Il dramma di Lampedusa e gli errori di Maroni.

Russo Spena: Lampedusa, gravi responsabilità Maroni

mercoledì 18 febbraio 2009
Dichiarazione di Giovanni Russo Spena, responsabile Giustizia del Prc.

I gravi fatti accaduti oggi (ieri per chi legge) a Lampedusa sono esclusiva responsabilità del governo. Gli errori del ministro Maroni sono enormi. In nome di una propaganda securitaria e razzista da rivendicare al suo operato, mette in pericolo persone e vite umane. E' stato Maroni a volere, di fatto, il sovraffollamento del cpt di Lampedusa e permettere che crescessero in esso disperazione e disordini. Quando la delegazione di parlamentari europei aveva visitato il cpt giorni fa aveva subito parlato di emergenza umanitaria, denunciando la assoluta mancanza del rispetto delle più elementari norme di sicurezza, all'interno di quella struttura.
Maroni deve rispettare i termini degli accordi internazionali cui aderisce l'italia, così come l'accoglimento delle richieste di asilo politico e di ricongiungimento familiare. Lampedusa è un dramma figlio della propaganda razzista del governo.
Ufficio stampa Prc

Dire che le manovre di questo governo sono razziste è troppo? o troppo poco?
Ecco cosa è successo ieri nel "lager" di Lampedusa.
Lampedusa, scontri tra migranti e polizia. Un incendio devasta il Cie (ex cpt): 24 feriti

Sedata la rivolta, ma i danni alle strutture sono ingenti. La tensione nata dopo il rimpatrio coatto di 107 tunisini.

Tensione a Lampedusa, con una nuova tentata rivolta degli immigrati chiusi nel Centro di identificazione ed espulsione. Nella struttura sono scoppiati violenti scontri tra immigrati e forze dell'ordine, quando alcuni tunisini hanno tentato di sfondare i cancelli per scappare. I feriti sono 24: 22 tra poliziotti e carabinieri hanno riportato contusioni o sono rimasti intossicati; due immigrati sono invece ricoverati per le esalazioni del fumo. Dopo gli stranieri hanno ammassato materassi, cuscini e arredi dando fuoco alla struttura in tre punti diversi: si è sviluppato un vasto incendio che ha causato molti danni. Il capannone centrale è stato distrutto e l'incendio ha colpito anche altri edifici. Sei le squadre in azione, oltre a un elicottero della Guardia di finanza: le fiamme sono state domate con grossi sforzi, a causa del vento.
RIMPATRIO COATTO - Nella confusione alcuni ospiti del Cie, forse alcune decine, sono scappati ed è scattato l'inseguimento. La rivolta, poi sedata, è nata dalla protesta di circa 300 tunisini, che hanno anche iniziato uno sciopero della fame contro il rimpatrio coatto di 107 loro connazionali, avvenuto martedì. Nella struttura di Lampedusa, trasformata dal Viminale da Centro di prima accoglienza e soccorso a Centro di identificazione ed espulsione, si trovano 863 immigrati, in gran parte tunisini
SINDACO: «COLPA DEL GOVERNO» - Il sindaco De Rubeis accusa il governo e chiede la rimozione del ministro dell'Interno Maroni, «responsabile del fallimento totale dell'operazione»: «Le fiamme sono arrivate a 10 metri di altezza, una nube tossica sprigionata dai pannelli coibentati sta raggiungendo il paese, chiedo l'immediata evacuazione della struttura. Grazie all'opera svolta dal ministro Maroni si è corso il rischio che a Lampedusa potesse accadere una strage sia tra gli immigrati, sia tra le persone che lavorano all'interno del centro e tra la popolazione. Ha trasformato il centro in un lager, gli immigrati sono esasperati». Il sindaco sta predisponendo un'ordinanza per vietare l'uso dell'acqua potabile piovana, raccolta nelle cisterne, «in quanto potrebbe essere stata inquinata dalla nube tossica sprigionata dall'incendio». De Rubeis è stato sentito martedì nella Procura di Agrigento in merito all'inchiesta relativa alle condizioni di vita e di salute nel Cie di Lampedusa.
APPELLO DELL'UNHCR - Laura Boldrini, portavoce dell’Unhcr (l'agenzia dell'Onu per i rifugiati) ha fatto un appello al governo: «Abbiamo sollecitato un intervento del Viminale perché è pericoloso lasciare nel Cie migranti e operatori vicino alle fiamme e al fumo. È necessario approntare misure urgenti per spostare le persone per ridurre il numero intossicati e ustionati. È una situazione che covava da settimane, fin dagli atti di autolesionismo. C’è una grossa tensione per i rimpatri, i migranti si sentono persi e tentano il tutto per tutto».

"Moriranno" tutti democristiani?

Riporto le dichiarazioni di Enrico Letta (esponente di spicco del PD) che auspica un accordo con l'UDC per fare uscire il PD dalla crisi. In Sicilia significherebbe accordarsi con Cuffaro, Mannino e tanti altri. Moriranno tutti democristiani?


Cerco un centro di gravità permanente.

Il ministro ombra del Lavoro (esponente di spicco del PD) non nasconde le critiche non solo alla gestione del partito in questi mesi, ma anche alle regole interne del partito. «Sabato - spiega - parleranno tutti gli eletti dell'assemblea costituente: sono i portatori, insieme a Veltroni, di quel volere dei 3 milioni e mezzo di italiani che votarono alle primarie. Il potere è nelle mani dell'assemblea, purtroppo in questi mesi tra i tanti errori c'è stato anche quello di approvare uno statuto barocco e schizofrenico, un mix di masochismo e di autolesionismo, che è parte integrante di questo psicodramma». «Anche questa dello statuto -sottolinea Letta- è un esempio di una storia nella quale abbiamo inanellato errori che puntualmente vengono fuori: errori di posizionamento politico, di amalgama che non è riuscito come è stato detto, di disattenzione del partito verso i suoi militanti ed errori di alleanze». A questo punto però non c'è tempo per il congresso e si andrà al voto per rinnovare il Parlamento europeo con un reggente: «Temo di sì, ci vogliono tre mesi per fare un congresso. Se è così andiamo alle europee con Franceschini e dopo al congresso».
«Senza un'alleanza con l'Udc non andiamo da nessuna parte - ha detto Letta - Tra le ultime ultime elezioni, l'unica che abbiamo vinto è stata quella della Provincia di Trento, ed eravamo alleati con l'Udc. La politica ha delle regole molto ferree».

Seguono le dichiarazioni del segretario nazionale del Prc Paolo Ferrero

Fallimento di una politica, non di un uomo.
mercoledì 18 febbraio 2009
di Paolo Ferrero, segretario nazionale Prc

Il risultato delle elezioni sarde ha reso evidente il fallimento del progetto politico del Pd. Non l'errore di un leader, ma la crisi organica di un progetto politico che copre un arco temporale lungo. E' la strategia nata dal progetto occhettiano di scioglimento del PCI e caratterizzata da un progressivo spostamento al centro che si mostra fallimentare. Con questo fallimento occorre fare i conti in modo non propagandistico. Anche perché il risultato sardo colpisce pesantemente un'esperienza di governo che nel bene e nel male non rappresenta certo uno dei frutti peggiori del Pd. Anzi. Il centrosinistra ha fallito non per imperizia di qualche dirigente ma proprio perché il suo progetto politico non è in grado di prefigurare una via di uscita dalla crisi. Così, anche le cose buone fatte da Soru - penso alla legge sulla tutela del territorio - si sono ritorte contro un centrosinistra che non è riuscito a dare uno sbocco positivo al drammatico problema della disoccupazione. Anche la speculazione edilizia può essere vista come un'ancora di salvezza in una condizione in cui manca il lavoro.

La sconfitta sarda ci pone quindi il problema di fondo. Il centrosinistra è nato e cresciuto in simbiosi con la globalizzazione capitalistica. Di quella globalizzazione ha assunto le culture e i valori: dal liberismo temperato alla centralità dell'impresa. Di fronte alla crescente insicurezza sociale prodotta dal quel modello di sviluppo, insicurezza diventata vero e proprio terrore dentro la crisi economica, il centrosinistra non è stato in grado di dare alcuna risposta credibile. Al contrario la destra ha usato l'insicurezza sociale come un'arma per fomentare la guerra tra i poveri e costruire su queste basi il suo consenso. La destra, di fronte alla crisi ha detto: la coperta è corta, è bene che restino fuori i piedi degli altri, immigrati in primo luogo; se si deve sacrificare un po' di libertà e democrazia, pazienza. Su questo ha vinto la destra.

Di fronte alla crisi la destra propone uno sbocco barbarico. il Pd non ha proposto nulla. Nel suo ultimo piano contro la crisi non è nemmeno stato in grado di porre la questione della redistribuzione del reddito, che è con ogni evidenza il problema più grande che abbiamo dinnanzi.
In questa situazione è bene, a sinistra, evitare illusioni che vedo pericolosamente affacciarsi.

Da questa crisi non si esce con un cambio di leadership. Non è un problema di nomi, né è sufficiente, come al gioco dell'oca, tornare indietro di qualche casella, magari riscoprendo i Ds al posto del Pd. Il problema è che tutto il gruppo dirigente che ha operato per sciogliere il Pci si è identificato con la gestione della globalizzazione liberista ed è andato in crisi proprio nella crisi della globalizzazione.

Un anno e mezzo fa è saltato Prodi, oggi Veltroni, domani chi? Questa crisi strategica non si risolve con i giochi di sponda con le correnti interne al Pd o con qualche belletto. Questa crisi non si risolve nemmeno con una rinnovata intesa tra Pd e sinistra. Il fallimento dei due governi Prodi, così come la giunta di Soru è li a dimostrarlo. Quello che manca oggi non sono le relazioni tra le due sinistre o un nuovo centrosinistra. Quello che manca è la credibilità di una sinistra di alternativa che sappia elaborare e declinare credibilmente una proposta di uscita dalla crisi. Una proposta alternativa alle ricette liberiste e "riformiste". Per questo Rifondazione Comunista lavora alla costruzione di una sinistra di alternativa, anticapitalista e comunista, non subalterna alla crisi del Pd, capace di costruire con la Cgil, il sindacalismo di base, la moltitudine di comitati locali, l'opposizione sociale nel Paese. E formulare proposte che diventino parole d'ordine di massa: redistribuzione del reddito, ammortizzatori sociali per tutti, intervento pubblico nell'economia, rilancio del welfare. Si tratta di promuovere un movimento generale, consapevole che dalla crisi non si esce con i sacrifici, ma con la radicale messa in discussione degli attuali assetti di reddito e di potere.

Nessuna scorciatoia, quindi. Il gruppo dirigente del Pd non ha sbagliato linea, ma la strategia di fondo, da vent'anni a questa parte. Costruire un progetto e una sinistra alternativi a questa fallimentare strategia è il compito che noi di Rifondazione abbiamo dinnanzi, sul piano sociale, su quello culturale come su quello elettorale. Lavorarci da subito è tanto più necessario per costruire un punto di riferimento che alla crisi del Pd opponga una risposta in avanti, in Italia come in Europa.

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