Dalla “questione sismica” un’uscita dalla crisi.

Apparentemente superata la fase più drammatica del terremoto in Abruzzo qualche riflessione sul futuro non immediato delle popolazioni e dei territori la Politica – quella vera- dovrebbe pur avviarla magari prendendo in considerazione la mappa della pericolosità sismica che percorre l’intera penisola travalicando lo stretto di Messina e che ben evidenzia, graduandola, la pericolosità dei siti.


Certamente il terremoto del 6 aprile con il grave peso di vittime e distruzioni ha fatto emergere enormi responsabilità sulla non osservanza, anzi il disprezzo, delle norme previste dalla natura sismica dell’area, così come evidente è la crescente strumentalizzazione da parte del governo fino al trasferimento del tutto demagogico del G8 all’Aquila.

Di contro l’opinione pubblica – attraverso il pesante intervento dei media - ha recepito la gravità della situazione in essere e della futura vivibilità nelle aree particolarmente esposte al rischio tellurico.
In queste settimane abbiamo ripetutamente preso atto da fonti scientificamente attendibili che se i terremoti non si possono prevedere –almeno- si possono prevenire limitandone vittime e danni.
Apprendiamo così che in Giappone o in California terremoti con magnitudo pari o superiori a quelli verificatisi nell’aquilano o in altri siti italiani i danni a persone e cose sono stati drasticamente ridotti grazie alla stretta osservanza della normativa antisismica.
Radicali interventi per la messa in sicurezza del territorio, predisposizione di strutture volte a facilitare interventi di protezione civile, idonea revisione dell’intero sistema di viabilità e servizi su tutta l’area dell’aquilano sono le misure ritenute indispensabili per avviare un progetto di ricostruzione nei medesimi siti preesistenti.
E’ questa la volontà della popolazione chiaramente espressa dal Sindaco dell’Aquila nell’intervento del primo maggio.
Se viene trasferita tale problematicità su tutto il territorio nazionale, avendo presente la Mappa di pericolosità sismica dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, e considerata la ripetitività storica degli eventi sismici pare in tutta evidenza che per la messa in sicurezza dei territori – dal Friuli allo Stretto – occorre un Piano Nazionale di Riassetto Territoriale di eccezionale spessore e complessità.
Un progetto motivato dai valori costituzionali a tutela del territorio e da principi di responsabilità verso le future generazioni basato su una decisa volontà politica di pianificazione.
Risulta così facile il richiamo alle politiche rooseveltiane in particolate la Tennessee Valley Act del 1933 , uno degli strumenti di pianificazione pubblica adottato per superare la crisi del ’29.
Si tratterebbe quindi di una “vera grande opera” certamente di aspetti colossali che dovrebbe richiamare gli studi e le competenze tecniche di alto livello, disponibili su scala nazionale, tali da formulare un dettagliato piano di fattibilità finalizzato, anche, alla quantificazione delle risorse economiche.
Una concreta alternativa d’intervento pubblico a pianificazione pluriennale che determini una via d’uscita dalla crisi e nel contempo rappresenti una svolta culturale e politica nella programmazione sistemica di un intervento a salvaguardia del patrimonio umano, immobiliare e culturale d’intere regioni
In definitiva si tratta di porre, rispetto ai provvedimenti tampone annunciati dal governo ed ai piani di “grandi opere” inutili quanto dannose come il ponte sullo stretto, la questione sismica in quanto ambientale e sociale proponendo altresì un concreto strumento alternativo alle soluzioni di mercato a tutela dell’interesse generale e delle future generazioni.
Author: Mauro Borromeo

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