La retorica populista-fascista di Berlusconi mentre l'Italia affonda.
1 commenti Pubblicato da PRC C/mare del Golfo alle 13:27I dati sulla crisi economica sono preoccupanti anche se Emilio Fede non fa vedere più in televisione la gente che rovista tra i rifiuti per trovare qualcosa da mettere sotto i denti. Quella era un'altra epoca e si utilizzavano tutte le carte in tavola, non quelle di poker, per fare propaganda contro il governo Prodi. Succede adesso che viene fondato il PDL. Viene fondato da un'assemblea dopo che già lo aveva fondato il leader Berlusconi. Sulla logica di questo meccanismo perverso non mi pronuncio. Volevo rivelare che sono quindici anni che Berlusconi rompe con questa voglia di modernità e cambiamento salvo cambiare solo il nome al partito ma continuare con politiche fallimentari che fanno solo il gioco dei suoi interessi e di quelli di pochi intimi amici. Mentre continuiamo ad assistere a questa stucchevole retorica populista-fascista il nostro paese è piegato in due da una crsisi economica frutto delle politiche liberiste e capitalista trainate dagli Stati Uniti.
Coraggio compagni non sono finite le rivoluzioni....
Giacomo Galante
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di Gianpasquale Santomassimo
su Il Manifesto del 22/03/2009
Fra i tre fascismi che sono al governo (il fascismo storico dei missini, il fascismo «naturale» e qualunquista degli elettori di Berlusconi, il fascismo razzista e xenofobo della Lega) soltanto il primo ha avviato da tempo - e inevitabilmente - una evoluzione e un ripensamento, che lo conducono oggi a celebrare, con lo scioglimento nel Pdl, il compiersi di una proposta politica che si lascia «alle spalle il Novecento con le sue ideologie totalitarie».Più ancora che l'evoluzione del partito in sé, che è apparso sospeso e lacerato a mezza via tra innovazioni accettate e richiami identitari riaffioranti, ha colpito negli ultimi anni l'accelerazione del percorso personale di Gianfranco Fini, che ha teso a presentarsi come interprete di una nuova destra «moderna» e repubblicana, sempre più distante dal punto di partenza e sempre più vicina al modello di una destra europea incarnata dall'esperienza gaullista più che dalla tradizione democristiana.Su cosa sia oggi la cultura del partito che si scioglie si sono interrogati i giornali, in tono tra il divertito e il serioso. Va detto però che molti osservatori si sono abbandonati a un assemblaggio inevitabilmente pittoresco tra dichiarazioni ufficiali, bancarelle di libri in esposizione nei congressi, «rivalutazioni» ardite di un organo negli ultimi tempi molto immaginifico quale il Secolo d'Italia. Viene fuori così un quadro dove Julius Evola si mescola a Vasco Rossi e nell'ombra sogghigna Wil Coyote. Prendiamo però la cosa sul serio, come è giusto fare, e atteniamoci al documento ufficiale, che come tutti i documenti va analizzato attentamente, di là del suo valore intrinseco. Il nuovo Pantheon è molto affollato, anzi sovraffollato, e si presterebbe senza dubbio a facili ironie. Rispetto ai documenti della svolta di Fiuggi (gennaio 1995) vediamo cadere il richiamo a Gramsci (e agli echi nazional-popolari che lo legittimavano), compaiono però Giovanni Amendola e Piero Gobetti, mentre non solo un residuo di buon gusto impedisce l'introduzione di Giacomo Matteotti, ma soprattutto la sua estraneità al clima della cultura antigiolittiana e antipositivista che pare il filo conduttore di molti inserimenti. Nel primo Novecento troviamo infatti Croce e Gentile, Pirandello, Mosca, Pareto, Gobetti, la «grande stagione culturale del nazionalmodernismo del Futurismo di Marinetti e Boccioni», l'opera di Marconi, «lo slancio di Filippo Corridoni», le «propulsioni culturali e lo slancio civile di D'Annunzio, Papini, Soffici, Prezzolini, Amendola, Malaparte». Vittime e carnefici del decennio futuro vengono fissati come in sospensione alla data del 1914, come se la storia d'Italia si fosse fermata lì. C'è una certa coerenza, non assoluta ma relativa, rispetto al canone fissato da Fini al congresso di Fiuggi quattordici anni fa: l'idea di una destra che precede il fascismo e va oltre il fascismo. Lasciamo perdere l'obiezione, facile, sul carattere non assimilabile alla destra di molti dei personaggi elencati. La cosa più sorprendente, però, è che con tale disposizione ideale, e da un versante insospettato, si torna a «mettere tra parentesi» il fascismo, cioè l'unica esperienza unificante delle destre in Italia prima di Berlusconi, il suo lascito duraturo e incancellabile nella storia d'Italia, e, inevitabilmente, nella storia, nella cultura, nella psicologia della destra italiana. Ma qui non è la «repugnanza» crociana verso il fascismo che ispira questa parentesi; sono imbarazzo e falsa coscienza che impediscono di parlare del regime.Il filo conduttore è quello di una «via italiana alla modernità» che parte da molto, troppo, lontano: Dante, Petrarca, Machiavelli, Leonardo e Vico, e che attraverso Alfieri, Foscolo, Leopardi, Manzoni, Gioberti, Cattaneo giunge al primo Novecento. Questa linea scavalca il fascismo ma riaffiora nell'Italia repubblicana attraverso le «personalità che, in un contesto di differenti egemonie culturali, hanno lavorato per mantenere viva l'idealità italiana, da Guareschi, a Longanesi, a Del Noce, a Montanelli, a Flaiano, a Calamandrei, a Pannunzio, a Cotta». Lo spirito della modernità italiana si esprime anche nel cinema di Fellini e Sergio Leone e «nella musica di Battisti, Mogol e Pavarotti, dall'applicazione industriale di Beneduce fino a Enzo Ferrari ed Enrico Mattei. È questo il Novecento che merita di essere traghettato nel nuovo secolo, a fondamento culturale del nuovo partito che stiamo costruendo».Lo sbocco di tutto questo è il Pdl che rappresenta il «partito degli italiani», «capace di unire e rappresentare tutte le culture politiche espressione dello spirito nazionale, racchiuso nell'identità cattolica, nel Rinascimento, nel grande Umanesimo, nel Risorgimento e nei movimenti modernizzatori e riformisti del Novecento». Evitiamo facili battute su questo ultimo elenco di nomi e di richiami. Quello che non si può tacere è però il ritorno di una tipica arroganza fascista, e che la stessa idea di un «partito degli italiani» - che è anche lo slogan del Congresso - ben compendia: far coincidere nazionalità e appartenenza politica, con l'ovvia e sottaciuta espulsione di tutti gli italiani di opinioni avverse dal campo stesso della patria comune. Sono parole in assoluta libertà, demagogia propagandistica (ancora più corrente negli ideologi di Forza Italia che in quelli di An) che però non può che preoccupare in un partito plebiscitario e carismatico, fondato sulla guerra civile permanente e sulla divisione degli italiani in «buoni» e reprobi quale è quello fondato da Berlusconi e in cui oggi i postfascisti confluiscono.Il documento mescola richiami all'individualismo e alla centralità della persona contro il fallito «progetto massificante e relativista, prima di marca marxista, poi giacobino-economicista», ma anche richiami al fallimento del mercatismo e del globalismo, «ideologie sbagliate e non il grande punto d'arrivo dello sviluppo umano». Rilancia l'economia sociale di mercato come alternativa al liberismo deregolato. Contro la fine delle patrie, rivendica l'identità italiana come «connotato culturale, passionale e prepolitico» del Popolo della Libertà, intesa come riconoscibilità di una forma mentis tipica di una comunità. Non manca l'inevitabile condanna dello «spirito del Sessantotto», stagione che ha degradato i saperi e ha confuso i valori della cultura. «Allora la cultura del merito fu espunta dalla scuola e dall'università per lasciare spazio a una collettivizzazione dei titoli, assolutamente effimera e dannosa». Obiettivo ambizioso è «capovolgere la meccanica dell'egemonia culturale che, per decenni, ha tenuto le idee, i programmi e la cultura della destra in una condizione di subalternità rispetto al 'pensiero unico' liberal e tecnocratico». La Grande Riforma presidenzialista è additata sullo sfondo come tappa cruciale del percorso.Che dire, in conclusione? La fondazione della cultura di una «destra repubblicana», autoritaria ma costituzionale, laica e secolarizzata pur nell'ossequio ai valori religiosi, era già molto difficile in un partito diviso tra nostalgia e razionalità. Sarà compito ancora più arduo in un partito carismatico e demagogico, dove le chances per Fini di contare e orientare saranno inevitabilmente ridotte ai minimi termini.
Vecchio e nuovo fascismo, vecchio e nuovo antifascismo
di Angelo d’Orsi
su Liberazione del 22/03/2009
L’autoaffondamento della nave postfascista ha già attrattol’attenzione dei commentatori, e certo se ne parlerà a lungo. Infondo, l’MSI, poi AN, era il solo partito che, pur derivando dallosconfitto totalitarismo fascista, avesse avuto cittadinanzanell’Europa post-1945. E ciò a dispetto della XII disposizionetransitoria della Costituzione vietante “la ricostituzione deldisciolto Partito fascista”, e anche della successiva Legge Scelba(1952), volta alla sua attuazione, che sanziona penalmente lapropaganda o l’apologia del fascismo. Vissuto sempre sul doppiobinario – che peraltro fu di Mussolini, e fu ripreso da Almirante,oggi presentato incredibilmente come uno dei “padri della patria” -dell’accettazione formale del sistema liberale e della praticasostanziale della violenza politica, il neofascismo, divenutopostfascismo in un percorso lungo e accidentato, giunge all’abbracciocon Berlusconi e il suo partito personale che riesce a mietereconsensi in ogni strato sociale. Una scelta, com’è noto, respinta consdegno da Fini, e poi supinamente accettata in nome proprio del largoconsenso del Cavaliere, salvo tentare di preservare una “identità” ditipo correntizio in seno a questa adunata che mira a occupare tutto lospazio politico che dal centro giunge fino alla destra estrema, purcon la freccia nel fianco costituita dalla Lega Nord, che la suaautonomia cerca di tenersela ben stretta.Archiviato quel che del fascismo rimaneva, si può mandare in soffittal’antifascismo? La risposta è un no chiaro e tondo. No, innanzi tuttoperché la confluenza (l’assorbimento) nel PdL, intensificherà, dopo lafuoruscita di Storace, la nascita di gruppi di fascisti duri e puri,che cercheranno sul campo di dimostrare la loro autonomia, con azionicome le aggressioni alla Sapienza e in altre sedi universitarie, o inraduni giovanili, o anche verso singoli militanti di sinistra, oancora il gravissimo raid alla sede di Chi l’ha visto?, il programmaRai “colpevole” di aver dato un volto ai picchiatori. Un’attitudine euna cultura antifascista sono da preservare e vorrei dire tenere inesercizio (politico, intellettuale, morale) soprattutto in quantoanche lo scioglimento di AN nel PdL appare un atto formale che siinserisce nel quadro del passaggio alla “postdemocrazia” che è ilvolto nuovo del fascismo. E a chi si scandalizzerà subito perquest’affermazione vorrei ricordare alcuni provvedimenti quali leleggi ad personam volte a sancire giuridicamente l’impunibilità del“capo” (atto a cui Mussolini non giunse mai: e il re, infatti, lo fecearrestare); la grave limitazione del diritto di sciopero; la riduzionedegli spazi di agibilità politica in ogni sede; l’attacco all’unitàdel movimento operaio e l’avviata irreggimentazione di quei sindacatiche si lasciano irreggimentare; la riduzione a guscio vuotodell’istituto parlamentare: basti pensare che tutte le leggi finoraapprovate, sono decreti convertiti in aula, tranne quella istitutivadella Commissione antimafia, solo perché non era tecnicamentepossibile farlo! E che dire della recentissima proposta berlusconianadi far votare solo i capigruppo? Si aggiunga che il parlamento nelleultime due Legislature è nato da una legge elettorale definita“porcata” dal suo ideatore che cancella il diritto dell’elettore discegliere i suoi rappresentanti… E ancora: la drastica limitazione deidiritti di libertà degli invididui e dei movimenti collettivi, non inlinea con gli orientamenti politici governativi (il fascismo si spinseoltre, con una legge che consentiva il licenziamento dei pubblicidipendenti politicamente non affidabili…); l’accentramento inpochissime mani di un potere enorme, con un presidente del Consiglioche – avendo ripristinato la dicitura introdotta da Rocco di “capo delGoverno” – si muove, tra pubblico e privato, tra spettacoloesibizionistico e istrionismo: come non ricordare il “brav’uomo”Mussolini (definizione berlusconiana, peraltro) che si adoprava per lagioia di fotografi e cineoperatori a torso nudo in una grottesca“raccolta del grano”? Ma il “duce”, se non altro, non ebbe laconcezione proprietaria dello Stato, e aziendalistica della culturaoltre che della politica, che il cavaliere non esita a mostrare, e atradurre in atti concreti.E si potrebbe continuare. La strada che stiamo percorrendo conduce al“superamento” della democrazia. Non volete chiamarlo nuovo fascismo?Chiamatelo come vi pare, ma la soglia di attenzione deve alzarsi, nonabbassarsi. E il nuovo, necessario antifascismo, comunque, dovràessere non soltanto difesa dei princìpi costituzionali, ma dellasostanza dello Stato di diritto. Nato, in questo sfortunato Paesechiamato Italia – mi si perdoni la banalità – precisamente dall’azionedell’antifascismo storico.
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Cosa vuol dir avere un metro e mezzo di statura....
0 commenti Pubblicato da PRC C/mare del Golfo alle 13:52vuole scoprir se è vero quanto si dice intorno ai nani,
Passano gli anni, i mesi, e se li conti anche i minuti,
Fu nelle notti insonni vegliate al lume del rancore che preparai gli esami diventai procuratore
E allora la mia statura non dispensò più buonumore a chi alla sbarra in piedi mi diceva "Vostro Onore", e di affidarli al boia fu un piacere del tutto mio,
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Studenti di Castellammare: cosa deve succedere ancora per ribellarsi?
7 commenti Pubblicato da PRC C/mare del Golfo alle 14:38di Stefano Milani
su Il Manifesto del 19/03/2009
Nel giorno dello sciopero convocato dalla Cgil agli studenti universitari romani viene impedito di uscire dalla Sapienza e di sfilare all'esterno. I giovani provano a uscire, la polizia carica. «Siamo stati sequestrati». Ed esplode la polemica sulle limitazioni ai cortei nella città di Alemanno
L'Onda è tornata ed evidentemente fa paura. D'altra parte il premier Berlusconi l'aveva promesso lo scorso autunno, nel culmine del dissenso studentesco: «Manderò la polizia nelle università». Detto fatto. Così quello che doveva essere il ritorno dell'esercito del surf contro i tagli all'istruzione del trio Gelmini-Tremonti-Brunetta, è diventato lo spunto per mettere in pratica la linea dura del governo. La politica del manganello e del «da qui non si passa».Succede a Roma, alla Sapienza, nella più grande università pubblica d'Europa. Cinquecento studenti caricati e sequestrati per ore all'interno della cittadella, intimati a non mettere naso fuori dalle mura accademiche, proprio nel giorno dello sciopero della conoscenza indetto dalla Flc-Cgil. L'idea era di uscire in corteo, arrivare fin sotto il ministero dell'Economia e confluire nel sit-in sindacale a piazza SS. Apostoli. Ma niente, la strada dell'Onda è sbarrata. Piazzale Aldo Moro, via dell'Università, via Cesare De Lollis, via Regina Margherita: ogni varco del quadrilatero universitario è off-limit, presidiato da polizia, carabinieri e guardia di finanza. Caschi, scudi e manganelli. Perfino i vigili urbani a dare un mano come possono, con palette e fischietti. «Correte stanno uscendo dalla parte delle segreterie...», grida un pizzardone ad un funzionario della celere.Ma i caschi blu non si limitano a presidiare. Caricano. E più volte. La prima all'entrata principale di piazzale Aldo Moro, poi in quelle laterali. «Qui non si passa», intima un funzionario di polizia: «Il vostro non è un corteo autorizzato». La nuova politica del sindaco Alemanno ha già fatto scuola, il protocollo appena siglato sulla di restrizione dei percorsi dei cortei a Roma è preso alla lettera. Così le manganellate si sprecano. «Mi hanno circondato in quattro e picchiato con il manganello girato (come documenta la foto qui accanto, ndr.)», denuncia Emanuele mostrando i segni rossi sulla schiena e su un gomito. «Restiamo calmi, non cadiamo nelle loro provocazioni», grida qualcuno. L'«arma» studentesca rimane la parola, urlata e amplificata dal megafono: «Vogliamo andare nelle nostre strade: libertà di movimento». Ma niente «da qui non si passa», ribadisce il brigadiere dei carabinieri di turno sghignazzando.I minuti passano e le parole lasciano spazio al lancio di giornali appallottolati, bottiglie, scarpe. Tante scarpe. Come hanno fatto gli universitari francesi contro i loro ministeri e come ha fatto il giornalista iracheno contro Bush. Le volevano gettare all'indirizzo del ministero dell'Economia, ma visto l'impedimento ad uscire in strada il tiro a segno è tutto contro i celerini. Al secondo tentativo di forzare i blocchi, arrivano a rinforzo gli agenti della guardia di finanza ed effettuano una nuova carica. Di «alleggerimento», diranno poi. Una «leggerezza» che manda sei ragazzi al pronto soccorso. A quel punto la tensione sale. Inevitabilmente. E oltre le scarpe, vola anche qualche sampietrino, accompagnato dallo slogan «Roma libera! Roma libera». All'interno della città universitaria, intanto, non c'è più un corteo unico, ma tanti gruppi, dieci-quindici persone che corrono da un lato all'altro, passando di facoltà in facoltà alla ricerca di una via d'uscita. Chi prova a «sfondare», davanti all'entrata di Antropologia, subisce un'altra carica, la terza. «Siamo sequestrati», urlano dal megafono. Fuori non si esce e allora qualcuno lancia la proposta: «Occupiamo il Rettorato». Ma anche lì le porte vengono prontamente serrate.È mezzogiorno quando l'Onda si ricompatta. I ragazzi si ritrovano sotto la statua della Minerva, nel luogo da dove erano partiti due ore prima. «Bisogna parlare, bisogna denunciare quanto è accaduto», i vari leader dei collettivi si affrettano ad organizzare un'assemblea a Lettere. Il giudizio sulla giornata è pesante: «Siamo entrati in una nuova era, oggi possiamo dirlo con chiarezza, senza equivoci - si legge nel comunicato dei collettivi - La recessione è realtà concreta, il governo non ha dubbi: polizia contro gli studenti, polizia contro chi dissente, polizia e cariche contro chi la crisi non vuole pagarla! La mattinata della Sapienza ci parla di questo, ci parla del vuoto di democrazia che riguarda questo paese e la città di Roma, con il suo protocollo contro i cortei». E assicurano: «Non finisce qui». Ma non è una minaccia, bensì la consapevolezza che «l'Onda è tornata».
Squadrismo e Polizia contro gli studenti democratici: ecco il nuovo corso berlusconiano
di Fabio de Nardis *
su Prc del 19/03/2009
Quanto è avvenuto oggi (18 marzo) all’Università di Roma “La Sapienza” è un fatto gravissimo. Agli studenti dell’Onda riuniti in centinaia presso il piazzale della Minerva dentro la Città Universitaria è stato impedito con la forza di raggiungere in un corteo spontaneo e pacifico i lavoratori della conoscenza riuniti a Piazza SS Apostoli in occasione dello sciopero sacrosanto indetto dalla FLC-CGIL. Gli studenti sono stati caricati con violenza e a più riprese costringendoli all’interno della città universitaria trasformata per l’occasione in una sorta di carcere a cielo aperto. Questo fatto gravissimo non può essere scisso dalle recenti aggressioni squadriste portate avanti da gruppi neofascisti legati all’organizzazione giovanile di Alleanza Nazionale e al Blocco Studentesco presso l’Università di Tor Vergata e a Roma 3. Inuti le negare che a legare questi eventi sia un unico filo nero.
Rifondazione Comunista denuncia con forza la ormai evidente continuità culturale che si realizza nella chiusura manu militari degli spazi di espressione democratica all’interno delle Università Italiane. Da un lato, la criminalizzazione e la repressione violenta del dissenso pacifico; dall’altro, le aggressioni squadriste agli studenti dei collettivi da parte di gruppi organizzati protetti dalla destra istituzionale.
Rifondazione Comunista sostiene la lotta democratica degli studenti in Onda e lancia una campagna nazionale per rivendicare la specificità antifascista della scuola e dell’Università della Costituzione contro ogni tentativo governativo di reprimere il libero dissenso democratico degli studenti e dei lavoratori.
* Responsabile Nazionale Università e Ricerca PRC-SE
E a Napoli il Blocco attacca gli studenti
di Francesca Pilla
su Il Manifesto del 19/03/2009
Blitz neofascista, botte a Giurisprudenza
«Attacco neofascista», «aggressione», «provocazione». Sono queste le parole che usano gli studenti dell'onda napoletana per descrivere i tafferugli scoppiati ieri davanti alla facoltà di giurisprudenza della Federico II. I fatti li raccontano con le loro testimonianze e con qualche foto, denunciando di essere stati aggrediti dagli attivisti del Blocco studentesco che con caschi, mazze, cinghie e anche lame di piccolo taglio avrebbero impedito loro di entrare nell'Università per un'assemblea. «È andata proprio così - conferma Andrea, uno dei portavoce dell'Onda partenopea - ci sono venuti contro e noi ci siamo difesi. Il clima di xenofobia e violenza è crescente, ricordiamo che appena pochi giorni fa un nostro compagno, Marco Beyene (il ragazzo di origine etiope figlio di un docente dell'Orientale, ndr) è stato aggredito da una squadraccia fascista nel centro storico. Noi ricordiamo che questa gente è quella che incita all'odio razziale».La cosa sicura è che dopo un corteo animato e pacifico che si è snodato nella city e promosso dal sindacato per lo sciopero della conoscenza, gli studenti hanno proseguito le iniziative. Un folto gruppo si è staccato dalla manifestazione ed è andato ad occupare gli uffici dell'Unico Campania, il reparto amministrativo dei trasporti pubblici, per protestare contro il caro biglietti e per chiedere maggiori agevolazioni per gli studenti. «Abbiamo anche srotolato uno striscione - racconta Andrea - e poi ci siamo diretti verso la facoltà per riunirci e decidere le prossime iniziative». Ad attenderli i ragazzi del Blocco studentesco, la sigla di estrema destra che stava volantinando nel piazzale fuori Porta di Massa e che, secondo quanto raccontato da quelli dell'Onda, avrebbe transennato l'entrata della facoltà per impedirgli il passaggio. Secondo le testimonianze sarebbero bastati un paio di botta e risposta perché gli studenti di destra infilassero i caschi e si dirigessero con mazze, cinghie e armi di piccolo taglio verso un gruppo di ragazzi. La risposta di quelli di sinistra non si è fatta attendere ed è scoppiata una violenta rissa. Fortunatamente nessuno si è fatto male, anche se i giovani aggrediti hanno riferito di alcuni contusi lievi. «Subito dopo - continua Andrea - ci siamo diretti verso le stanze del rettore, ma Fulvio Trombetti prima si è chiuso dentro con altri professori, quindi è uscito e ha parlato per pochi minuti». Il rettore ha infatti letto alla folla raccolta davanti i suoi uffici un piccolo comunicato: «L'università è spazio di democrazia - ha detto Trombetti - e di libero pensiero; al suo interno tutti hanno il diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni nel rispetto dei valori fondamentali sanciti nella carta costituzionale. Fenomeni di intolleranza e di squadrismo non possono e non saranno mai tollerati all'interno dell'Università di Napoli Federico II da qualunque parte provengano». Il rettore ha anche chiesto alle forze dell'ordine di identificare i responsabili degli incidenti. Ma gli studenti non hanno dubbi, sono stati attaccati e si sono difesi. Non solo, pongono anche alla dirigenza universitaria una domanda sulla legittimità di una sigla studentesca a presidiare con mazze e caschi l'entrata alle aule: «Che cosa ci facevano questi individui all'ingresso dell'università? - chiedono in un comunicato - e perché nessuno ha detto niente? È stato un vero e proprio blitz, guarda caso nello stesso giorno in cui a migliaia di studenti è stato impedito di uscire dalla Sapienza».
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Irregolarità nella presentazione delle liste. Sviluppi nel caso.
2 commenti Pubblicato da PRC C/mare del Golfo alle 15:48Il 13 e 14 aprile 2008, nello specifico, si segnalavano una serie di presunte irregolarità tra cui alcune commesse in Provincia di Trapani, al momento della presentazione delle liste.In particolare, si riteneva: “illegittima ammissione delle liste di candidati presentate nella provincia di Trapani denominate “Popolo delle Libertà” e “Lombardo Presidente Sicilia Forte e Libera”, a causa della sostituzione di due candidati successivamente alla sottoscrizione delle liste”, tale iniziativa avrebbe di fatto reso nulle le firme dei presentatori della lista, in quanto le stesse erano state apposte, per la presentazione di una lista di candidati diversa da quella effettivamente presentata.
La Corte di Giustizia Amministrativa di Palermo il 10 marzo si è così espressa:“impregiudicata ogni altra questione nel rito e nel merito, parzialmente pronunciando, cosi decide;a) accoglie l’appello nei limiti di cui in motivazione;b) ordina agli uffici della Amministrazione regionale siciliana indicati in motivazione di depositare nella Segreteria della Sezione i documenti sopra specificati entro il termine di 20 (venti) giorni dalla comunicazione in forma amministrativa della presente decisione o dalla sua notificazione a cura degli odierni ricorrenti:c) fissa, per l’ulteriore trattazione dell’appello, l’udienza pubblica del 13 maggio 2009.”
Le richieste degli appellanti ai magistrati erano sostanzialmente due: l’annullamento delle elezioni regionali e la ripetizione delle stesse; in subordine veniva richiesta la sottrazione dei voti, dal conteggio generale, che il Pdl e la lista ‘Lombardo Presidente’ hanno preso in Provincia di Trapani e il rifacimento dei conteggi per l’attribuzione dei seggi. Se venisse accolta questa ipotesi la “Rita Borsellino - la Sinistra l’Arcobaleno” supererebbe il 5% e avrebbe diritto a cinque seggi.
il 13 maggio 2009 ci sarà la sentenza definita dove si deciderà il futuro dell’attuale Assemblea Regionale. Fondati sono i motivi che ci porterebbero, se il ricorso fosse accolto, a votare prima del prossimo inverno.
Pino D’Angelo
di Matteo Bartocci e Alberto D'Argenzio
su Il Manifesto del 10/03/2009
Viale del Policlinico pronto al veto contro gli ex compagni «vendoliani»: illegale l'uso del simbolo del Gue.
Può sembrare paradossale ma a sinistra si può litigare, e parecchio, anche per un simbolo sconosciuto al genere umano come quello del Gue/Ngl, il gruppo parlamentare della sinistra europea e degli ambientalisti nordici a Strasburgo. Prima di Vendola e compagni fuoriusciti dal Prc, infatti, nessuno in Europa si era mai sognato di usare alle elezioni questa anonima ondina rosso-verde, che alle elezioni di giugno invece dovrebbe campeggiare con pari dignità nel loro simbolo accanto a quello del Pse, il gruppo socialista europeo di Fava e Nencini. La questione, ovviamente, è tutta politica. E il caos italiano rischia di terremotare prassi consolidate a Bruxelles e dintorni. Quasi sicuramente venerdì sarà ufficializzato a Roma il cartello «sinistra e libertà»: sole che ride ben in vista, scritte rosso-verdi, riferimenti ai gruppi dei socialisti e dei comunisti. Domenica scorsa il consiglio federale dei Verdi ha dato il via libera all'alleanza elettorale col 60% dei sì (48 voti contro 35). L'ultimo ostacolo a Roma sembra ormai superato. Ma non è ancora detta l'ultima parola.Da Prc e Pdci, infatti, è già partito un fuoco di sbarramento che questa settimana potrebbe approdare nel board del gruppo parlamentare. «Il Gue è il simbolo di tutti ed è discutibile che lo usino solo alcuni - spiega il responsabile esteri di Rifondazione Fabio Amato - ci confronteremo con gli altri partiti in Europa e valuteremo». Non è raro che dallo stesso paese aderiscano partiti diversi, accade in Portogallo (Bloco de Esquerda e Pcp), Grecia (Synaspismos e Kke), in Francia e anche in Italia (Prc e Pdci appunto). In nessun paese però la sinistra europea è divisa in tre e di certo nessuno ha mai usato quel simbolo, tantomeno accanto a quello del Pse, che a Strasburgo è un deciso antagonista del Gue. «Il Prc ha firmato un programma elettorale comune a 32 partiti del continente - insiste Amato - il Pse è per la Nato e noi siamo contro la Nato, noi siamo critici sul percorso di Lisbona e il Pse no e così via. Noi siamo una lista di sinistra, quel cartello è una contraddizione elettorale che morirà subito dopo il voto». Una tesi su cui concorda Jacopo Venier, coordinatore della segreteria Pdci, «in parlamento si lavora tutti insieme ma che qualcuno usi il simbolo del gruppo contro i partiti che ne sono membri è paradossale. Un tentativo che rischia di creare se non un effetto domino un precedente pericoloso per il resto del continente. Non è possibile metterlo sulla scheda». Un alto funzionario del Gue ben addentro alla materia ma che per cautela preferisce rimanere anonimo afferma che «ciascun eurodeputato è libero di usare quel simbolo» anche se, precisa, «questo tipo di problemi qui non ha precedenti». Una linea simile a quella di Roberto Musacchio, eurodeputato «vendoliano» tuttora coordinatore di Rifondazione in Europa, sicuro che questa sia la tesi giusta: «E' un simbolo nella disponibilità di ciascuno, se si vuole discutere ne discuteremo ma io sdrammatizzerei la questione, il Pse ha dato il suo via libera senza problemi». Di parere diverso però Giusto Catania, eurodeputato rimasto nel Prc di Ferrero: «La questione è politica, per me quel simbolo non è utilizzabile, soprattutto perché messo accanto agli altri dimostra platealmente che la lista di sinistra è un cartello senza riferimenti chiari». Prc e Pdci insomma non escludono la minaccia del veto e pensano di avere argomenti validi a convincere i compagni europei. Sui quali francesi, tedeschi e greci (cioè le sinistre messe meglio a livello continentale) per ora sembrano cauti ma sensibili. Anche perché via del Policlinico getterà sul tavolo il paradosso di iscritti a Rifondazione che si presentano contro il proprio partito. Quasi nessun «vendoliano» infatti all'atto della scissione ha restituito la tessera. Un'emorragia reale ma non dichiarata ufficialmente che ha alla base anche dissidi su stipendi e sezioni.
Lothar Bisky: «Die Linke sta con il Prc»
di Alessandro Braga
su Il Manifesto del 10/03/2009
Lothar Bisky, fondatore in Germania (insieme a Oskar Lafontaine) di Die Linke, è anche presidente della Sinistra europea. Sabato scorso è stato a Milano, al teatro Carcano, per un incontro in cui si discuteva su come uscire dalla crisi da sinistra, insieme al segretario di Rifondazione comunista Paolo Ferrero.
La sua presenza qui vuol dire che come Die Linke appoggiate per le elezioni europee Rifondazione comunista?
Sono qui perché Rifondazione comunista mi ha invitato. Il Prc è membro della Sinistra europea, di cui io sono presidente. Quindi è ovvio che appoggi la loro campagna elettorale.
Ma la scorsa settimana a Berlino ha incontrato anche Nichi Vendola. Cosa vi siete detti?
Come presidente di Sinistra europea ho necessariamente relazioni, diciamo 'istituzionali', anche con le altre sinistre. E in quest'ottica incontro tutti. Ma in Europa rispetto alla Sinistra europea ci sono partiti membri e partiti osservatori. Il Prc fa parte del nostro gruppo, io appoggio il loro lavoro e mi auguro che il risultato elettorale di giugno sia il migliore possibile. E per questo vorrei aggiungere una 'preghiera' ai politici italiani di sinistra.
Prego.
Chiedo che non ci lascino a Bruxelles soli con la destra italiana. Serve qualcuno che la conosca bene per fronteggiarla anche in Europa.
Per farlo bisogna riuscire ad essere eletti. Voi siete in costante crescita di consensi, qui in Italia non si può dire lo stesso.
Con Die Linke siamo riusciti a cambiare la costellazione dei partiti in Germania. Mentre i partiti più grossi perdono consensi noi siamo i più forti all'est e anche all'ovest riusciamo a raggiungere sempre almeno il 5%. Per questo puntiamo, nelle elezioni per il Bundestag di settembre, al 10%. Abbiamo buone speranze, la popolazione ci vede come una forza che denuncia i tagli sociali, porta avanti le lotte, insomma che fa opposizione. Tra la gente, anche tra chi non ci vota, ormai c'è un nuovo modo di dire, di cui siamo davvero felici: «Die Linke dice ciò che è». Vuol dire che siamo credibili.
In Italia c'è stata anche la proposta di una lista unitaria. Come la vede?
Guardi, una proposta del genere avrei potuto farla pure io. Ma preferisco non immischiarmi in affari italiani, che non conosco fino in fondo, e lascio a voi la possibilità di trovare una soluzione.
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Sabato 07 marzo 2009: Incontro-dibattito sulla sanità. A cura del Circolo PRC di Castellammare del Golfo
4 commenti Pubblicato da PRC C/mare del Golfo alle 14:31sabato 07 marzo 2009
Incontro-dibattito:
Intervengono: Salvatore Mazzara, medico;
Il Partito della Rifondazione Comunista si schiera contro i tagli e le privatizzazioni della Sanità voluti dal Governo Berlusconi e volti a costruire un sistema sanitario basato su assicurazioni private per ricchi e servizi pubblici di bassa qualità per i più poveri.Quella che si configura è una vera e propria guerra tra poveri che si inserisce in quella grande fascia di disagio sociale occupata ormai stabilmente da stipendiati, salariati e disoccupati, insieme con le nuove “figure” del clandestino e del migrante in genere. Quelle fasce sociali, appunto, che non potranno stipulare un contratto assicurativo e che saranno costrette a ricevere un servizio sanitario pubblico depotenziato e scadente e che, tra l’altro, sono quotidianamente messe l’uno contro l’altro da un modello securitario e razzista dal nostro Governo. Il servizio sanitario deve essere invece, a nostro avviso, pubblico e non deve essere erogato sulla base del reddito e della condizione sociale perché questo accrescerebbe le disuguaglianze, creando cittadini di serie A e di serie B.I tagli drastici alla sanità hanno come scopo quello di portare al collasso l’attuale sistema sanitario con la conseguente corsa alla privatizzazione del sistema, vista come l’unica ancora di salvezza.Con l’introduzione del federalismo fiscale agognato dalla Lega Nord e fortemente caldeggiato anche dal PD, inoltre, si diversificheranno i sistemi sanitari nella capacità di erogare servizi. La Sicilia, già indietro nella prestazione di servizi sanitari di base, erogherà un servizio di ancor più bassa qualità: aumenteranno ancora di più i viaggi della speranza verso il nord Italia per curarsi, sempre reddito permettendo.Per questo come Partito chiediamo di ampliare i servizi pubblici, ovunque, senza distinzione di reddito e di classe sociale. Perchè curarsi è un diritto uguale per tutti anche per chi vive attualmente nella condizione di clandestino. Il provvedimento infatti, approvato dal Senato e fortemente voluto dalla Lega Nord, che permette ai medici di denunciare alle autorità giudiziarie gli immigrati clandestini, oltre a suonare come un provvedimento di chiaro stampo razzista mina alle basi uno dei punti fondanti dello stesso giuramento di Ippocrate che disciplina il rapporto guaritore/malato e che recita in una sua specifica parte così: giuro di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica;Proprio quello che il provvedimento vuole mettere in discussione facendo disparità tra i malati e chiamando i medici e il personale sanitario a svolgere il ruolo di delatori dell’immigrazione clandestina. La salute è invece un diritto di tutti, anche degli immigrati clandestini. Il bisogno di curarsi non deve diventare occasione per differenziare il malato sulla base della condizione sociale e diventare il pretesto per alimentare una guerra tra poveri ma deve essere invece caratterizzata da regole che ne garantiscano un impronta universale e generalista.Quello che vogliamo è un sistema sanitario con gestione pubblica che non guardi al mercato ma al bisogno delle persone malate.
la serata verrà conclusa con le interpretazioni di alcuni brani musicali d’autore a cura di Joe Margagliotti & Saverio Mazzara.
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Contro i tagli e la privatizzazione della Sanità. Per ampliare i servizi sanitari pubblici.
0 commenti Pubblicato da PRC C/mare del Golfo alle 15:07
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di Gianni Fresu *
su la Rinascita della Sinistra del 27/02/2009
La ricomposizione della diaspora del ’98, per ricostruire insieme un’alternativa comunista forte e credibile in Italia, penso sarebbe la migliore risposta possibile ad una depressione economica mondiale che non è solo crisi del cosiddetto neo liberismo. La contraddizione è del capitalismo in quanto tale – delle sue regole di produzione, sfruttamento e appropriazione delle ricchezze – di ciò dobbiamo tenere conto, sapendo bene che la natura ciclica di queste crisi è fisiologica alle stesse modalità di espansione del capitalismo. Le ragioni della frattura sono state ampiamente superate su tutti i versanti e contro l’ipotesi del riavvicinamento non vale l’argomento sulle presunte diversità politiche e culturali che ancora sussistono. Già ora all’interno di PRC e PdCI sono presenti orientamenti diversi e ciò non è di certo un ostacolo, inoltre vale la pena ricordare che veniamo tutti dalla stessa scommessa: la rifondazione di una teoria e una prassi comunista in Italia come risposta alla svolta della Bolognina. È chiaro, pensare di fare una semplice fusione di gruppi dirigenti sarebbe un errore destinato a non produrre nulla di buono, la riunificazione deve partire dalla presentazione di liste unitarie per le europee per poi divenire processo organico di integrazione e riconoscimento reciproco, attraverso la diffusione orizzontale e collegiale degli strumenti di elaborazione e direzione politica.Il percorso di riunificazione deve essere necessariamente processuale ma non indefinito nel tempo, la difficile situazione interna ed internazionale non ce lo consentirebbe. La storia ci insegna che le recessioni hanno sempre dato luogo non solo al netto peggioramento delle condizioni di vita e lavoro delle masse popolari, ma a fasi tragiche di imbarbarimento delle relazioni sociali, di involuzione politica e culturale. Ci troviamo nel pieno di una fase di «crisi organica del capitalismo», ed è esattamente in simili contesti che hanno, in genere, luogo i peggiori processi di “modernizzazione” dei rapporti economici e sociali, attuati sempre attraverso la passivizzazione coatta delle grandi masse popolari, ciò che Gramsci definiva «rivoluzioni passive». A fronte di una situazione tanto complessa il cannibalismo del PD, che ha speso tutte le sue energie per mettere fuori causa la sinistra di classe, anziché impegnarsi in un’opposizione reale alla destra, si è ritorto contro chi l’ha praticato. L’illusione del PD – un “moderno” partito interclassista, che avrebbe dovuto congiungere gli interessi del capitale e del lavoro – si è schiantata sugli scogli di una realtà ben più complessa dei sogni veltroniani. Il PD si è rivelato, in tutta la sua fragilità, un immenso comitato elettorale strutturato per camarille, un agglomerato composto da consorterie condensate attorno a singole personalità che controllano partito, istituzioni e collegi senza alcun disegno complessivo. Già a fine Ottocento la dissoluzione del liberalismo italiano portò al tentativo di assemblaggio dei due raggruppamenti tradizionali della Destra storica e della Sinistra liberale per formare un unico «blocco costituzionale» presentato come baluardo contro le due ali estreme della reazione e della rivoluzione. Oggi come allora più che di “trasformazione del sistema politico” si deve parlare molto più prosaicamente di «trasformismo» e il divampare in tutta la sua virulenza della questione morale ne è una conferma. L’attuale inservibilità politica del PD dimostra ulteriormente quanto fosse avventata l’idea della “costituente della sinistra”, che puntava tutte le chanche di un rilancio della sinistra sul rapporto organico con il partito di Veltroni. Ricomporre la diaspora non significa e non deve significare però chiudersi in un recinto identitario, ma al contrario fare un investimento per l’unità della sinistra, mantenendo anche un interlocuzione dialettica, non subalterna, con le altre forze democratiche. Il PRC è nato sulla base del binomio autonomia e unità, quella deve tornare ad essere la nostra bussola di orientamento per rifuggire ogni tentazione di settarismo minoritario e insieme di opportunismo. Oggi più che mai si sente il bisogno di un partito comunista capace di porre, attraverso il conflitto, al centro dell’agenda politica le questioni del lavoro, di plasmarsi organicamente sulle esigenze delle masse popolari, da qui possiamo ripartire.
* Comitato politico nazionale PRC
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