Chi ha ucciso Livorno? Craxi proudhoniano.

Articolo di Giuseppe Prestipino
su Liberazione del 21/01/2009


Il craxismo fu un passaggio decisivo nell'attacco all'idea comunista
La storia dell'opposizione politico-sociale in Italia percorre almeno quattro fasi. La prima fu forse in varia misura caratterizzata da un ribellismo sociale principalmente contadino e/o meridionale, ancorché in alcune regioni e città si diffondessero le diverse correnti socialiste, il movimento cooperativo e, dopo la Rivoluzione di ottobre, gli esperimenti consiliari di autogestione nelle fabbriche e la stampa alternativa a quella socialista, come prime avvisaglie della scissione di Livorno. La seconda fu la fase dell'opposizione politica clandestina, comunista ma anche socialista e liberaldemocratica, contro il fascismo. La terza fu, dopo la caduta del fascismo, la fase della "democrazia organizzata" in un partito comunista di massa, capace di educare anche le plebi alla graduale conquista di "fortezze e casematte" combattendo la (gramsciana) "guerra di posizione". A Livorno era nato il Pcd'i. L'autentico atto di nascita del Pci non è tanto nella Resistenza o nella "svolta di Salerno", quanto nelle lotte per i decreti Gullo e soprattutto nella Costituzione repubblicana, che vede decisivamente impegnati tre "ordinovisti" torinesi: uno dei tre, Gramsci, presente-assente (presente come ispiratore) e gli altri due protagonisti di primo piano nell'elaborazione della Carta (Togliatti) e nel presiedere i lavori dei costituenti (Terracini). La quarta è la fase di una nuova ribellione quasi-anarchica, ma non più di plebi rurali o urbane, perché i suoi attori sono principalmente gruppi di piccoli intellettuali (diciamo "piccoli" per differenziarli dai "grandi intellettuali", mediatori coscienti del consenso a sostegno di industriali e agrari, scrutati dalle analisi gramsciane). In quest'ultima fase, studenti e mondo della scuola scuotono dapprima il sistema, in specie nel '68-69 e sotto i cartelli inneggianti alla vittoria vietnamita, contribuendo così alla rinnovata elaborazione teorica di Panzieri e di altri, alla conquista di nuovi spazi democratici e culturali-formativi anche a beneficio della classe operaia, a sua volta in forte movimento (tuttavia organizzato o non soltanto spontaneo). Ma, ben presto, alcuni appartenenti a quella generazione scelgono di assecondare, per un loro tornaconto personale, il disegno di restaurazione in atto ad opera del capitale e diventano giornalisti di destra o funzionari di azienda o infine consiglieri del principe nell'ultimo reame neoliberista. Altri scelgono la strada illusoria e rovinosa della lotta armata. Altri ancora, con il loro radicalismo anarchico o libertario e con la loro ingenua polemica contro la forma-partito (non soltanto novecentesca), si prestano senza volerlo al ben più accorto e insidioso giuoco delle destre "democratiche" ultra-conservatrici. Quest'ultima è la tipologia che caratterizza specialmente il periodo attuale. E' evidente che le diverse tipologie possono talvolta convivere o intrecciarsi tra loro. Un passaggio esemplare ritroviamo nel craxismo, ideologia anti-comunista che, sul terreno "teorico" rivaluta l'anarchismo precoce di Proudhon, sul terreno politico strizza l'occhio ai gruppi armati e ai sequestratori di Moro (non propriamente per sensibilità umanitaria) e sul terreno economico porta all'apice, senza pudori, la commistione tra politica e affari, spianando il terreno (senza volerlo) alla stagione di "mani pulite". La voce di Enrico Berlinguer sulla diversità comunista, sulla questione morale come dovere politico e sull'austerità come sinonimo di critica politica all'incipiente consumismo di massa, quella voce resta inascoltata.Sul versante teorico il trapasso, specialmente in Italia, dal partito comunista al democraticismo e alle tendenze neo-libertarie fa seguito alle polemiche contro lo storicismo. Il canone teorico-politico del Pci, almeno a partire dalle "Tesi di Lione", è storicistico anche nel senso di realistico: non si può ignorare la realtà storica sul tronco della quale ciascun partito innesta la propria lotta. Togliatti cerca una via italiana per un salto diverso, non più esplosivo come nel 1917, dalla tradizione all'innovazione. Lo storicismo gramsciano è antitetico ad altri storicismi, in specie a quello crociano, la cifra del quale è la discontinuità nella continuità, laddove per Gramsci è la continuità nella discontinuità. E' la differenza, appunto, tra dialettica conservatrice e dialettica innovatrice, una differenza non percepita da coloro che deplorano, nel Pci, un presunto storicismo della continuità, proprio poiché essi stessi, invece, ravvisano un'inesistente "continuità" tra Croce e Gramsci. Dagli anni '70 in poi non soltanto il Pci si allontana da Gramsci, ma una malcelata fragilità accomuna anche i suoi intellettuali più prestigiosi. I non frequenti tentativi di fare teoria trapelano tra le righe dell'esegesi marxiana, non si avventurano in una distinzione, se si vuole più "scolastica", tra le "revisioni" teoriche e le reintepretazioni filologicamente rigorose dei testi marxiani. E oggi i "superatori" del comunismo hanno basi teoriche? Poche e deboli. Le proposte di Toni Negri e di Marcello Cini, come dimostra Raul Mordenti, fraintendono Marx e assolutizzano la sostituzione del lavoro fisico con quello immateriale, enfatizzato in maniera non dialettica e debitrice di un pensiero occidentale che ricalca il vecchio dualismo tra anima e corpo. Si legga invece l'ultimo libro di André Tosel, Un monde en abîme? Essai sul la mondialisation capitaliste (Editions Kimé, Paris, 2008). La novità di quest'ultima mondializzazione capitalistica consiste nell'aver unificato non soltanto il mercato delle merci e delle comunicazioni, in specie delle comunicazioni tra le borse (ciò che in varia misura è già accaduto in passato), ma anche e soprattutto il mercato del lavoro "materiale", che ieri aveva i suoi luoghi di elezione in ambiti nazionali e diviene oggi «sottomissione mondiale del lavoro»: il capitale importa e esporta mano d'opera o "eserciti di riserva" da un paese all'altro, mettendo in atto una strategia complessa in forza della quale la frammentazione dei lavori procede di pari passo con il nuovo mercato unificato del lavoro. I vari razzismi, etnicismi, comunitarismi sono le stratificazioni del lavoro, anche in ciascuno Stato, a scopo di divisione e reciproca ostilità tra i lavoratori, specie se di diversa nazionalità, e per una rinnovata solidarietà verticale neo-corporativa tra lavoratori e datori di lavoro in una pluralità di livelli gerarchici che fa rivivere, dentro l'iper-moderno, le società premoderne. Compito di ciascuno Stato nazionale è di «assicurare la gestione differenziata della forza lavoro» e di pilotare, scrive Tosel, «la deregolazione come forma nuova della regolazione, non come il suo contrario», cercando di occupare una posizione più alta nella competizione delle sue imprese transnazionali sul mercato mondiale. «Il Presidente della Repubblica concepisce il proprio ruolo come quello di un capo-commesso viaggiatore».Non soltanto in Francia. Il futuro Presidente della Repubblica italiana "fondata sul lavoro" è un imprenditore viaggiante in prima persona (specialmente, sull'etere).

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