le persone problematiche in contesti degradati la probabilità delle violenze sulle donne aumenta. Il degrado può far precipitare determinate caratteristiche in individui con una certa personalità. Ma altra cosa sono le schematizzazioni, il ricorrere all'appartenenza culturale per spiegare lo stupro, il dire che l'immigrato è stupratore perché è culturalmente diverso. Sono falsità. Non c'è automatismo, l'albanese o il rumeno non commette stupro in quanto albanese o rumeno. Ci sono italiani stupratori che non vivono neppure in contesti degradati.
Non c'è relazione tra stupro e cultura o tra stupro e condizione sociale. Però una componente culturale c'è ed è il maschilismo. O no?
Un retaggio maschilista c'è. Trovo più corretto parlare di cultura maschilista che appartiene anche alla storia europea. Fino a non molto tempo fa in Italia c'era l'attenuante del delitto d'onore. Il maschilismo è un elemento trasversale che attraversa culture e contesti sociali differenti. Discutiamo allora tutti, italiani e non, del potere maschile sul corpo della donna. Non c'è nessuno immune.
C'è Forza Nuova che condanna le violenze solo in quanto a compierle sono stranieri che vengono a violentare "le nostre donne". Questo è un esempio del maschilismo di quella destra che fomenta campagne di odio verso gli immigrati. E' così?
L'estrema destra non solo fa riferimento alla cultura della virilità, ma vede nello straniero un pericolo che minaccia la purezza delle "nostre donne".
Persino l'opinione progressista sembra cedere al populismo. Un commento di ieri su "Repubblica" a firma di Michele Serra invitava a trasformare la scomposta paura popolare in forme proficue di controllo sul territorio. Come si può pensare di democratizzare le ronde leghiste?
Oggi c'è un rischio di tribalizzazione della società. Tutto è tribalizzato, l'acqua, la sanità, la scuola e anche la sicurezza. Ma così si dà a una forza politica e ideologica come la Lega la legittimità di esercitare una sovranità sul territorio. Ciò che ha caratterizzato gli Stati democratici è stato il monopolio della forza e della violenza quando è necessaria. Oggi c'è un ritorno alla tribalizzazione, al comunitarismo, all'identarismo, al localismo, alla piccola patria. Ogni gruppo pretende di esercitare la sovranità sul proprio territorio in base a riferimenti ideologici. A questo dobbiamo esser capaci di contrapporre forme di organizzazione dal basso. Ma questo è un altro ragionamento. Vuol dire organizzarsi per sostenere gli anziani, per produrre maggiore solidarietà con le persone in difficoltà. I territori oggi sono attraversati dal rancore. Le ronde simboleggiano la paura e invece abbiamo bisogno di più legami all'interno dei quartieri e dei territori, di una comunità in cui tutti possano vivere bene. Qui sì, la società civile deve assumersi le sue responsabilità senza delegare la sicurezza alle ronde, a gruppi che hanno una visione ostile verso l'altro, verso l'immigrato. Giusto che si organizzi, ma non per formare ronde armate che difendono il proprio recinto rancoroso. Altrimenti andremo verso una società fatta di gruppi in perenne conflitto tra loro.

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