In marcia per la salute di tutte e tutti.

La salute pubblica è un diritto di tutti. Per questo domani sabato 28.02.2009 davanti l'entrata dell'ospedale di Alcamo i circoli territoriali del PRC di Castellammare del Golfo e Calatafimi-Segesta diranno no ai tagli alla sanità e ribadirrano il loro si ad una sanità che non faccia distinzioni in base al reddito e che possa rispondere ai bisogni di tutte le persone.
Circolo PRC
Castellammare del Golfo.

Colpo di stato

I nuovi provvedimenti del Governo Berlusconi ledono uno dei diritti fondamentali sanciti dalla nostra costituzione: il diritto allo sciopero. La carta dei diritti per il nostro premier equivale a carta straccia. Segue un'ampia rassegna stampa che delinea il quadro della situzione grave in cui tutti siamo coinvolti.



Sacconi se ne frega della Cgil
di Sara Farolfi
su Il Manifesto del 27/02/2009

Scontro tra Epifani e il ministro del lavoro. «Il governo stia attento a non introdurre forzature», ammonisce il leader sindacale. E oggi la controriforma sul diritto di sciopero approda al consiglio dei ministri
«Il governo stia molto attento perchè in questa materia che riguarda un diritto, una libertà costituzionalmente garantita, bisogna procedere con grande attenzione. E se l'intenzione è quella di ridurre una libertà fondamentale, partendo dal problema del rispetto dei diritti degli utenti, sappia che la Cgil si opporrà, ora e dopo». Le parole di Guglielmo Epifani, segretario generale Cgil, sono state accolte ieri nell'indifferenza del ministro del lavoro. Padre del disegno di legge che oggi arriva sul tavolo del consiglio dei ministri e che, dietro la bandiera del diritto alla circolazione, vuole fare piazza pulita di quello di sciopero (partendo dai trasporti). Se la cava così, Maurizio Sacconi: «Temo che manchi la Cgil. L'unanimità del resto non è di questo mondo, appartiene al mondo del nulla, del non fare».E infatti della rappresentatività - ossia di chi è titolato a parlare (firmare accordi o proclamare scioperi) a nome di qualcun'altro (i lavoratori) - al governo non importa nulla. Ne è un esempio la firma di un accordo sulle regole della contrattazione, senza quella dell'organizzazione maggiormente rappresentativa. E così è anche per la limitazione del diritto di sciopero - nel settore dei trasporti per ora - dove la soglia minima necessaria per la proclamazione sarebbe portata al 50%, trasformando così un diritto e una libertà individuale in un diritto a maggioranza, per cui il 49% dei lavoratori non avrebbe diritto a scioperare. Una delle ipotesi allo studio di Sacconi, ieri, era l'alternatività tra «un requisito minimo di rappresentatività degli attori proclamanti» - il 50% appunto - e il referendum preventivo tra i lavoratori: se cioè non si raggiunge la maggioranza più uno, si ricorre al referendum tra i lavoratori. Come si dovrebbe certificare questo 50%, e se ci si riferisca ai soli iscritti o a tutti i lavoratori di una certa azienda, non è chiaro. Ad ogni modo, non si può dire non essere stata tempisticamente perfetta la relazione al parlamento svolta ieri dalla Commissione di garanzia per gli scioperi (che nel ddl dovrebbe assumere compiti e funzioni di arbitrato). Ha introdotto i dati Gianfranco Fini, cercando di rendere istituzionalmente digeribile il disegno di legge del governo: «Il diritto di sciopero non si può soffocare ma lo si deve armonizzare con l'esercizio degli altri diritti in un'opera di bilanciamento che deve tenere conto dell'evoluzione sociale». «C'è da chiedersi - si domanda Fini se lo sciopero nei diritti essenziali possa configurarsi come un diritto che qualunque soggetto collettivo, anche non adeguatamente rappresentativo, può esercitare allo stesso modo».E si torna alla rappresentatività, senza mai dire come questa debba essere certificata. Prova a suggerirlo Antonio Martone, presidente della Commissione di garanzia, dopo essersi marcatamente sbilanciato verso la proposta del governo (che stupisce in un organismo che dovrebbe essere terzo e di garanzia appunto). Suggerisce Martone che una verifica sulla rappresentatività delle organizzazioni sindacali potrebbe essere affidata alla Commissione stessa. «La Commissione di garanzia è un organismo che non si presta a questo», trasecola Fabrizio Solari (Cgil), «abbiamo sempre detto che il nostro punto di riferimento erano le regole del pubblico impiego e su questo erano d'accordo anche Cisl e Uil».Ma ieri Cisl e Uil non hanno fiatato. L'unico punto su cui del resto avevano manifestato una qualche perplessità, due giorni fa, era stata l'obbligo di adesione individuale agli scioperi. «Necessaria perchè consente di dare certezza ai cittadini con riferimento ai mezzi che circoleranno», dice Sacconi. Necessaria soprattutto alle imprese che potranno così coprire programmaticamente le 'assenze', o più comodamente provvedere alla 'dissuasione' degli interessati.Via libera, da Cisl e Uil, anche allo sciopero virtuale (quella forma di agitazione - in cui il lavoratore resta al lavoro e l'azienda paga una sorta di penale, da contrattare volta per volta, il cui importo va in beneficienza). Una forma di protesta che nei fatti praticamente non esiste - essendo praticamente impossibile trovare un accordo su quanto debbano pesare le sanzioni sull'azienda - e che non a caso le aziende gradiscono assai.Giorgio Cremaschi (Rete 28 Aprile) non usa mezzi termini: «La legge anti sciopero è autentico fascismo». L'impressione che si stia scivolando verso un accordo politico, sulla scia di quello del 22 gennaio, cresce comunque trasversalmente a corso d'Italia. Insieme a quella che i trasporti non siano che l'apripista di una riforma che si vorrebbe almeno «per i servizi pubblici essenziali» e di qui, come ha già chiesto Confindustria, valida per tutti. «L'impressione è che si voglia fare un po' per volta», dice Fabrizio Solari (Cgil). Il ddl oggi all'esame dei ministri vieta anche tutte le forme di protesta, non solo per i trasporti, che possano ledere la libertà di circolazione (manifestazioni in strade, autostrade, porti e via dicendo). Calca la mano il ministro Brunetta: «Lo sciopero è un diritto tutelato dalla Costituzione ma anche la mobilità, la vita, il lavoro sono valori tutelati dalla Costituzione. Senza la Cgil? «Ce ne faremo una ragione».

«Il governo attacca la democrazia e salva le corporazioni»
di Francesco Piccioni
su Il Manifesto del 27/02/2009

La risposta di Cobas, SdL e Cub
Grazie alla formula «limitativa» scelta dal governo («nei servizi pubblici essenziali») il provvedimento antisciopero che oggi prenderà in esame il consiglio dei ministri ha un primo nemico chiaramente indicato: il sindacalismo di base. Ex quadri Cgil delusi da politiche «concertative» che facilitavano spesso il sistema clientelare, ex «nuova sinistra», lavoratori di un po' tutti i tipi. Negli anni hanno fatto la storia delle vertenze in Alitalia, Ferrovie dello stato, nella scuola, in molti comparti del pubblico impiego e della sanità; ma anche in Telecom o all'Enel, in Atesia.Insieme a questa componente politicamente chiara, sono esistite anche forme di microsindacalismo corporativo, spesso fatto di poche decine di iscritti, abilissimo nell'annunciare scioperi che non avrebbe poi mai fatto per meglio contrattare sottobanco privilegi e sinecure da «casta». Questi rimarranno vivi, naturalmente. Magari all'interno di quel più grande contenitore corporativo che è l'attuale Cisl di Bonanni.Il sindacalismo di base ha reagito ieri dimostrando di aver ben chiara la portata politica di questo provvedimento, che fa da apripista ad analoghi diktat sul settore privato (mettendo al muro anche la Cgil), con l'intento di metter fine a un diritto costituzionale (il diritto di sciopero, secondo la Carta, è individuale e non delegabile ad alcuna organizzazione, di qualunque entità). In una nota inviata alla stampa Cobas, Sdl e Cub lo definiscono «un attacco alla democrazia». La ragione è semplice: c'è la crisi, diventerà più pesante e questo esecutivo si prepara a governarla nell'unico modo che conosce, quello «militare». «Dietro un linguaggio formalmente tecnicistico - dicono i tre sindacati - il governo predispone la legislazione per gestire la fase attuale e futura di grave crisi economica e le conseguenti risposte dei lavoratori al tentativo di farne pagare a loro il costo». Non è un'illazione malevola, nel testo ci sono «norme che dovrebbero impedire di bloccare strade, aeroporti e ferrovie, forme di lotta utilizzate da tutti i lavoratori in casi particolarmente drammatici». Del resto, il combinato disposto di tutte le «novità» introdotte in materia di regolamentazione delle relazioni industriali appare decisamente a senso unico. E chiarissimo. «L'attacco al contratto nazionale, le nuove norme che si intendono introdurre sulla rappresentatività sindacale, la nuova concertazione tra governo, confindustria e sindacati confederali (meno la Cgil, ndr) che si è trasformata in una vera e propria alleanza neocorporativa, sono elementi finalizzati ad impedire le rivendicazioni e la difesa dei diritti dei lavoratori». Da un lato, dunque, si impedisce di fatto lo sciopero (comunque già più difficile, in tempi di crisi e disoccupazione crescente), dall'altra si dichiara preventivamente illegale qualsiasi altra forma di lotta «non virtuale».La memoria storica dei ferrovieri italiani, Ezio Gallori, ha facile gioco a ricordare che «per noi extra confederali, delle nuove regole oggi non ce n'era neppure bisogno: lo sciopero era quasi vietato». Tra differimenti di autorità, precettazioni, «procedure di raffreddamento» e via limitando. Con un messaggio finale al custode della Carta: «voglio ricordare ciò che diceva il mio concittadino Piero Calamandrei, padre della Costituzione: 'in una società dove esistono più classi, lo sciopero è un valor... per questo non va represso ma caso mai stimolato'. Oggi questo non è più vero perché c'è una classe sola: quella dei padroni». Naturalmente quella di Gallori & co. non è una resa. Il sindacalismo di base ha già convocato una manifestazione nazionale a Roma per 28 marzo. Mercoledì 4 ci sarà anche il secondo sciopero (in due mesi) dell'«era Cai». Non solo per dire «ci siamo», ma a costituire un punto di riferimento per chi, dentro le nuove gabbie, ci sta decisamente stretto.

Diritto di precedenza
di Loris Campetti
su Il Manifesto del 27/02/2009

Il diritto di circolazione dei cittadini viene prima del diritto di sciopero dei lavoratori. In realtà, davanti ai lavoratori c'è una schiera di soggetti con diritto di precedenza, a partire naturalmente dai consumatori. Tutti hanno più diritti dei lavoratori, così dev'essere, e ha ragione il governo Berlusconi a lanciare prima anatemi e poi leggi pesanti come pietre per ridimensionarne le pretese. Ha ragione, visto che quasi nessuno nelle sfere della politica sembra indignarsi e due dei tre sindacati più rappresentativi si dicono disposti a discutere una legge che cancella il diritto di sciopero nei trasporti. Una volta ancora la Cgil viene lasciata sola, il neo segretario del Pd Franceschini ha problemi più seri di cui occuparsi e dunque il ministro Sacconi può dire tranquillamente che un accordo separato in più non gli farà perdere il sonno.Ma è proprio vero che i tranvieri ci impediscono di circolare? Non si direbbe, data la continua diminuzione del tasso di scioperosità. Né si può dire che vengano violate continuamente le regole ferree già esistenti per imbrigliare e rendere difficile la mobilitazione sindacale nei servizi di pubblica utilità: le contestazioni del comitato di garanzia riguardano lo 0,7% degli scioperi proclamati nel settore dei trasporti.Allora, di che cosa stiamo parlando? Del fatto che ogni volta che si vogliono cancellare diritti sociali, sindacali, civili, di cittadinanza si inventano emergenze a palazzo Chigi e si rafforzano con la collaborazione attiva della maggioranza dei media. Che si tratti di bastonare gli immigrati e i rom, di speculare sugli stupri o sul diritto di morire quando non c'è più vita. L'emergenza è una forma precisa - lucida, per quanto autoritaria e populista - del nostro governo.È scaltro Berlusconi, come scaltri sono i suoi ministri di punta. Partono dai sentimenti peggiori di una popolazione colpita dall'unica emergenza non riconosciuta, quella sociale. Parlano alla pancia, agli intestini del paese. Chi non ce l'ha con gli autisti degli autobus che non arrivano? Si comincia a colpire dove è più facile raccogliere consenso, per poi proseguire la caccia grossa contro tutti gli altri lavoratori. Il diritto di circolazione non è che un grimaldello per scardinare quel che resta in Italia del diritto del lavoro. Ha ragione uno dei più prestigiosi leader sindacali della stagione passata, il cislino Pierre Carniti, che in un'intervista al manifesto pubblicata a pagina 6, denuncia: dobbiamo smetterla di dire che quello che abbiamo è un governo cattivo, «è un governo di destra, è il governo dei padroni».Sta diventando prassi lanciare la polizia contro gli operai che scioperano o difendono le loro fabbriche e le loro macchine, all'Alfa di Pomigliano come all'Innse di Milano. Legge e manganello, sono due buoni sistemi di persuasione. Due rotaie per portare il trenino italiano verso un futuro più ingiusto, più classista, più autoritario. La democrazia, il diritto di chi lavora a dire la parola finale sugli accordi che li riguardino, è soltanto un freno alla corsa del trenino.Siamo matti noi, oppure è a rischio la democrazia di tutti?

«Sono degli incoscienti. Protesteremo comunque»
di Fabio Sebastiani
su Liberazione del 27/02/2009

Le reazioni dei delegati dei vari settori: «La misura è colma»
«Ancora costrizioni? Basta, non ne possiamo più». Davanti all'ennesimo attacco al lavoro e ai lavoratori non resta che registrare tanto sconforto. La reazione dei delegati dei vari settori (trasporti, sanità, commercio, manifattura) al provvedimenti dell'esecutivo sul diritto di sciopero è unanime: «Non credano che la gente poi non cerchi comunque un modo per protestare, perché la misura è davvero colma». Articolo 18, pensioni, mercato del lavoro, accordo separato sui modelli contrattuali: è questo il lungo rosario di spine collezionato in pochi anni dal centrodestra. Anche chi non è sindacalizzato e guarda alle organizzazioni sindacali con una certa diffidenza alla fine si sente circondato e cerca una reazione. «Se lo sciopero diventa un'arma spuntata - dice Ugo Bolognesi, Rsu della Fiom a Mirafiori - non è più un'arma. Spesso fare sciopero ha senso per l'efficacia che l'azione ha». «Prima bastava un fischio, adesso ci vuole la carta bollata». «Così è un modo per restringere ancor di più i diritti e le libertà dei lavoratori che a questo punto non hanno nemmeno più il diritto di protestare», aggiunge. Per Ugo, non è un caso che tirano fuori adesso questa restrizione, «perché gli tornerà utile per fermare le forme di resistenza che potrebbero nascere sull'accordo separato». «I lavoratori ne parlano e sono sdegnati. Si parte dai trasporti ma hanno capito benissimo che verrà esteso alle altre categorie», dice Beppe Costa, anche lui delegato a Mirafiori. «Il messaggio è che si stanno preparando a una riforma totale sul lavoro», aggiunge. «Anche perché è quella la direzione di Confidnustria», dice a sua volta Carlo Carelli, Rsu dei Chimici della Cgil. «Una qualche forma di regolamentazione è già scritta nel contratto della nostra categoria - aggiunge - e si chiama procedura di raffreddamento». Il raffreddamento è stato introdotto con l'ultimo accordo di categoria e prevede una "sospensione" di quindici giorni prima della dichiarazione di sciopero vera e propria. Se dopo la prima settimana non si trova una soluzione va all'ufficio provinciale di conciliazione. «L'attacco è generalizzato - aggiunge Carlo - gli spazi di democrazia vengono sempre più limitati. Siamo costretti a difenderci nelle pieghe delle regole con iniziative di singoli reparti». Anche per Carlo, comunque, è chiaro che «Confindustria sta avanzando alla grande». «Per noi il diritto di sciopero è l'unico elemento tangibile di democrazia». «Spesso lo sciopero ha un valore generale - conclude - e, per esempio, serve per attirare investimenti e quindi spronare l'azienda alla crescita». Roberto d'Agostino è un rappresentante sindacale della sigla Sindacato dei lavoratori, e lavora nel trasporto pubblico a Roma. «Ho già difficoltà ad accettare la 146 che sta già regolamentando il diritto di sciopero spuntandolo in nome di un misteriorso diritto di circolazione». «La verità è che non blocchiamo la produzione - aggiunge - ma disagi per alcune categorie più deboli. Di fatto facciamo uno sciopero che non dà fastidio a nessuno. Lo sciopero è un'arma spuntata». Roberto parla poi della piaga delle esternalizzazioni in cui le aziende prendono comunque i soldi dal Comune e in caso di sciopero risparmino sui dipendenti. «Inasprire ancora non serve alla cittadinanza. E' un'arma per far tacere ogni forma di denuncia da parte dei lavoratori», continua. «Il timore è che questa dittatura troverà il sisostegno di alcuni sindacati che già erano d'accordo con gli scioperi virtuali», dice. L'umore dei lavoraotri? A un'azione di protesta costretta dentro mille regole i lavoratori individuano sempre più lo sciopero senza regole. Questo l'abbiamo detto più volte alle controparti. Quando dichiariamo lo sciopero nessuno ci segue. Ci seguono quando blocchiamo i depositi. La legge è un incentivo a trovare le forme estreme di lotta. Sono degli incoscienti. Non si rendono conto che c'è una situazione nel mondo del lavoro che è vicina all'esasperazione. Eliminano anche la minima forma di sfogo». «In particolare nella Sanità - dice Mauro Menghi, delegato della Fp-Cgil - la regolamentazione è piuttosto rigida. E se vogliono dare unan stretta ulteriore vuol dire che stanno mettendo in campo uno strumento devastante per la vita democratica del Paese». «L'autorizzazione allo sciopero vuol dire scoraggiarlo fin dall'inizio - aggiunge - e non è un caso che arriva adesso, quando la Cgil sta cercando di difendersi da un attacco senza precedenti». «I lavoratori da quel po' che hanno capito avvertono che è in atto un intervento repressivo». Come già avvenne con il decreto antifannulloni, «che nessuno ha capito». «O meglio hanno capito che diventa più facile e demagogico colpire i lavoratori e non i poteri forti che continuano a curare i loro interessi». Umberto Longo è un delegato della Cai-Alitalia. «Se davvero vogliono introdurre un'altra regolamentazione alla fine il risultato sarà quello di dare più potere alle aziende, mentre il lavoratore deve essere libero di esprimere il proprio malcontento», dice. In questo modo gli scioperi non si faranno più. E queste regole avranno l'effetto di incattivire i lavoratori e basta». Per Roland Caramelle, rappresentante sindacale della Filcams-Cgil (Commercio), «il periodo dello scontro si sta avvicinando perché c'è molto malcontento tra i lavoratori». «Questo è un attacco anticostituzionale. Uno dei tanti», il cuij scopo è quello di «limitare e depotenziare il conflitto espresso dai lavoratori», aggiunge. «Il provvedimento, però, rischia di essere un boomerang perché la gente fa sciopero per avere efficacia e visibilità, e se non ci sarà più lo sciopero sceglierà altre proteste, tipo la disobbedienza civile».

Sciopera pure, ma "virtualmente"
di Marco Sferini
su Lanterne rosse.it del 27/02/2009

Le vie della virtualità sono infinite, e così anche quelle del campo peggiorativo del complessivo mondo dei diritti che viene sempre più ridimensionato, vilipeso e sostituito con nuove categorie presuntamente fatte percepire come essenziali ai nuovi modelli e stili di vita sotto la cappa della crisi economica globale.Il governo ogni giorno suona una carica e va ad un attacco: quello annunciato per i prossimi giorni riguarda il diritto di sciopero dei lavoratori dei trasporti. Dice Palazzo Chigi: cari lavoratori e care lavoratrici, voi che guidate autobus, treni, e qualunque mezzo pubblico indispensabile per i quotidiani spostamenti dei cittadini, non siete come tutti gli altri, avete un obbligo in più e quindi dovete essere soggetti ad un regime differente di impostazione delle modalità di sciopero. Il governo, in sostanza, impone ai lavoratori uno "sciopero virtuale": si dichiara di voler asternersi dal lavoro ma al lavoro si deve andare ugualmente. Dovere civico, diranno i signori del centrodestra. Truffa, sfruttamento e abolizione di un diritto è il minimo che si possa dire per qualificare questa stretta che si vuole imporre con il placet, prontamente giunto, di Cisl, Uil e Ugl. La nuova formazione di rapporti sindacali, ormai consolidata sotto l'era terza del Cavaliere nero di Arcore, si consolida sulla base di assensi sempre più ostili verso il mondo del lavoro tanto da far apparire cislini e uillini non tanto come sindacati ma come associazioni di categoria di Confindustria e del governo: per la categoria del lavoro subordinato esclusivamente ai voleri e alle necessità imprenditoriali.La Cgil e i sindacati di base resistono e dicono di "no" a questa violenza nei confronti di un settore, quello dei trasporti, che non ha nessuna caratteristica da meno rispetto ad altre categorie (si pensi al settore sanitario o a quello della scuola) per essere classificato come "speciale" e per questo oggetto di una revisione della normativa che regola le agitazioni sindacali e le proteste operaie e di tutti i lavoratori su rotaia, gomma o altro mezzo che sia.L'azione governativa si mostra per quello che è: solamente un gravissimo attacco a diritti consolidati da anni di lotte e che ponevano come esclusiva "pregiudiziale" un preavviso abbastanza ampio per poter indire uno sciopero, ma mai e poi mai un esecutivo avrebbe potuto chiedere - con un sindacato veramente tale e unito su questioni così fondamentali per la tenuta di tutto il generale apparato dei diritti dei lavoratori - ai cittadini di esercitare "virtualmente" uno sciopero, di andare a lavorare ugualmente facendo finta di protestare. Io sciopero ma guido ugualmente l'autobus. Sarebbe come dire: io annuncio che faccio la dieta ma mangio ugualmente. Peccato che qui ad ingrassarsi siano sempre e solo le controparti padronali che, a fronte della rinuncia del salario per la giornata di sciopero (perchè lo sciopero sarà pure virtuale, ma il prelievo del salario è reale!), costringono il lavoratore a prestare comunque la sua manodopera, a fare ciò che invece la natura vera e primigenia dello sciopero impone di non fare: per l'appunto lavorare.Come è possibile classificare come "sciopero" la non interruzione della produttività in presenza comunque della decurtazione in busta paga delle ore esercitate come diritto di astensione dal lavoro?Come ci si può dichiarare "astenuti dal lavoro" e al contempo essere presenti sul proprio luogo di lavoro e, di più, pienamente operativi in tal senso?Il pacchetto di norme che il governo sta preparando non ha veramente alcun precedente in questo Paese, in Europa e nell'universo mondo.Negli anni passati attacchi su attacchi sono stati portati alla Legge 300, all'articolo 18, a mille altre garanzie che le lotte operaie avevano formato come terreno essenziale per un rapporto tra le parti in causa nel ciclo produttivo.Oggi questi attacchi sembrano piccole scaramuccie davanti ad una volontà governativa, ben protetta e diretta dagli ambiti confindustriali e dalla dirigenza nazionale di Cisl e Uil, che non tanto nega una forma, ma la vera e propria sostanza su cui poggia il sacrosanto diritto di protestare con l'unico mezzo che un lavoratore ha: incrociare le braccia e provare a modificare i rapporti di forza con questa lotta che ha avuto un riconoscimento secolare, che è stata adottata in tutto il mondo e che oggi diventa evidentemente troppo ingombrante, pericolosa e comprimente la necessità di espansione del mercato nel mezzo di una crisi economica che nessuno sa gestire se non con improvvisate dichiarazioni di nazionalizzazioni finte che, ogni volta che vengono nominate, hanno sempre più il gusto della cessione di denaro sonante pubblico ai privati e non di assunzione di responsabilità di gestione da parte dello Stato nei confronti di grandi gruppi bancari che oltre ad un fallimento economico dichiarano anche un fallimento di impresa, di gestione dei loro capitali.Nel bel mezzo di tutto questo disordine dell'economia, l'attacco al diritto di sciopero è un fattore di inquietudine che conferma l'analisi del deperimento democratico in ogni settore sociale di questo Paese.La risposta deve essere durissima: occorre chiamare alla mobilitazione non solamente i lavoratori interessati da queste modificazioni omicide del diritto allo sciopero, ma tutta la società civile e democratica. Dagli studenti ai pensionati, dai precari ai senza lavoro, dalle altre categorie lavorative al mondo dell'intellettualità. Dalla società organizzata in comitati e gruppi di protesta ai partiti della sinistra comunista, socialista, a quelli ecologisti e a tutti coloro che ancora giurano di voler salvaguardare la nostra Costituzione e quindi anche tutto quello che oggi viene messo in aperta, plateale discussione. Prima che sia veramente troppo tardi. Anzi, lo è già.

Scioperi nel mirino: si parte dai trasporti.

di Sara Farolfi
su Il Manifesto del 26/02/2009


Un attacco in grande stile al diritto di sciopero. A fare da apripista, i «servizi pubblici essenziali», dove il governo vuole sperimentare la sterilizzazione di un diritto sancito dalla Costituzione, con la scusa di difenderne un altro, quello alla libera circolazione. Proclamare uno sciopero nel settore del trasporto pubblico sarà sempre più complicato, impossibile forse per i sindacati minoritari; superato eventualmente lo scoglio, ogni singolo lavoratore dovrà comunicare in anticipo la propria adesione (con quali conseguenze in termini di «dissuasione» da parte dell'azienda di turno, non è difficile immaginare); fino alla farsa dello «sciopero virtuale», che in alcuni settori rischia di diventare obbligatorio. Lo sciopero che, non per caso, tutte le aziende vorrebbero.Il disegno di legge «per la regolamentazione del diritto di sciopero» arriva domani all'esame dei ministri. «Non c'è nulla di definitivo e comunque si parla solo del settore dei trasporti», si sgolano dallo staff del ministro del lavoro Maurizio Sacconi. Forse per rassicurare le voci appena appena critiche che ieri si sono levate persino da Cisl e Uil, perplesse solo sull'adesione preventiva. La Cgil, che pure aveva dichiarato disponibilità a discutere di una regolamentazione, sente puzza di bruciato: «Il governo non impedisca la manifestazione del dissenso». Anche perchè, guarda caso, l'attacco al diritto di sciopero arriva proprio all'indomani dell'intesa sulle regole della contrattazione, raggiunta senza la firma del sindacato maggiormente rappresentativo.E veniamo al merito. Potranno proclamare uno sciopero nei trasporti pubblici solo le organizzazioni sindacali «complessivamente» rappresentative di oltre il 50 per cento dei lavoratori. Se tale soglia non sarà raggiunta, sarà obbligatorio «un referendum consultivo preventivo» tra i lavoratori. Per le organizzazioni 'minoritarie', in altre parole, proclamare un'astensione dal lavoro sarà quasi impossibile. Per non dire del fatto che lo sciopero è, costituzionalmente, un diritto individuale prima ancora che un esercizio collettivo. Obbligatoria sarà anche «la dichiarazione preventiva di adesione» del singolo lavoratore. Così che nella migliore delle ipotesi l'azienda possa tranquillamente variare i turni di lavoro e coprire le assenze, nella peggiore 'dissuadere' (certa del successo) il lavoratore dall'astensione. Fabrizio Solari (Cgil) parla di «uno strumento di coercizione delle libertà individuali». Ma la ciliegina è l'obbligatorietà dello «sciopero virtuale» che potrebbe arrivare per alcune categorie professionali, quelle dove l'astensione dal lavoro coincide con l'impossibilità di erogazione del servizio. La protesta virtuale funziona così: i sindacati proclamano lo sciopero, il lavoratore lavora ma non viene retribuito, mentre per l'azienda è prevista una sanzione economica. Un istituto che nei fatti non esiste, spiega Solari (Cgil), perchè quasi mai si riesce a trovare l'accordo su quanto debbano pesare le sanzioni per l'azienda, «ed è chiaro che se il servizio non viene interrotto e la sanzione è lieve, di scioperi virtuali te ne fanno fare quanti ne vuoi...».Ma non è tutto, perchè il governo sarà delegato anche alla revisione delle sanzioni, «con specifico riferimento al fenomeno degli scioperi spontanei». E ancora: nel progetto di Sacconi, la cosiddetta «Commissione di garanzia sugli scioperi» dovrebbe diventare una sorta di ufficio governativo «con funzioni anche di natura arbitrale e conciliativa, anche obbligatorie o su richiesta delle parti»: che significa che un organismo che dovrebbe essere di garanzia, e dunque terzo, rischia di essere messo alle dipendenze del ministro lavoro di turno, con in più il potere di dirimere un'eventuale controversia tra le parti (azienda e lavoratori). Infine, un primo allargamento fuori dal perimetro del trasporto pubblico: laddove si vietano forme di protesta o sciopero lesive del diritto alla mobilità e alla libera circolazione, «anche attraverso l'individuazione, nei contratti collettivi relativi a servizi non essenziali, di specifiche procedure per la proclamazione». Con esplicito riferimento a tutte quelle proteste arrivate sui binari di una stazione, o sul ciglio di una strada.«Tocca ricordare - conclude Solari - che la legge attualmente in vigore è la più severa d'Europa ed è anche una legge osservata visto che le contestazioni della Commissione di garanzia non vanno oltre lo 0,7% degli scioperi proclamati». «Su temi così delicati, il governo dovrebbe concertare di più», dice l'ex ministro del lavoro Cesare Damiano. L'extraparlamentare Claudio Fava (Sinistra democratica) parla di una «scorciatoia autoritaria per ridurre i diritti dei lavoratori». Mentre, al solito, i toni più accesi arrivano dall'Idv: «Giusto pensare alo sciopero virtuale, perchè siamo in una democrazia virtuale».

Sabato alle 11.oo davanti l'entrata dell'ospedale di Alcamo il circolo PRC darà luogo ad un volantinaggio contro i tagli e le privatizzazioni della sanità, per ampliare i servizi pubblici ovunque e senza distinzione di reddito. Chiunqua voglia unirsi con noi è invitato a partecipare.
Circolo PRC
Castellammare del Golfo

Dopo un lungo viaggio da Roma in pullman in circa 45 persone si sono recate al parlamento europeo per promuovere un incontro con i parlamentari: la particolarità è che più della metà sono utenti dei servizi di Salute mentale e anche familiari, che come si sa, hanno assunto ruoli “politici” nel senso di un protagonismo nella società civile per le questioni intorno alla salute mentale.
Già nel maggio 2005, organizzata da Psichiatria Democratica Lazio, anche allora “44 matti”, utenti, familiari, operatori e giornalisti si recarono a Strasburgo per sensibilizzare il Parlamento europeo affinché gli Stati membri adottassero misure di legge in linea con la nostra 180 del 1978, meglio conosciuta come “Legge Basaglia”.
In seguito, nel settembre 2006 il Parlamento europeo ha adottato una Risoluzione sul “miglioramento della salute mentale della popolazione – verso una strategia sulla salute mentale per l'Unione europea”.
Ancora, nel giugno 2008 a Bruxelles, l'Unione europea ha approvato il Patto europeo per la salute mentale. Più recentemente il Parlamento europeo, con una Proposta di Risoluzione ha sottolineato la necessità di un “Piano di azione europeo per la salute mentale e il benessere dei cittadini”.
In linea con queste iniziative e in netto contrasto con le proposte di legge che attualmente giacciono nel Parlamento italiano - tese ad una radicale riforma della legge 180 – il viaggio a Bruxell e l'incontro con i parlamentari della sinistra europea con utenti e familiari ha come scopo il sostegno del Piano di azione europeo e per difendere la 180 dagli attacchi attuali. La diffusione dei principi di democrazia, civiltà e pace, contenuti nella legge 180, così come la de-stigmatizzazione dei malati mentali - anche attraverso i mass media - incidono direttamente sulla salute dei cittadini italiani ed europei. L'iniziativa è degna di nota, soprattutto perché i protagonisti sono gli stessi utenti che non soltanto un tempo sarebbero stati “accantonati” in manicomio, ma anche perché insieme ai familiari sono diventati veri e propri soggetti “politici”, e in quanto tali, in grado di fare proposte di solidarietà nei confronti dei “colleghi” europei ancora rinchiusi nei loro manicomi. La spinta del primo viaggio a Strasburgo venne proprio dagli utenti che, venuto a sapere della sopravvivenza dei manicomi in Europa, vollero incontrare lo stesso Borrel allora Presidente e lasciargli un quadro con Franco Basaglia e Marco Cavallo di cartapesta costruito dai pazienti e simbolo della liberazione dal giogo manicomiale, chiedendogli di fare qualcosa di significativo per la loro sorte..
L’istituzione manicomiale vede negli anni ’50 oltre 100mila cittadini internati. I manicomi svolgono una funzione prevalente di contenitore sociale di una serie di problemi diversificati, la popolazione è costituita non soltanto da persone con disturbi mentali, ma anche da disabili gravi e gravissimi, disadattati sociali, emarginati, alcoolisti. C’è perfino chi nasce in manicomio e vi trascorre tutta la vita. Il ricovero, quasi sempre deciso da altri, è obbligatorio e spesso dura fino alla morte, in quanto non esistono stimoli o soluzioni alternative. Il criterio per l’internamento non è la malattia mentale ma la pericolosità o il "pubblico scandalo" ed è quindi evidente che la funzione del manicomio è solo in minima parte di "cura”.A partire dalla seconda metà degli anni ’50 le attività di assistenza psichiatrica in tutto l’Occidente sono attraversate dal movimento di de-istituzionalizzazione, che pone in discussione il manicomio e apre il dibattito rispetto a nuove modalità di presa in carico dei pazienti psichiatrici. In Italia il movimento anti-istituzionale nasce soprattutto a Gorizia e Trieste, grazie all’iniziativa di Franco Basaglia. Ciò che egli teorizza ed attua negli anni 60/70 diventa patrimonio della psichiatria internazionale La nuova cultura antimanicomiale introduce concetti quali il decentramento, la territorialità, la continuità terapeutica tra ospedale psichiatrico e territorio, il lavoro in équipe, la formazione per la creazione di nuove competenze professionali che mettano in grado gli operatori di lavorare sia nella struttura ospedaliera, che in ambulatorio, che al domicilio e nelle strutture di accoglienza intermedia fra l’ospedale e la famiglia. Si fa strada anche l’idea della prevenzione, con il lavoro nella comunità, nell’ambiente di vita e di lavoro dei cittadini, un lavoro rivolto non soltanto ai malati mentali ma anche alle cause che minacciano al salute mentale di tutti.
Emerge un’altra linea fondamentale, quella di partire dall’organizzazione sanitaria di base, e non dall’Ospedale Psichiatrico, fornendo alternative al ricovero in ospedale e collegando la lotta contro il manicomio con quella per il servizio sanitario nazionale e la riforma dell’organizzazione sanitaria. I protagonisti dell’esperienza italiana furono principalmente gli psichiatri; l’associazionismo dei familiari in Italia, contrariamente a quanto avviene in altri Paesi, nasce parecchi anni più tardi, al varo della 180. Nel 1968 la Casa Editrice Einaudi pubblica "L’Istituzione negata", vero e proprio manifesto del movimento antiistituzionale italiano.

« La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d'essere » (Franco Basaglia).

La legge 180
La legge 180, Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori, del 13 maggio 1978, meglio nota come legge Basaglia (dal suo promotore in ambito psichiatrico, Franco Basaglia) è una nota e importante legge quadro che impose la chiusura dei manicomi e regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio, istituendo i servizi di igiene mentale pubblici. Successivamente la legge confluì nella legge 833/78 del 23 dicembre 1978, che istituì il Servizio Sanitario Nazionale.
La legge fu una vera e propria rivoluzione culturale e medica, basata sulle nuove (e più "umane") concezioni psichiatriche, promosse e sperimentate in Italia da Franco Basaglia.
Prima di allora i manicomi erano poco più che luoghi di contenimento fisico, dove si applicava ogni metodo di contenzione e pesanti terapie farmacologiche e invasive, o la terapia elettroconvulsivante (che per alcuni casi viene tuttora utilizzata).
Le intenzioni della legge 180 erano quelle di ridurre le terapie farmacologiche ed il contenimento fisico, instaurando rapporti umani rinnovati con il personale e la società, riconoscendo appieno i diritti e la necessità di una vita di qualità dei pazienti, seguiti e curati da ambulatori territoriali.
La legge 180 demandò l'attuazione alle Regioni, le quali legiferarono in maniera eterogenea, producendo risultati diversificati nel territorio. Nel 1978 solo nel 55% delle province italiane vi era un ospedale psichiatrico pubblico, mentre nel resto del paese ci si avvaleva di strutture private (18%) o delle strutture di altre province (27%).
Di fatto solo dopo il 1994, con il Progetto Obiettivo e la razionalizzazione delle strutture di assistenza psichiatrica da attivare a livello nazionale, si completò la chiusura effettiva dei manicomi in Italia.
Nonostante critiche e proposte di revisione, la legge 180 è ancora la legge quadro che regola l'assistenza psichiatrica in Italia.

Sabato 21 febbraio ha avuto luogo un'assemblea del circolo PRC di Castellammare del Golfo. Molta la carne al fuoco. In particolare tre temi sono stati affrontati con passione: immigrazione, sanità siciliana e lavoro. Due di questi temi saranno oggetto di discussione, così come deciso dal circolo, durante un'assemblea pubblica che dovrebbe avere luogo tra due settimane: la questione della sanità siciliana e il problema dell'immigrazione. Contestualmente all'iniziativa pubblica sarà inaugurat la campagna tesseramentoal Partito della Rifondazione Comunista.

Segue un invito di Haidi Giuliani a tesserarsi per il PRC.

Non si risale una montagna da soli
di Haidi Gaggio Giuliani
su Liberazione del 22/02/2009

"Oggi sento la necessità di un partito organizzato e di farne parte"

Scorro in internet la rassegna stampa: la Palestina non si trova più nelle prime pagine dei grandi giornali, tra le notizie importanti. Nessuna sorpresa: altre popolazioni martoriate non ci sono addirittura mai arrivate. Quasi per caso nella vecchia posta ritrovo alcune foto scattate a Tulkarem, tre anni fa, quando sono andata ad assistere alle elezioni con ragazzi e ragazze dei Giovani Comunisti; siamo in gruppo e sorridenti, qualcuno tiene il braccio sollevato, la mano stretta a pugno: un gesto identitario? Sono successe molte cose in questi tre anni; i social forum, che erano la nostra speranza, nati dallo spirito di Genova 2001, si sono per lo più disciolti come neve al sole; alcuni di quei ragazzi sono andati "oltre", dove non mi è chiaro e, quel che è peggio, temo non sia chiaro neppure a loro stessi. Siamo di fronte a una gravissima crisi economica frutto di venti anni di politiche liberiste che hanno precarizzato il lavoro, tagliato i salari e accresciuta la ricchezza di ladri ed evasori. Le fabbriche chiudono; i lavoratori continuano a morire. Non c'è sicurezza per loro. Rischia di scomparire il Contratto nazionale di lavoro, scompaiono cioè le garanzie collettive sui salari e sui diritti, conquistate in tanti anni di lotte. In cambio ricompaiono i manganelli contro gli operai, a Pomigliano, contro i lavoratori dell'Innse a Milano. Non c'è sicurezza per chi difende il proprio territorio, la vita dei propri figli: linea dura delle forze dell'ordine contro i No dal Molin a Vicenza, città d'arte con coprifuoco militare. Come in Valsusa, si pretende di gestire con la forza la pacifica contestazione degli abitanti. Ma la "grande informazione" non ne parla. Non c'è sicurezza neanche per le donne nelle vie delle nostre città e, soprattutto tra le pareti domestiche, perché non saranno certamente leggi più repressive, a difenderle, bensì una cultura più diffusa, una maggiore attenzione ai problemi delle persone, maggiore partecipazione alla vita nelle città. «Ser culto es el único modo de ser libre» , ricordava José Martí nell'ottocento, ma qui la cultura viene umiliata ogni giorno, la scuola pubblica impoverita: è meglio non allevare giovani cittadini capaci di pensare con la propria testa perché potrebbero un giorno diventare uomini e donne davvero liberi. Non c'è più neppure la speranza di poter morire in pace. In cambio ritornano le leggi razziali. Assistiamo quotidianamente a colpi di mano contro la giustizia e la civiltà: medici trasformati in spioni contro gli ammalati più poveri, tanto poveri da non possedere nemmeno un documento; legalizzate le ronde; proibito indagare negli affari di lorsignori. Vengono votate in Parlamento leggi ordinarie che svuotano di significato la Carta costituzionale. In questo panorama l'opposizione a volte cinguetta con la maggioranza, a volte balbetta; quello che un tempo era il blocco sociale della sinistra si va sbriciolando.E allora io ho sentito, sento la necessità di un partito organizzato, e di farne parte. Un partito con le idee chiare. Che conosca le proprie radici e sappia anche riconoscere i propri errori; determinato a stare sempre dalla parte delle persone più deboli, sfruttate, derubate dei propri diritti, violentate nel corpo e nella vita. Voglio stare in un'organizzazione capace di discutere con forza al proprio interno e poi dichiarare apertamente quello che pensa e lavorare per raggiungere gli obiettivi individuati; capace di intervenire dove si apre un conflitto; e che quando decide di stare al fianco di grandi movimenti spontanei, come di piccole realtà, poi non li abbandona; capace altresì di denunciare le contraddizioni e di dare vita a nuovi conflitti. Voglio un partito determinato a risvegliare coscienze, disposto sempre a confrontarsi e a collaborare con altre organizzazioni, tutte le volte che è possibile; senza preconcetti ma senza nessun cedimento: un partito con le idee chiare, appunto. E voglio che il mio partito si faccia maestro e sappia fare scuola: deve sapere prima di tutto ascoltare i ragazzi e le ragazze, senza promettere facili carriere politiche ma insegnando con rigore sia la teoria come la pratica quotidiana. Perché è vero che moltissimi giovani sono nauseati dalla politica e pensano che non valga la pena di agire in una società come la nostra ma noi dobbiamo riuscire a dimostrare, come dicono le Madri argentine, che l'unica battaglia persa è quella che si abbandona. Ci riusciremo se sapremo essere onesti; se sapremo mettere da parte personalismi, leaderismi… Non si risale una montagna, non si conquista una cima da soli: si vince tutte e tutti insieme; ognuno con il proprio zaino, con il proprio carico di ricchezze e di errori, ma insieme. Ecco, così penso alla mia Rifondazione. Ma se voglio davvero che sia sempre più così, e sempre più grande, ci devo stare dentro. E lavorare.

Non si vive di sole sanzioni

Qualunque processo educativo necessita di tempi lunghi spesso non conciliabili con le esigenze di ua ordinanza sindacale. Detto questo e premettendo che la raccolta differenziata è un atto fondamentale per la crescita di una comunità, volevo porre l'accento sulla natura tutta sanzionatoria del provvedimento che non incentiva il cittadino a differenziare meglio e di più ma è pronto a "punirlo" qualora non lo facesse. Visto che per anni siamo stati abituati e non educati a differenziare i rifiuti, ritengo che una politica di incentivi del tipo meglio differenzi meno paghi possa portare dei miglioramenti alla raccolta differenziata promossa dall'amministrazione Bresciani. Perche non si vive di sole sanzioni e perchè la politica deve avere anche un ruolo educativo.
Giacomo Galante

Io penso che il nodo fondamentale della campagna elettorale che ci troveremo ad affrontare nelle prossime settimane sia quello della crisi economica. Credo che la campagna che abbiamo fatto contro la soglia di sbarramento del 4% sia stata giusta e necessaria, anche perché andava spiegata l'operazione politica fatta dal PD, è però altrettanto necessario oggi cambiare registro.
Sono fortemente convinto che il punto centrale sul quale dobbiamo focalizzare la nostra attenzione riguardi la connessione tra cosa si decide a livello europeo e la vita delle persone nel contesto della crisi; dobbiamo evidenziare come tra questi due livelli intercorra una relazione stretta. Ci siamo detti più volte che le politiche nazionali da sole non sono in grado di modificare le variabili di fondo del quadro macroeconomico; è del tutto evidente che il livello europeo è quello in cui possiamo interagire significativamente per cambiare le cose e per depositare una serie di questioni che riguardano il come uscire a sinistra dalla crisi economica. Sottolineo questo elemento della centralità della risposta alla crisi perché a mio parere non c'è ancora una consapevolezza sufficiente dentro il nostro partito. Serve un salto di qualità. Questa crisi è destinata a durare a lungo e per la sua natura intensa e profonda è destinata a cambiare le condizioni di vita di milioni di persone. In Italia perderanno il lavoro più di un milione di persone, di questi la metà non ha nessun ammortizzatore sociale. I 3.5 milioni e mezzo di immigrati regolari in Italia rischiano di perdere anche il permesso di soggiorno. Tanti rischiano di perdere la casa.
Dobbiamo smettere di percepirci come "ciò che è rimasto" di una certa fase politica e sociale, il cui unico orizzonte è un lungo deserto da attraversare, resistendo, nella speranza di incontrare un'oasi. Non è così. Da una guerra di posizione siamo passati a una guerra di movimento, il cui fulcro è la crisi economica e sociale che modifica in modo brutale le relazioni tra le persone e tra queste e la politica. E' dalla nostra capacità di agire in questo mutamento repentino - non ancora compiutamente realizzato - che dipende l'efficacia della nostra proposta politica. Dalla risposta a questa sfida dipende se il ruolo dei comunisti nella prossima fase sarà significativo o puramente residuale perché incapace di interagire concretamente con le dinamiche sociali e le sue problematiche.In questo senso Berlusconi coglie meglio di noi la sfida; non da nessuna risposta vera alla crisi ma usa la crisi per spostare a destra dell'asse politico del paese: sul piano delle relazioni sociali, sul piano istituzionale e su quello della formazione del senso comune. Berlusconi prova a capitalizzare politicamente la paura per scardinare la Repubblica. L'attacco alla magistratura, la delegittimazione della stessa, così come l'attacco al Presidente della Repubblica puntano direttamente a una modifica costituzionale che porti alle elezioni diretta del Presidente della Repubblica: una specie di sovrano che in nome del mandato popolare non abbia più limitazioni di poteri ma possa "comandare".
Questa offensiva si può fermare ma occorre agire con chiarezza. Mentre spieghiamo che le proposte di Berlusconi non servono a risolvere la crisi, che questa è frutto della compressione dei salari, dei diritti dei lavoratori e dello smantellamento del welfare, dobbiamo avanzare una nostra proposta per la soluzione della crisi. Dobbiamo far vivere nel dibattito politico e nel corpo sociale del paese alcune proposte precise: la redistribuzione del reddito dall'alto in basso, il rilancio del welfare e dei diritti; il salario sociale per i disoccupati e la generalizzazione degli ammortizzatori sociali per tutti coloro che perdono il posto di lavoro, ribadendo che nessuno e nessuna dentro questa crisi deve rimanere abbandonato a se stesso; l'intervento pubblico in economia per una riconversione ambientale e sociale della stessa.Noi dovremmo tentare di coniugare queste poche parole d'ordine chiare con una capacità di stare dentro i conflitti, costruire il movimento a partire dal rafforzamento della mobilitazione sindacale, costruire una vasta opposizione alle politiche di governo e Confindustria.
Dobbiamo fare una campagna elettorale per le elezioni europee in cui la chiarezza delle proposte concrete evidenzi le battaglie politiche da fare a livello europeo per rovesciare la linea economica e sociale sin qui perseguita sulla scia di Maastricht. Dobbiamo contribuire a evidenziare il nesso tra le decisioni di Bruxelles e le condizioni di vita della gente. Questo ci permetterebbe di spiazzare una campagna elettorale impostata su un dibattito tutto politicista tra i diversi schieramenti italiani. Dobbiamo far sapere a tutti che i grandi scontri tra Veltroni, Berlusconi e Di Pietro, a livello Europeo, dove si prendono le vere decisioni, si risolvono nel fatto che gli eletti e le eletti dall'uno e l'altro schieramento si ritrovano a votare le stesse risoluzioni nell'80 per cento dei casi. Veltroni, Berlusconi, Casini, D'Alema, Di Pietro votano assieme questioni centrali come la direttiva Bolkenstein. Dovremmo tentare secondo me di fare una campagna elettorale che scavalchi in basso e in alto, il politicismo dominante. Una campagna molto sulle cose concrete che proponiamo e sulle implicazioni politiche di queste proposte a livello europeo.
Un altro punto importante in questa fase riguarda la durata della campagna elettorale. Propongo che la campagna elettorale sia una tappa di una "campagna di primavera", più ampia, che si apra all'inizio di marzo e si concluda a giugno. In questo arco di tempo dobbiamo essere in grado di impostare i nodi di fondo di una campagna incentrata sull'uscita a sinistra dalla crisi nel tentativo di far passare oggi i nostri messaggi che poi la campagna elettorale vera e propria avrà il compito di richiamare e rafforzare. Una lunga campagna di primavera sulla crisi deve quindi essere il primo impegno che assumiamo.

La nostra proposta politica
In questo contesto si colloca la proposta politica che avanziamo su come presentarci alle elezioni europee. Da un lato è una proposta che avanziamo a tutta la sinistra sociale, culturale, politica; non è una proposta che seleziona solo qualche interlocutore. Dall'altra è una proposta netta e chiara, non generica: la collocazione nel GUE e il partire dal simbolo di Rifondazione Comunista. Tale chiarezza è un elemento che io reputo necessario perché se la crisi funziona come moltiplicatore di confusione, il fatto di avere delle idee e delle strategie precise risulta essere decisivo per avere una qualche efficacia. Senza idee ben chiare e senza alcuni punti fermi, è impossibile raccogliere forze e voti, come ha dimostrato la vicenda dell'arcobaleno. Il documento che vi presentiamo propone quindi una chiara direzione di marcia.
Innanzitutto proponiamo di fare una lista che faccia riferimento al GUE/NGL. Quindi una lista che si ponga con tutta nettezza l'obiettivo di rafforzare il gruppo della sinistra unitaria a livello europeo come gruppo che è non solo autonomo ma ha una politica alternativa a quella del partito socialista europeo. Noi siamo radicalmente contrari alla logica e ai contenuti della grande coalizione e abbiamo una linea diversa e alternativa a quella del PSE o alle logiche trasversali dei verdi. Ogni singolo deputato eletto è necessario per riuscire a riformare il GUE/NGL e sarebbe un vero disastro se venisse meno come esperienza.Proponiamo di fare una lista unitaria che nasca dal confronto con altri soggetti politici sociali e culturali. Vogliamo ragionare con tutti i soggetti interessati a rilanciare sul terreno europeo il progetto dell'alternativa. La nostra è quindi una proposta aperta, in cui il simbolo di Rifondazione viene messo a disposizione di tutti coloro che vogliono proporre una uscita da sinistra dalla crisi. Riassumendo, una proposta molto qualificata politicamente ma completamente aperta nella sua costruzione.In terzo luogo, la nostra iniziativa politica per le elezioni europee parte dal programma della Sinistra Europea che abbiamo votato qui in direzione tutti assieme. E' un punto molto avanzato di elaborazione e io credo vada valorizzato anche per il fatto che aggrega varie formazioni politiche europee intorno a un documento unico; ci permette di fare una battaglia comune a livello Europeo. In questo senso io credo che dentro questa lunga campagna di primavera, che sfocia nelle elezioni, noi dovremmo valorizzare al massimo le relazioni che abbiamo con gli altri partiti della Sinistra Europea. Cominceremo da sabato dove sarà presente il coordinatore di Izquierda Unida in una iniziativa che si fa a Perugia, seguiranno tra gli altri, il segretario del Synaspismos, e il co-presidente della Die Linke Bisky. Intrecciare i rapporti con la dimensione internazionale non può che rafforzarci.Proponiamo di partire dal simbolo di Rifondazione Comunista. Dentro la confusione in cui versa la sinistra bisogna evitare di produrne altra proponendo nuovi simboli, irriconoscibili nel giro di pochi mesi. Credo che il simbolo di rifondazione sia quello più affermato all'interno della sinistra italiana e quello che esprime meglio i contenuti che vogliamo veicolare: è figlio di un ragionamento sulle due sinistre e sulla capacità di stare dentro al movimento altermondialista. Il simbolo di rifondazione esprime meglio di altri la consapevolezza che il terreno dell'alternanza e il terreno dell'alternativa non coincidono e si ripropone il terreno dell'alternativa come terreno su cui depositare la nostra iniziativa politica.
Da domani dobbiamo avanzare questa proposta politica per costruire, in un tempo contenuto - un mese - questo percorso di confronto nei territori, con le aggregazioni locali, con le altre forze politiche. Occorre avviare un percorso per configurare in modo partecipato programma e modalità di presentazione. Dobbiamo cioè di darci uno spazio per lavorare e costruire questa presentazione di una lista di rifondazione che sia però non solo la lista del Partito della Rifondazione Comunista.
E' evidente che questa proposta non coincide con altri progetti che sono stati prospettati in queste settimane. Non coincide con l'ipotesi di cartello, che rischia di replicare la Sinistra Arcobaleno, caratterizzato dalla sommatoria di sigle in assenza di un profilo politico chiaro. Al tempo stesso la proposta che avanziamo è cosa diversa dall'accordo tra Prc e Pdci che avanza il compagno Diliberto; quella proposta ha a mio parere un vizio di politicismo, è caratterizzato dalla sommatoria di due partiti e soprattutto si presta moltissimo, ad essere semplicemente dipinta come una operazione residuale di ceto politico. Il nostro obiettivo è quello di mettere al centro un progetto politico chiaro e una modalità di relazione forte tra livello della politica e quello dell'aggregazione sociale e di movimento.
Sottolineo che questa posizione può avere una sua efficacia nella misura in cui, se la direzione decide di approvarla, il gruppo dirigente, la agisce unitariamente, la fa vivere nel paese con un comune sentire. Quella che vi proponiamo ha l'ambizione di essere una proposta politica unitaria che può superare in avanti quelle sin qui proposte nell'ambito della sinistra. Dobbiamo usarla per uscire da uno schema difensivo in cui tutto viene riferito ai problemi della sinistra; la sinistra deve chiedere di essere votata a partire dalla sua capacità di rispondere alla nuova realtà generata dalla crisi.E' del tutto evidente che la nostra gente può votare a sinistra se saremo credibili sui contenuti che avanziamo, non se chiediamo semplicemente di salvare la sinistra. Le elezioni dello scorso aprile ne sono un esempio più che eloquente.
Io non vi propongo solo di approvare l'ordine del giorno, ma di approvare un profilo che sia assolutamente unitario, che provi a far vivere nel corpo sociale questa proposta politica. Corrisponde al nostro progetto politico: non settario e auto-referenziale ma chiaro, aperto e partecipato, in alto e in basso.

Sintesi delle conclusioni di Paolo Ferrero
Poche cose dopo questa discussione largamente convergente. Rocchi e altri/e compagni/e propongono, sia pure con uno spirito non troppo dissimile da quello del documento, di fare un cartello unitario su un nuovo simbolo. Capisco il senso della proposta, ma vedo questa discussione troppo simile a quella avvenuta sulla sinistra arcobaleno, tutta interna alla relazione tra gli stati maggiori dei partiti e indeterminata nel suo profilo. In definitiva difensiva. Penso che al contrario dobbiamo lanciare la nostra proposta unitaria, aperta a tutta la sinistra, partendo molto dalle relazioni sociali e dal vincolo dell'appartenenza al GUE.
Parimenti mi pare chiaro che la nostra proposta è diversa da quella del Pdci. La nostra proposta è rivolta a tutte le soggettività della sinistra di alternativa e non solo a quelle comuniste e vuole aprire un cammino di confronto con tutte le realtà che si muovono nella società sul terreno dell'alternativa. Le discriminanti che noi poniamo non sono di tipo ideologico ma politico, relativamente alla collocazione e alla proposta da avanzare per uscire dalla crisi. Dobbiamo proporre un cammino unitario a tutta la sinistra antagonista, di classe, comunista, altermondialista, che abbia una prospettiva di alternativa rispetto alla linea politica del Pd e delle socialdemocrazie. Non proponiamo solo l'unità tra i comunisti o l'unità tra partiti, anche se è evidente che anche a questi è rivolta e spero determini interesse e convergenze. La prima cosa che chiederà un centro sociale piuttosto che un Comitato locale a cui avanzeremo questa proposta, sarà di dar vita ad un processo partecipato vero e noi dovremo rispondere positivamente a questa esigenza. Ne va della qualità politica della nostra proposta, che deve essere seccamente di sinistra ma altrettanto compiutamente partecipata e democratica nella sua costruzione. La differenza tra la nostra proposta e altre proposte unitarie non deve risiedere nel grado di apertura ma semplicemente nell'indirizzo politico che noi vogliamo pienamente autonomo dal PD e dalle socialdemocrazie europee.
Credo quindi che il vero lavoro politico nelle prossime settimane consiste nel far vivere nell'interlocuzione a 360 gradi questa nostra proposta unitaria, per arrivare ad una definizione precisa nell'arco di un mese.

Il dramma di Lampedusa e gli errori di Maroni.

Russo Spena: Lampedusa, gravi responsabilità Maroni

mercoledì 18 febbraio 2009
Dichiarazione di Giovanni Russo Spena, responsabile Giustizia del Prc.

I gravi fatti accaduti oggi (ieri per chi legge) a Lampedusa sono esclusiva responsabilità del governo. Gli errori del ministro Maroni sono enormi. In nome di una propaganda securitaria e razzista da rivendicare al suo operato, mette in pericolo persone e vite umane. E' stato Maroni a volere, di fatto, il sovraffollamento del cpt di Lampedusa e permettere che crescessero in esso disperazione e disordini. Quando la delegazione di parlamentari europei aveva visitato il cpt giorni fa aveva subito parlato di emergenza umanitaria, denunciando la assoluta mancanza del rispetto delle più elementari norme di sicurezza, all'interno di quella struttura.
Maroni deve rispettare i termini degli accordi internazionali cui aderisce l'italia, così come l'accoglimento delle richieste di asilo politico e di ricongiungimento familiare. Lampedusa è un dramma figlio della propaganda razzista del governo.
Ufficio stampa Prc

Dire che le manovre di questo governo sono razziste è troppo? o troppo poco?
Ecco cosa è successo ieri nel "lager" di Lampedusa.
Lampedusa, scontri tra migranti e polizia. Un incendio devasta il Cie (ex cpt): 24 feriti

Sedata la rivolta, ma i danni alle strutture sono ingenti. La tensione nata dopo il rimpatrio coatto di 107 tunisini.

Tensione a Lampedusa, con una nuova tentata rivolta degli immigrati chiusi nel Centro di identificazione ed espulsione. Nella struttura sono scoppiati violenti scontri tra immigrati e forze dell'ordine, quando alcuni tunisini hanno tentato di sfondare i cancelli per scappare. I feriti sono 24: 22 tra poliziotti e carabinieri hanno riportato contusioni o sono rimasti intossicati; due immigrati sono invece ricoverati per le esalazioni del fumo. Dopo gli stranieri hanno ammassato materassi, cuscini e arredi dando fuoco alla struttura in tre punti diversi: si è sviluppato un vasto incendio che ha causato molti danni. Il capannone centrale è stato distrutto e l'incendio ha colpito anche altri edifici. Sei le squadre in azione, oltre a un elicottero della Guardia di finanza: le fiamme sono state domate con grossi sforzi, a causa del vento.
RIMPATRIO COATTO - Nella confusione alcuni ospiti del Cie, forse alcune decine, sono scappati ed è scattato l'inseguimento. La rivolta, poi sedata, è nata dalla protesta di circa 300 tunisini, che hanno anche iniziato uno sciopero della fame contro il rimpatrio coatto di 107 loro connazionali, avvenuto martedì. Nella struttura di Lampedusa, trasformata dal Viminale da Centro di prima accoglienza e soccorso a Centro di identificazione ed espulsione, si trovano 863 immigrati, in gran parte tunisini
SINDACO: «COLPA DEL GOVERNO» - Il sindaco De Rubeis accusa il governo e chiede la rimozione del ministro dell'Interno Maroni, «responsabile del fallimento totale dell'operazione»: «Le fiamme sono arrivate a 10 metri di altezza, una nube tossica sprigionata dai pannelli coibentati sta raggiungendo il paese, chiedo l'immediata evacuazione della struttura. Grazie all'opera svolta dal ministro Maroni si è corso il rischio che a Lampedusa potesse accadere una strage sia tra gli immigrati, sia tra le persone che lavorano all'interno del centro e tra la popolazione. Ha trasformato il centro in un lager, gli immigrati sono esasperati». Il sindaco sta predisponendo un'ordinanza per vietare l'uso dell'acqua potabile piovana, raccolta nelle cisterne, «in quanto potrebbe essere stata inquinata dalla nube tossica sprigionata dall'incendio». De Rubeis è stato sentito martedì nella Procura di Agrigento in merito all'inchiesta relativa alle condizioni di vita e di salute nel Cie di Lampedusa.
APPELLO DELL'UNHCR - Laura Boldrini, portavoce dell’Unhcr (l'agenzia dell'Onu per i rifugiati) ha fatto un appello al governo: «Abbiamo sollecitato un intervento del Viminale perché è pericoloso lasciare nel Cie migranti e operatori vicino alle fiamme e al fumo. È necessario approntare misure urgenti per spostare le persone per ridurre il numero intossicati e ustionati. È una situazione che covava da settimane, fin dagli atti di autolesionismo. C’è una grossa tensione per i rimpatri, i migranti si sentono persi e tentano il tutto per tutto».

"Moriranno" tutti democristiani?

Riporto le dichiarazioni di Enrico Letta (esponente di spicco del PD) che auspica un accordo con l'UDC per fare uscire il PD dalla crisi. In Sicilia significherebbe accordarsi con Cuffaro, Mannino e tanti altri. Moriranno tutti democristiani?


Cerco un centro di gravità permanente.

Il ministro ombra del Lavoro (esponente di spicco del PD) non nasconde le critiche non solo alla gestione del partito in questi mesi, ma anche alle regole interne del partito. «Sabato - spiega - parleranno tutti gli eletti dell'assemblea costituente: sono i portatori, insieme a Veltroni, di quel volere dei 3 milioni e mezzo di italiani che votarono alle primarie. Il potere è nelle mani dell'assemblea, purtroppo in questi mesi tra i tanti errori c'è stato anche quello di approvare uno statuto barocco e schizofrenico, un mix di masochismo e di autolesionismo, che è parte integrante di questo psicodramma». «Anche questa dello statuto -sottolinea Letta- è un esempio di una storia nella quale abbiamo inanellato errori che puntualmente vengono fuori: errori di posizionamento politico, di amalgama che non è riuscito come è stato detto, di disattenzione del partito verso i suoi militanti ed errori di alleanze». A questo punto però non c'è tempo per il congresso e si andrà al voto per rinnovare il Parlamento europeo con un reggente: «Temo di sì, ci vogliono tre mesi per fare un congresso. Se è così andiamo alle europee con Franceschini e dopo al congresso».
«Senza un'alleanza con l'Udc non andiamo da nessuna parte - ha detto Letta - Tra le ultime ultime elezioni, l'unica che abbiamo vinto è stata quella della Provincia di Trento, ed eravamo alleati con l'Udc. La politica ha delle regole molto ferree».

Seguono le dichiarazioni del segretario nazionale del Prc Paolo Ferrero

Fallimento di una politica, non di un uomo.
mercoledì 18 febbraio 2009
di Paolo Ferrero, segretario nazionale Prc

Il risultato delle elezioni sarde ha reso evidente il fallimento del progetto politico del Pd. Non l'errore di un leader, ma la crisi organica di un progetto politico che copre un arco temporale lungo. E' la strategia nata dal progetto occhettiano di scioglimento del PCI e caratterizzata da un progressivo spostamento al centro che si mostra fallimentare. Con questo fallimento occorre fare i conti in modo non propagandistico. Anche perché il risultato sardo colpisce pesantemente un'esperienza di governo che nel bene e nel male non rappresenta certo uno dei frutti peggiori del Pd. Anzi. Il centrosinistra ha fallito non per imperizia di qualche dirigente ma proprio perché il suo progetto politico non è in grado di prefigurare una via di uscita dalla crisi. Così, anche le cose buone fatte da Soru - penso alla legge sulla tutela del territorio - si sono ritorte contro un centrosinistra che non è riuscito a dare uno sbocco positivo al drammatico problema della disoccupazione. Anche la speculazione edilizia può essere vista come un'ancora di salvezza in una condizione in cui manca il lavoro.

La sconfitta sarda ci pone quindi il problema di fondo. Il centrosinistra è nato e cresciuto in simbiosi con la globalizzazione capitalistica. Di quella globalizzazione ha assunto le culture e i valori: dal liberismo temperato alla centralità dell'impresa. Di fronte alla crescente insicurezza sociale prodotta dal quel modello di sviluppo, insicurezza diventata vero e proprio terrore dentro la crisi economica, il centrosinistra non è stato in grado di dare alcuna risposta credibile. Al contrario la destra ha usato l'insicurezza sociale come un'arma per fomentare la guerra tra i poveri e costruire su queste basi il suo consenso. La destra, di fronte alla crisi ha detto: la coperta è corta, è bene che restino fuori i piedi degli altri, immigrati in primo luogo; se si deve sacrificare un po' di libertà e democrazia, pazienza. Su questo ha vinto la destra.

Di fronte alla crisi la destra propone uno sbocco barbarico. il Pd non ha proposto nulla. Nel suo ultimo piano contro la crisi non è nemmeno stato in grado di porre la questione della redistribuzione del reddito, che è con ogni evidenza il problema più grande che abbiamo dinnanzi.
In questa situazione è bene, a sinistra, evitare illusioni che vedo pericolosamente affacciarsi.

Da questa crisi non si esce con un cambio di leadership. Non è un problema di nomi, né è sufficiente, come al gioco dell'oca, tornare indietro di qualche casella, magari riscoprendo i Ds al posto del Pd. Il problema è che tutto il gruppo dirigente che ha operato per sciogliere il Pci si è identificato con la gestione della globalizzazione liberista ed è andato in crisi proprio nella crisi della globalizzazione.

Un anno e mezzo fa è saltato Prodi, oggi Veltroni, domani chi? Questa crisi strategica non si risolve con i giochi di sponda con le correnti interne al Pd o con qualche belletto. Questa crisi non si risolve nemmeno con una rinnovata intesa tra Pd e sinistra. Il fallimento dei due governi Prodi, così come la giunta di Soru è li a dimostrarlo. Quello che manca oggi non sono le relazioni tra le due sinistre o un nuovo centrosinistra. Quello che manca è la credibilità di una sinistra di alternativa che sappia elaborare e declinare credibilmente una proposta di uscita dalla crisi. Una proposta alternativa alle ricette liberiste e "riformiste". Per questo Rifondazione Comunista lavora alla costruzione di una sinistra di alternativa, anticapitalista e comunista, non subalterna alla crisi del Pd, capace di costruire con la Cgil, il sindacalismo di base, la moltitudine di comitati locali, l'opposizione sociale nel Paese. E formulare proposte che diventino parole d'ordine di massa: redistribuzione del reddito, ammortizzatori sociali per tutti, intervento pubblico nell'economia, rilancio del welfare. Si tratta di promuovere un movimento generale, consapevole che dalla crisi non si esce con i sacrifici, ma con la radicale messa in discussione degli attuali assetti di reddito e di potere.

Nessuna scorciatoia, quindi. Il gruppo dirigente del Pd non ha sbagliato linea, ma la strategia di fondo, da vent'anni a questa parte. Costruire un progetto e una sinistra alternativi a questa fallimentare strategia è il compito che noi di Rifondazione abbiamo dinnanzi, sul piano sociale, su quello culturale come su quello elettorale. Lavorarci da subito è tanto più necessario per costruire un punto di riferimento che alla crisi del Pd opponga una risposta in avanti, in Italia come in Europa.

Il fallimento del progetto del PD

A forza di voler correre da solo il PD ha distrutto la sinistra e rafforzato il PDL da cui si distingue solo per una L in meno. Da quì la necessità di uscire a sinistra rafforzando il progetto di una forza volta alla trasformazione della società. Segue un'ampia rassegna stampa.


Sardegna, Berlusconi vince, sinistra anticapitalista oltre il 4%
Dichiarazione di Paolo Ferrero, segretario nazionale del Prc

La sconfitta elettorale in Sardegna dimostra che l'ondata berlusconiana non solo non si arresta ma che è lungi dall'infrangersi e che se mancano risposte di uscita da sinistra dalla crisi economica i risultati, come dimostrano i dati del Pd, non possono che essere disastrosi.
Il risultato ottenuto dalla lista di Rifondazione comunista è buono ma soprattutto è da sottolineare come l'esito delle elezioni sarde dimostri che la sinistra che vuole fare la sinistra e che vuole dire la sua, dall'Italia all'Europa, e unire tutta la sinista in una prospettiva comunista, anti-liberista e anticapitalista è abbondantemente sopra la soglia di sbarramento del 4% visto che tali sono i risultati delle forze che si richiamano a questa prospettiva.
Del tutto incosistenti, invece, risultano tutte le ipotesi che volevano fare da ponte verso il Pd, prive di progetto, identità e forza.
Ufficio stampa Prc


Le radici lontane della sconfitta
di Giuseppe Quaranta
su Aprile online del 17/02/2009

Non è più sufficiente parlare solo di alchimie o di auspicabili spostamenti a sinistra del Partito Democratico. Purtroppo la situazione è più complessa e drammatica, perché ancora una volta, se mai ce ne fosse ancora bisogno, si rende evidente il fatto che la sconfitta è sì politica ma soprattutto culturale. Il trionfo dell'individualismo, dell'egoismo, è ormai parte integrante della situazione storico-politica attuale.

Renato Soru è stato sconfitto. Anche la Sardegna sarà governata da Berlusconi. Il vento di destra continua a soffiare, forte più che mai. Il Pd e il suo progetto ignavo e bipartisan vengono per l'ennesima volta sconfitti. Le liste comuniste e di sinistra, tutto sommato mostrano timidi segnali ripresa, anche se il travaglio interno alle stesse ne ostacola il rafforzamento politico-elettorale. Ma non è a causa di errori soggettivi che le ultime elezioni sono state regolarmente vinte dalla destra. In Italia si è creata l'ennesima anomalia: negli ultimi anni nella gran parte del resto d'Europa, il governante viene sconfitto e vince l'opposizione. A prescindere da chi sia l'uno piuttosto che l'altro. In Italia no. Ormai vince sempre la destra e non più solo la destra politica, ma la cultura di destra, vera ed unica vincitrice in questa fase storica. E' evidente come sia quanto mai urgente e necessaria una forte riflessione, nelle forze della sinistra come nel Pd. Limitarsi ad analizzare la superficie non serve a niente. Il problema non è più del singolo candidato, della singola campagna elettorale o del fatto che i partiti sono divisi e litigiosi. Credo che non sia più sufficiente parlare solo di alchimie o di auspicabili spostamenti a sinistra del Partito Democratico (elementi che pure hanno nella loro reale e concreta quotidianità la loro importanza, sia chiaro). Purtroppo la situazione è più complessa e drammatica, perché ancora una volta, se mai ce ne fosse ancora bisogno, si rende evidente il fatto che la sconfitta è sì politica ma soprattutto culturale.Il trionfo dell'individualismo, dell'egoismo, è ormai parte integrante della situazione storico-politica attuale, ma ha origini ben più lontane. E' il prodotto di diversi errori e sconfitte, politiche come culturali degli ultimi venti-trent'anni. O proviamo - in un percorso lungo e difficile - a ribaltare la "cultura" degli italiani - e specie dei ceti che vogliamo rappresentare - a partire ovviamente da noi e dalle nostre pratiche concrete o non saranno sufficienti cambi di linea politica, se non per risultati di mera e fragile resistenza, fragile quanto vacua. Nell'epoca della massmediacità eletta ormai a collante di un popolo, del trionfo del voyerismo televisivo, del singolo che mette se stesso davanti anche a...se stesso ( ! ) è dura far vivere un pensiero ed una cultura di sinistra, di sincera solidarietà.
Questa cultura, questo trionfo dell' "io " sopra ogni cosa, ha permeato tutti i settori della società. E dato che anche i partiti, comunisti, di sinistra, di centro-sinistra sono un pezzo reale della società, ne hanno subito l'attacco e in parte ne sono anche stati permeati, chi in misura maggiore e chi in misura minore, naturalmente. L'individualismo, anche " collettivo " è ormai insito anche dentro noi. Non è un caso quindi che le cordate, le fazioni presenti nei partiti - spesso senza reale ragione d'essere - sono a volte strumenti per salvaguardare "singoli interessi collettivi" del tal gruppo a scapito dell'altro. Ma in realtà, sono entrambe destinate ad essere sconfitte. Quindi è fondamentale partire dal ricostruire una idea di cultura di sinistra viva, che per essere tale deve essere diffusa, radicata. Nelle coscienze, nella vita anche privata, nei rapporti personali. Oggi purtroppo non è cosi. E il problema è che tutti noi stiamo provando, ciascuno dal suo punto di vista e di azione politica, ad utilizzare "ricette " più o meno vecchie in una società che è ormai completamente diversa, altra rispetto a quella in cui quelle " ricette" sono nate. Dobbiamo sì lavorare per dare concrete risposte politiche ai problemi reali, ma se questo lavoro non viene affiancato ad una analisi ed un lavoro più profondo, più sottile, ma sicuramente più strategico, saremo destinati per chissà quanto tempo alla sconfitta. E a fare la nostra, forse ultima battaglia contro la peggiore delle riforme: quella che definitivamente toglierà il "noi" dal nostro vocabolario.
Segreteria Prc-SE federazione di Bologna


Grassi: «La sinistra comunista supera la soglia del 4%»
Dichiarazione di Claudio Grassi

I risultati delle elezioni in Sardegna dimostrano, per quanto riguarda la sinistra, in modo evidente che - come e' gia' avvenuto in Abruzzo - i risultati delle formazioni che si richiamano alla sinistra comunista, anticapitalista e antiliberista superano abbondantemente la soglia di sbarramento del 4 per cento, surclassando ampiamente il dato complessivo della Sinistra arcobaleno alle ultime politiche". Lo dice Claudio Grassi, numero due del Prc, che aggiunge: "Un motivo in piu' per costruire la lista unitaria della sinistra comunista e anticapitalista alle elezioni europee, una lista aperta e unitaria che, a partire dal simbolo di Rifondazione, sappia portare in Europa le battaglie di tutta la sinistra".agenzia AGI :: 17/02/2009
I risultati della sinistra anticapitalista

Rifondazione comunista 3,09% 21.332
Rosso mori 2,36% 16.327
Comunisti italiani 1,97% 13.62o
La sinistra 1,53% 10.559
Rocchi: Sardegna, tenuta sinistra ma forte astensionismo. Serve cartello elettorale unitario su alcune discriminanti
Dichiarazione di Augusto Rocchi, esponente Rifondazione per la Sinistra e membro Direzione nazionale Prc

Il risultato elettorale in Sardegna con la sconfitta di Soru è una ulteriore conferma di un forte consenso politico/culturale a Berlusconi ed alle politiche del centro/destra. Tutto ciò è favorito dalla mancanza di una opposizione portatrice di un forte progetto alternativo di risposta alla crisi e di trasformazione della società.
La pesante sconfitta del PD ne è una evidente dimostrazione. Ma anche il risultato delle forze di sinistra di alternativa, se pur registra una tenuta nel dato percentuale, è segnato nei voti assoluti da un aumento dell'astensionismo. Perciò lancio un allarme a tutta la sinistra: sediamoci intorno ad un tavolo e verifichiamo seriamente sulla base di alcune chiare discriminanti programmatiche alternative alle politiche neoliberiste la possibilità di dar vita alle Europee ad un cartello elettorale unitario per ridare voce e speranze ai tanti che non si vogliono arrendere.
Ufficio stampa Prc
Ferrero: Veltroni, soldiarietà umana ma fallimento linea politica priva obiettivo cambiamento società. Ora aggregare sinistra comunista e anticapitalista
Dichiarazione di Paolo Ferrero, segretario nazionale del Prc

Esprimo innanzitutto la mia solidarietà umana a Walter Veltroni. Le sue dimissioni da segretario del Pd non rappresentano il fallimento di una persona, ma di un progetto politico. E cioè il fallimento di quel progetto cominciato con lo scioglimento del Pci e che ha scelto la strada del progressivo spostamento in ambito sempre più moderato e liberale dei Ds prima e del Pd poi.
Il fatto è che le destre si sono nutrite dell'insicurezza prodotta dalla globalizzazione e poi aggravata dall'attuale crisi prodotta da quegli stessi effetti, per governare il Paese e che il Pd ha rinunciato a porsi il problema di qualsivoglia ipotesi di trasformazione sociale.
Oggi il problema che abbiamo di fronte è come aggregare una sinistra che sappia indicare con nettezza la via di uscita dalla crisi del capitalismo e dai suoi effetti. Non un accrocchio di piccoli ma un progetto politico serio e compiuto di una sinistra comunista e anticapitalista che non si fa ingabbiare nel terreno dell'alternanza ma si batte per il progetto politico di alternativa. La prima parola d'ordine di tale alternativa è una sola: la crisi la devono pagare i ricchi.
Ufficio stampa Prc
Bonadonna: Sardegna, fallimento progetto veltroniano. A sinistra serve processo di riaggregazione
Dichiarazione di Salvatore Bonadonna, membro Direzione e presidente del collegio nazionale di garanzia del Prc.

Il risultato elettorale della Sardegna conferma il fallimento del progetto veltroniano proprio perchè strutturalmente legato agli interessi del mercato e speculativi quali quelli che hanno costretto Soru alle dimissioni.
Le diverse forze della Sinistra debbono decidere se avanzare in ordine sparso con risultati risibili o decidere finalmente per un processo di aggregazione su una piattaforma anticapitalista libertaria e imperniata sulla difesa della uguaglianza della libertà e della democrazia repubblicana. Occorre dare un segnale immediato per evitare che il crollo del PD trascini anche la Sinistra verso un tunnel senza uscita.
Ufficio stampa Prc

di Tonino Bucci
su Liberazione del 17/02/2009
Intervista a Abdel Jabbar, sociologo, docente all'università di Torino.


Gli stupri non sono un'emergenza di questi giorni. L'anno scorso in Italia sono stati denunciati 4.465 casi di violenza sessuale. Le vittime sono per il 68 per cento donne di nazionalità italiana. Nei casi restanti il 9,4 sono rumene e il 2,7 marocchine. Il dato significativo è che il 58 per cento degli stupratori sono italiani mentre i rumeni sono il 9,2. Gli aggressori rumeni sono pari alle donne rumene vittime di violenza sessuale.I numeri stridono con l'ondata di xenofobia montata dopo i casi di stupri di questi giorni. Il populismo del governo rischia di saldarsi con la reazione emotiva, gli immigrati diventano per il senso comune portatori di culture minacciose, nemici di un'Italia dei territori assediata. Ne abbiamo parlato con Abdel Jabbar, sociologo e studioso dei processi migratori, membro del comitato scientifico e docente al master di comunicazione e mediazione interculturale all'università di Torino.
Il rischio è che la questione degli stupri sia usata per costruirci un discorso "neocoloniale". C'è uno spostamento nel senso comune, il problema sono gli immigrati e le culture straniere propense per definizione allo stupro. Quanto c'è di falso in questa associazione tra stupro e provenienza culturale?
La violenza contro le donne va condannata e punita.Questo deve essere chiaro. Non si può minimizzare o fare finta di nulla. Ma utilizzare il tema dello stupro in termini strumentali contro gli stranieri e gli immigrati è altrettanto inaccettabile. La storia ha dimostrato che i maschi hanno esercitato violenza nei confronti delle donne indipendentemente dalla cultura d'appartenenza. Se si leggono i dati sugli stupri in Italia e non si vuole fare solo della demagogia, ci si rende conto che la maggioranza delle violenze avviene tra le mura domestiche e sono commessi da maschi italianissimi e cattolici.
Nell'anno scorso sono state denunciate quasi 4500 violenze. Quelle commesse da rumeni sono poco più del nove per cento. Quindi non è questione di nazionalità. O no?
Vero, ma oggi nel mercato della politica lo stupro commesso da uno straniero è molto più spendibile. In una fase di crisi caratterizzata dalla paura e dall'insicurezza si cerca di indicare un capro espiatorio. Non si parla più di politiche migratorie se non in termini, appunto, di repressione e discriminazione. E così i casi che possono suscitare una reazione di sdegno e di odio verso gli immigrati diventano materia prima per legittimare una politica securitaria. Non si vuole affrontare la questione della migrazione in termini di diritti, come un tema sociale e politico. Si parla solo di strumenti repressivi. Ma così non si migliorerà certo la qualità di vita né delle donne né della società nel suo insieme. Si lavora soltanto alla produzione dell'odio, del rancore, di recinti. Il diverso diventa una patologia, un nemico, una fonte di pericolo.
Si riduce lo stupro a un problema esclusivo di ordine pubblico e di quanti poliziotti si possono schierare agli angoli della strada. Ma possono funzionare queste ricette?
Non credo che la presenza delle forze dell'ordine possa funzionare da deterrente per queste orribili pratiche. Ci vuole una grande politica. Occorrono, da un lato, leggi severissime, ma dall'altro anche interventi sociali e culturali. Ma le donne devono essere messe anche in grado di denunciare gli stupri perché sono ancora tantissime quelle che subiscono in silenzio.
Le politiche securitarie scavano solchi. Qui invece occorre più integrazione. Lo stupro non è la manifestazione più brutale e odiosa di chi vive e lavora segregato ai margini della società, quasi una sorta di forma disumana di rivalsa, un degrado innescato dal degrado?
Lo stupro è trasversale a tanti contesti culturali e nello stesso tempo è condannato da tutte le culture. Non c'è nessun contesto culturale che legittimi o permetta lo stupro, come qualcuno vorrebbe farci credere. Quindi lasciamo perdere le spiegazioni culturali. Il degrado spesso favorisce ceoncezioni degradate delle relazioni umane. Però è anche vero che tante persone vivono situazioni di esclusione ma non vanno in giro a stuprare. Non c'è nessun automatismo tra degrado e violenza sulle donne. Spesso è un problema di personalità. Né la cultura di provenienza, né la condizione sociale di degrado sono sufficienti per produrre l'atto dello stupro. La spiegazione che gli immigrati sono di culture diverse e quindi commettono stupri è una spiegazione fasulla. Alcuni stupratori sono rumeni, ma ci sono tantissimi rumeni che non compiono violenze. Non c'è automatismo. Il degrado sì, va preso in considerazione, ma l'elemento determinante è la responsabilità soggettiva, la personalità, le caratteristiche individuali. Le generalizzazioni vanno evitate. Certo che se mettiamo le persone problematiche in contesti degradati la probabilità delle violenze sulle donne aumenta. Il degrado può far precipitare determinate caratteristiche in individui con una certa personalità. Ma altra cosa sono le schematizzazioni, il ricorrere all'appartenenza culturale per spiegare lo stupro, il dire che l'immigrato è stupratore perché è culturalmente diverso. Sono falsità. Non c'è automatismo, l'albanese o il rumeno non commette stupro in quanto albanese o rumeno. Ci sono italiani stupratori che non vivono neppure in contesti degradati.
Non c'è relazione tra stupro e cultura o tra stupro e condizione sociale. Però una componente culturale c'è ed è il maschilismo. O no?
Un retaggio maschilista c'è. Trovo più corretto parlare di cultura maschilista che appartiene anche alla storia europea. Fino a non molto tempo fa in Italia c'era l'attenuante del delitto d'onore. Il maschilismo è un elemento trasversale che attraversa culture e contesti sociali differenti. Discutiamo allora tutti, italiani e non, del potere maschile sul corpo della donna. Non c'è nessuno immune.
C'è Forza Nuova che condanna le violenze solo in quanto a compierle sono stranieri che vengono a violentare "le nostre donne". Questo è un esempio del maschilismo di quella destra che fomenta campagne di odio verso gli immigrati. E' così?
L'estrema destra non solo fa riferimento alla cultura della virilità, ma vede nello straniero un pericolo che minaccia la purezza delle "nostre donne".
Persino l'opinione progressista sembra cedere al populismo. Un commento di ieri su "Repubblica" a firma di Michele Serra invitava a trasformare la scomposta paura popolare in forme proficue di controllo sul territorio. Come si può pensare di democratizzare le ronde leghiste?
Oggi c'è un rischio di tribalizzazione della società. Tutto è tribalizzato, l'acqua, la sanità, la scuola e anche la sicurezza. Ma così si dà a una forza politica e ideologica come la Lega la legittimità di esercitare una sovranità sul territorio. Ciò che ha caratterizzato gli Stati democratici è stato il monopolio della forza e della violenza quando è necessaria. Oggi c'è un ritorno alla tribalizzazione, al comunitarismo, all'identarismo, al localismo, alla piccola patria. Ogni gruppo pretende di esercitare la sovranità sul proprio territorio in base a riferimenti ideologici. A questo dobbiamo esser capaci di contrapporre forme di organizzazione dal basso. Ma questo è un altro ragionamento. Vuol dire organizzarsi per sostenere gli anziani, per produrre maggiore solidarietà con le persone in difficoltà. I territori oggi sono attraversati dal rancore. Le ronde simboleggiano la paura e invece abbiamo bisogno di più legami all'interno dei quartieri e dei territori, di una comunità in cui tutti possano vivere bene. Qui sì, la società civile deve assumersi le sue responsabilità senza delegare la sicurezza alle ronde, a gruppi che hanno una visione ostile verso l'altro, verso l'immigrato. Giusto che si organizzi, ma non per formare ronde armate che difendono il proprio recinto rancoroso. Altrimenti andremo verso una società fatta di gruppi in perenne conflitto tra loro.

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